L’arrivo del cinema in Giappone
Di tutte le cinematografie non occidentali, quella giapponese è stata indubbiamente quella che ha saputo meglio imporsi nell’ambito dell’intera storia del cinema. A determinare ciò hanno assunto un ruolo essenziale alcuni autori, come Akira Kurosawa, Yasujiro Ozu, Kenji Mizoguchi, recentemente Takeshi Kitano e sicuramente nell’ambito dell’animazione il celeberrimo Hayao Miyazaki. Sebbene sarebbe un errore pensare al cinema giapponese come ad un casuale fiorire di talenti, bisogna immaginare il cinema giapponese raggiungere un alto successo cinematografico, nel sistema produttivo, già a partire dagli anni ‘60 del 900, traendo modelli di ispirazione che erano chiaramente riconnessi al filone del cinema espressionista tedesco, al noir statunitense e al cinema hollywoodiano. Chi sono stati i registi giapponesi più influenti?
Generi cinematografici giapponesi
A partire dagli anni ’80, l’espansione delle piccole case di produzione e lo sviluppo del nuovo mercato del video hanno rimodellato il sistema dei generi, in cui i registi esordiscono con un marcato accento personale all’interno dei codici consolidati del cinema commerciale.
I due principali generi:
- Jidai-geki (時代劇): genere storico con un preciso contesto temporale, utilizzato nel cinema, nella televisione, nel teatro e nei manga. Il termine “jidaigeki” si riferisce a film (o opere teatrali) ambientati nel periodo Tokugawa (1603-1868). Tuttavia, alcuni drammi storici sono ambientati in epoche molto precedenti, come il periodo Sengoku. I Jidaigeki sono storie di samurai, contadini, fabbri e mercanti, e il termine è spesso usato in parallelo con ‘’ chambara ’’ (chambara significa “gioco di spada”).
- Gendai-geki (現代 劇): genere del «teatro contemporaneo» che comprende film di ambientazione contemporanea, intesa come successiva al 1868.
I 5 registi iconici giapponesi
- Akira Kurosawa
Tra i più importanti registi giapponesi al mondo, va ricordato Akira Kurosawa. Nato 100 anni fa, il 23 marzo 1910, da una famiglia di guerrieri samurai, è conosciuto come “l’imperatore del cinema giapponese”, ma si considera uno “schiavo delle sette luci”. Sotto l’influenza del fratello maggiore Hei Ming, la sua passione per la letteratura, in particolare per Shakespeare e i romanzieri russi, viene gradualmente ripresa nella sua vasta filmografia. Già dal suo primo film, ‘’ La leggenda del serpente’’ (1943), presentò una perfetta sintesi tra il cinema d’azione americano e l’autentica ricerca psicologica nazionale, chiedendo di elevare lo spirito del sacrificio individuale per la patria. Tuttavia, la sua fama internazionale è dovuta a ‘’ Rashomon ‘’ (1950), che vinse il Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e il prestigioso Premio Oscar come miglior film straniero. Il film è una brillante indagine sulla capacità dell’uomo di mentire più a sé stesso che agli altri. Il regista giapponese si è concentrato sulla mancanza di movimento dei suoi personaggi, sulla tensione dei loro sguardi, sull’incertezza e sull’attesa delle loro azioni, espresse attraverso un conflitto crudo, movimenti circolari della macchina da presa ed effetti di montaggio di lunga durata. Il suo stile semplice e grandioso e la sua abilità di narratore di valori umani – un epos che poteva essere compreso e condiviso dal pubblico di tutto il mondo – sono stati venerati da una generazione di ragazzi del cinema americano come George Lucas e Francis Coppola, ma anche nella realizzazione del videogioco ‘’Ghost Of Tsushima‘’: immersione nel mondo del protagonista Jin Sakai, un samurai che si oppone all’esercito mongolo. Tsushima, dove si svolge la storia, si trova tra la penisola coreana e gli stretti del Giappone. L’influenza di Kurosawa è presente in una modalità chiamata ‘’Modalità Kurosawa‘’. Quando viene attivata, le aree grafiche colorate vengono messe da parte e il display passa a una visualizzazione sgranata a contrasto in bianco e nero che ricorda i film del regista. - Yasujiro Ozu
Sostenitore del cinema realista, nei suoi film riassume tradizioni e modernità del suo paese in una precisa dialettica: girerà sempre dei gendaigeki, in particolare degli shomingeki (drammi della gente comune), film dedicati al mondo della piccola borghesia, alle cose di tutti i giorni, alla vita familiare, ai problemi coniugali, ai rapporti fra genitori e figli. In termini di struttura narrativa, i suoi film assumono spesso la forma di una “rivelazione”, un viaggio verso una verità precedentemente sconosciuta sia ai personaggi che al pubblico. La scoperta di questa verità trasforma il rapporto tra gli individui, creando inizialmente un momento di profonda crisi e portando poi a una comprensione più certa e a una maggiore armonia tra le parti. Con il passare degli anni, le sue storie si concentrano sempre più