9 settembre 1998 – 9 settembre 2018: a vent’anni dalla scomparsa di Lucio Battisti, Hoepli pubblica Il nostro caro Lucio-Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana, libro di Donato Zoppo, giornalista e conduttore radiofonico.
Leggere Il nostro caro Lucio-Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana, è come intrufolarsi piano nelle fessure di una porta che si spalanca su un mondo di provincia emblematica e rurale, quella rietina da cui nacque Lucio, e osservare la genealogia, le radici e la carne di un personaggio che ha tinto la musica italiana col suo caleidoscopio multiforme di tonalità.
Leggere questo libro edito da Hoepli, vuol dire affacciarsi in punta di piedi sulla soglia di quell’uscio, e scrutare i retroscena e l’intimità di un personaggio che ha giganteggiato nel panorama della nostra musica leggera dal 1968 al 1998: non c’era mai stata occasione così vivida di esplorare il suo luogo natale, i suoi giardini di marzo e la sua collina dei ciliegi, che hanno preso forma e sono divenute compagne di carta e inchiostro, fino a proiettarsi nelle celeberrime melodie.
L’autore, Donato Zoppo, giornalista e conduttore radiofonico, scrive per “Jam” e “Audio Review”, e dal 2007 conduce sulle frequenze di Radio Città BN il programma Rock City Nights; è autore di vari libri su altrettanti giganti della musica, come gli Area di Demetrio Stratos, i King Crimson, la PFM e i Genesis (dimostrando una predilezione per il rock progressivo, infatti ha curato per Cramps “L’Anthologia Progressive”). Un cultore, che ha saputo tratteggiare con maestria e sapienza il profilo di un personaggio dai mille segreti e silenzi.
I grandi artisti non nascono solo a Roma o Milano: Lucio Battisti, da Poggio Bustone all’iniziazione con la musica
Silenzi, appunto. Quello di Lucio Battisti è un mondo che parte dal silenzio mistico di Poggio Bustone, spazio geografico collocato tra piccoli centri punteggiati nelle campagne e alture che riecheggiano di solitudine.
No, i grandi cantanti non nascono soltanto a Milano e Roma: del resto Paolo Conte è di Asti, Modugno è nato a Polignano a Mare, Morandi a Monghidoro, De André bambino è nelle campagne di Revignano D’Asti.
Poggio Bustone è nella Piana Reatina, nota anche come Valle Santa: nel 1208 San Francesco fondò quattro santuari proprio lì, di cui uno anche a Poggio. Nel parco del borgo medievale, chiamato “I Giardini di Marzo”, oggi troneggia una statua che raffigura proprio Lucio.
Zoppo procede a introdurci nel piccolo retrobottega familiare dell’artista: Battisti nasce il 5 marzo 1943, poco dopo la perdita del primo figlio (anche lui chiamato Lucio) di Alfiero Battisti, agente daziario in un paese di braccianti, e Dea Battisti. Il paesino agricolo di Poggio Bustone è come una ruga sul volto rurale d’Italia, tagliato fuori dalle principali vie di comunicazione, in cui l’orrore del fascismo è sempre presente e strisciante, mitigato però dal reticolo di conoscenze personali. Alfiero aveva avuto rapporti con la Resistenza (vi aveva collaborato segretamente): era stato fascista per prassi e non per viva volontà e adesione ideologica, aveva combattuto in Albania e Russia e aveva capeggiato, da volontario, la Milizia Locale. Nel 1944 entra in contatto con i partigiani che si stavano organizzando sul Terminillo.
Dopo Puggio Bustone, la famiglia si trasferisce a trenta chilometri dal borgo medievale, a Castel Sant’Angelo: Lucio è un bambino votato alla semplicità, al contatto quasi spirituale con il volto della natura e la maestosità delle campagne e della montagna. Lucio aveva sempre avuto un atavico bisogno di spazi, sterminati e ariosi.
Col trasferimento a Roma, il carattere di Lucio, crocifisso tra infanzia e adolescenza, si fa spigoloso e buio: ragazzo grassottello, viene preso di mira dai compagni e sviluppa insicurezze e paure. Il luogo dei suoi ritiri e dove esprimere il suo bisogno di spazi e silenzio rimarrà sempre Poggio Bustone, impareggiabile locus amoenus, unico luogo in cui spogliarsi dalla quotidianità e ritrovare la nuda scorza a contatto con la natura. La vocazione di musicista di Lucio Battisti prende corpo in questi anni di solitudine, silenzi, misticismi, campagna e provincia: Zoppo ci prende per mano e ci conduce alla scoperta della chitarra da parte del ragazzo di Poggio, affrontata in modo “popolare” e con urgenza dilettantistica e pratica.
