Quel posto nel tempo, secondo lungometraggio di Giuseppe Alessio Nuzzo, è stato presentato in anteprima al Modernissimo di Napoli.
Un racconto sul rimpianto, sulla nostalgia e, soprattutto, sui ricordi divorati da un morbo come quello di Alzheimer, che d’improvviso si impossessa di qualsiasi immagine, suono, odore e sensazione. Questa la tematica al centro di Quel posto nel tempo, film diretto dal regista Giuseppe Alessio Nuzzo presentato in anteprima al cinema Modernissimo di Napoli il 20 settembre e da oggi, proprio nella giornata mondiale dell’Alzheimer, in tutte le sale italiane.
Sinossi e recensione
Mario (Leo Gullotta) è un direttore d’orchestra in pensione affetto dal morbo di Alzheimer. Vive i suoi giorni da pensionato in una casa di riposo in Inghilterra e nella sua mente il passato e il presente si mescolano in continuazione. Una telefonata lo avvisa che la figlia Michela (Beatrice Arnera) è in prognosi riservata all’ospedale di Napoli.
Mario torna in città al capezzale della figlia, dove gli inganni della sua mente si fanno più forti: l’uomo ripercorre il matrimonio con la moglie Amelia (Giovanna Rei), il rapporto freddo e distante con Michela, la dedizione verso la musica classica a cui dedica la vita intera. Il tutto mentre la mente di Mario mescola la realtà con l’immaginazione.
Il film è una dolorosa testimonianza di come si vive con un morbo infido e tremendo come può essere l’Alzheimer. Lo fa con scelte stilistiche studiate: le immagini sfocate, che danno l’idea dei ricordi sbiaditi, una sceneggiatura che collega il passato con il presente e con il passato immaginato, frutto del rimpianto. Elemento importante è poi la musica, collante di tutta la vicenda che per Mario diventa l’unica vera amante di cui non si è mai dimenticato, nonostante la malattia.
Quel posto nel tempo, conferenza stampa
La conferenza stampa ha visto la partecipazione del regista e di parte del cast: Leo Gullotta, Beatrice Arnera e Giovanna Rei.
Giuseppe Alessio Nuzzo ha ricordato come all’origine di Quel posto nel tempo ci sia Lettere a mia figlia, corto del 2016 interpretato dallo stesso Gullotta. Il lungometraggio è stato frutto di una lunga gestazione, rallentata dalle limitazioni dovute alla pandemia. Un periodo di tempo molto lungo in cui il regista e gli attori hanno consultato medici, esperti e qualsiasi materiale cartaceo e non per immergere lo spettatore nella sofferenza dei malati di Alzheimer. Un’esperienza che Leo Gullotta spiega con queste parole:
«C’è il concetto di far conoscere cosa vuol dire stare accanto una persona che lentamente perde la memoria. Quando una persona sta accanto a questi malati, il dolore non è soltanto dolore: è disperazione, è perdersi. Però la chiave importante è di rispettare la dignità dell’individuo. La dignità del malato è una dignità importante. L’unica cosa che possiamo fare è stare accanto, ma con amore. Questo racconta questa storia».
Quel posto nel tempo colpisce per la delicatezza con cui racconta un tema così pesante, ma è anche una pellicola in cui ognuno troverà qualcosa di personale legato alla sofferenza, che spesso tendiamo a nascondere sotto cumuli di indifferenza nella speranza di disfarcene. Una catarsi che tocca il cuore di chi ha avuto o ha a che fare con una malattia che divora i nostri ricordi, nonché di chi ha provato un dolore indicibile.
Immagine di copertina: ufficio stampa.