Al 1962 risale l’esperienza con i “Mattatori”, fondati dai napoletani “Giulio e Mario Zampa”, che lo portano con loro in un piovoso e suggestivo autunno nei night di Via Partenope; tornato a Roma, Lucio accetta la proposta di Enrico Pianori con cui debutta nel 1963, esibendosi alla “Cabala”, noto locale romano. Zoppo ci narra di un incontro molto importante per Lucio, quello con Roby Matano, capobanda dei “Campioni”, alla ricerca di un nuovo chitarrista e da subito attratto da quel ragazzo riccioluto e brillante.
Con i “Campioni”, Lucio si esibisce intensamente in Italia e anche all’estero, acquista padronanza e migliora: il suo miglioramento non sfugge a Roby, che comprende che quel ragazzo aveva qualcosa di speciale e importante, e ciò lo spinge a sottoporre i provini di Lucio a una miriade di case discografiche, collezionando una serie di fallimenti. Addirittura i discografici presero a cambiare strada dinanzi a lui, a dirgliene di ogni sulla voce di Lucio, ma Roby sapeva che Lucio aveva del potenziale.
Bisognava solo trovare il modo di valorizzarlo adeguatamente.
Un altro incontro segna la vita di Lucio, ed è quello con Pietruccio Montalbetti, ambasciatore di un nuovo complesso, i “Dik Dik”: la Milano degli anni Sessanta ribolliva di beat, dai “Giganti” ai “Camaleonti” fino proprio ai “Dik Dik”, per cui Lucio debutta come autore.
C’era, però, qualcosa che mancava ai testi di Battisti: vi era bisogno di qualcosa d’impatto, immediato e fresco, qualcosa che fosse plasmato e modellato dalle correnti di San Francisco e Londra. Sì, c’era decisamente bisogno d’un esperto.
Mogol entra nella vita di Lucio Battisti: il suo incontro più fortunato secondo Donato Zoppo
Lucio è avvilito, inizia quasi a disamorarsi della musica e del mondo che le orbitava attorno. L’incontro con Mogol, che l’immaginario collettivo immaginerebbe coronato di stelle filanti e fuochi d’artificio, fu invece, come narra Zoppo, molto tiepido.
–“Ci sono cose mica male, forse dovresti tornare tra due, tre mesi”.
Queste sono le parole pronunciate da un certo Giulio Rapetti, figlio di Mariano Rapetti (direttore della Radio Record Ricordi, nata nel 1948 in seno alla Ricordi), addetto inizialmente agli adattamenti in italiano delle canzoni straniere e al settore promozionale, fino a ricoprire il ruolo di talent scout. La sua vera passione sono i testi, e nel 1959 si iscrive alla SIAE come autore, con lo pseudonimo Mogol: i suoi testi pulsano di vita, comunicano magistralmente desideri e si intrecciano efficacemente alla musica dalla quale sembrano sgorgare.
Lucio sottopone a Mogol le canzoni scritte con Matano, e lui gliele stravolge completamente: sì, Mogol è intrigato dalla musica di Lucio, potrebbe svecchiare decisamente le dinamiche vigenti, ma c’è bisogno di maturazione, c’è bisogno che quel ragazzotto continui a farsi le ossa, e che si crei un connubio tra i due che sfoci in quel “marchio di fabbrica” della ditta Battisti-Mogol.
Mogol comincia a dare progressivamente fiducia a quel ragazzo riccioluto, e Zoppo narra l’intima evoluzione dell’atteggiamento del paroliere, che dalle titubanze iniziali, arriva a minacciare le dimissioni alla Ricordi se non avessero permesso a Lucio di cantare!
Quella voce, da tutti considerata scialba e tiepida, era invece la chiave di volta, perché le canzoni di Lucio potevano prendere il volo soltanto cantate da Lucio.
Zoppo ci narra, con sapiente bilanciamento di chiaroscuri e tonalità, l’evolversi del rapporto tra i due, e lo fa con una prosa asciutta e incalzante, che segue i moti psicologici di un processo cruciale per la musica italiana.
Attento anche ai collegamenti, ai parallelismi e a sfoggi di vivida e appassionata erudizione musicale, Zoppo non rinuncia a narrare ciò che accadeva all’estero, dai Doors fino a Frank Zappa, Emerson, Lake & Palmer, Bob Dylan, dai King Crimson ai Led Zeppelin, dal White Album dei Beatles fino ai Bee Gees, che come rigagnoli di acqua piovana erano riusciti a penetrare anche negli alvei della musica di Lucio, in un processo di sincretismo e contaminatio.
Donato Zoppo ci proietta nel triennio 1967-1969, dove accaddero molte cose importanti per Lucio: la sua partecipazione a Sanremo, con Un’avventura, fino alla fondazione della casa discografica di Mariano e Giulio Rapetti, la “Numero Uno” e al profluvio di successi. Basti citare Dieci ragazze per me, Mi ritorni in mente, Acqua Azzurra Acqua Chiara, pezzi dirompenti che valorizzavano tutta l’inventiva melodica di Lucio e che rapivano letteralmente le masse. L’angelo caduto in volo si stampa nell’immaginario comune, e rimane lì, ben piantato, così come l’acqua azzurra e scrosciante o le dieci ragazze: i testi di Mogol raccontavano delle vere e proprie storie con espressività plastica, come mini sceneggiature o film proiettati direttamente dalla pupilla dell’autore, e la musica di Lucio condiva tutto col sale della propria vivacità drammatica; è il caso di Emozioni, esempio corporale di fusione perfetta di musica e parole. Tanti sono i segreti che l’autore svela sui successi di Lucio, ci porta tra le righe dell’inchiostro di Mogol e ci fa viaggiare attraverso i pensieri e le parole, i giardini di marzo e le canzoni del sole che risuonano alla luce del fuoco di qualsiasi falò, e che ci riportano odori d’estate e di anni sbiaditi nella memoria, di legna bruciata e di salsedine.
Emozionante è il passo in cui Donato Zoppo ci narra de I giardini di marzo, che catalizza un bisogno disperato e quasi infantile di umanità e coraggio di vivere la vita: Mogol creò immagini icastiche, dal carretto che passava e dell’uomo che gridava “gelati!” fino ai ragazzi di scuola che vendevano i libri e all’universo che trova spazio.
In una chiusura ciclica, nel segno del bisogno di spazio. Lo spazio di Poggio Bustone e del suo locus amoenus.
Donato Zoppo ci parla in toni nuovi di “Anima Latina”, album sgorgato direttamente dal magma dei viaggi e dal contatto con l’America Latina, che Lucio espleterà con una compenetrazione magistrale di ritmi, musica e messaggi contro la società dei consumi. Alcune delle sue canzoni più belle, come Due Mondi, appartengono proprio a quest’album.
Donato Zoppo ci conduce letteralmente nell’officina di quelle grandi canzoni, che siamo portati a percepire come colonna sonora quasi abituale dei nostri primi ricordi uditivi, che ci hanno accompagnati ai giri di boa delle nostre vite e che hanno percorso tutta la nostra penisola nei decenni, impiantandosi sotto la pelle di un’Italia che sarebbe un po’ meno Italia senza Lucio Battisti.
Un’Italia che avrebbe avuto un suono diverso, senza il nostro caro Lucio. Senza il nostro caro angelo, come l’omonima canzone che dà il titolo al libro di Donato Zoppo.
“Il nostro caro angelo
è giovane lo sai
le reti il volo aperto gli precludono”
Donato Zoppo ha donato un capitale umano, artistico e musicale incommensurabile alle nostre esistenze, e questo libro è un sussurro tra le pieghe di quell’Italia che risuona delle sue canzoni e che da esse è pervasa.
Nessuna rete ostacolerà più il volo del nostro caro angelo, e Zoppo ha saputo strappare quelle reti che avrebbero precluso il volo alla narrazione e alla scrittura dell’epopea di quell’angelo, per farlo volare libero tra le righe, l’inchiostro e i suoi spazi ariosi della provincia di Poggio Bustone, a cui la sua anima apparterrà sempre.
Donato Zoppo, libri
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