sul mondo della famiglia e colgono la contraddizione tra la persistenza della tradizione e l’avvento della modernità. In questi film, Ozu dà una dimensione quasi trascendentale alle emozioni e alle sensazioni provate dai suoi personaggi. Le emozioni, che nascono sempre da fatti molto concreti come una rottura, la morte di qualcuno o un tradimento, diventano immediatamente protagoniste assolute della messa in scena e della regia, libere da ogni particolarità e casualità, assumendo una dimensione che diventa astratta e universale. Tra gli elementi che caratterizzano lo stile di Ozu ci sono la posizione bassa e strategica della macchina da presa, le inquadrature frontali dei volti dei personaggi e il fatto che quando parlano sembrano parlare direttamente al pubblico. Il film più famoso e acclamato di Ozu è ‘’Viaggio a Tokyo ‘’ (1953), la storia di una coppia di anziani che si reca a Tokyo per visitare i figli e le loro famiglie. - Kenji Mizoguchi
Quando i suoi film cominciarono ad essere proiettati in Europa negli anni ‘50, fu la modernità del suo stile a sorprendere i critici occidentali, soprattutto i “giovani turchi” dei Cahiers du Cinéma. I suoi film, infatti, potevano essere attraversati da abbaglianti primi piani, stacchi improvvisi e inquadrature di reazione. In sostanza, pur allontanandosi da tutto ciò, Mizoguchi non abbandonò mai del tutto il repertorio classico del decoupage, preferendo modelli alternativi di rappresentazione e costruendo immagini complesse che invitano lo spettatore a leggerle come quadri. Mizoguchi divenne uno dei principali registi giapponesi già negli anni ‘30 e i suoi film, come ‘’ Naniwa Hika ‘’ (1936) e ‘’ Gionno shimai ‘’ (1936), furono molto apprezzati. Nei film di Mizoguchi predomina la rappresentazione del mondo femminile, attraverso la quale egli condanna con franchezza la società patriarcale, rimasta praticamente immutata nei secoli: film di prestigio fu ‘’ I racconti della luna pallida d’agosto’’ (1953), film in costume ambientato nel XVI secolo che narra la storia di un artigiano vasaio che abbandona la moglie perché è ammaliato da un’affascinante aristocratica. - Takeshi Kitano
Nel 1989, Kitano debutta come cameraman nel thriller poliziesco ‘’ Violent Cop ‘’, in cui ricopre il doppio ruolo di regista e attore. Kitano ha dato una svolta al suo lavoro di regista e ha registrato il suo debutto come regista puramente autodidatta, sostituendo un maestro del genere yakuza. Si è affermato come regista con uno stile distintivo che combina inquadrature glaciali e fisse, violenza esplosiva e uno strano tocco surreale, e il suo film ‘’ Sparks ’’ (1997), che ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha ottenuto il riconoscimento al di là di una ristretta cerchia di intenditori. A guadagnarsi ulteriore successo tra i registi giapponesi è la realizzazione di ‘’Sonatine’’, prodotto nel 1993, che è il quarto lungometraggio di Takeshi Kitano e che sancisce definitivamente il talento visionario di questo cineasta giapponese agli occhi del pubblico e della critica internazionale. Egli è in grado di combinare in modo affascinante gli aspetti fondamentali del cinema con la sua profondità di pensiero, l’ambizione delle sue citazioni e la commovente originalità della sua poesia. Sonatine, come tutti i capolavori che testimoniano la sua maturità, è il punto d’incontro delle prime due vite cinematografiche di Takeshi Kitano. Come definire un film così stratificato? Forse descrivendolo come “una tragedia classica ambientata ai giorni nostri”, che è prima di tutto un’arguta riflessione sulla caducità della vita umana e anche un riadattamento in stile giapponese della Nouvelle vague. - Hayao Miyazaki
Miyazaki è oggi il re indiscusso dell’animazione giapponese. È stato persino etichettato con disonore come il “Walt Disney del Giappone”. Perché? Perché ogni personaggio cinematografico dovrebbe essere definito da un archetipo americano quando l’unica cosa che questi due artisti hanno in comune è che disegnano animazione? A differenza di Walt Disney, le storie di Miyazaki si evolvono lentamente tra realtà immaginaria e metaforica. I suoi personaggi sono rubati ai sogni e la sua immaginazione si sposa bene con la colonna sonora del grande scrittore Joe Hirashi per raggiungere una qualità irraggiungibile per un film d’animazione. Qui si ritrovano tutti i suoi temi più importanti, da quelli naturalistici e ambientalisti, alla critica del progresso eccessivo, al pacifismo più tenace e fiducioso. Katsuji Miyazaki era un ingegnere aeronautico e continuò a lavorare nell’azienda di famiglia, che produceva componenti per aerei, durante la Seconda Guerra Mondiale. Rispondendo al sostegno della critica e del pubblico nazionale, a partire dagli anni ’90 ha conosciuto il successo internazionale con ‘’ La città incantata ‘’(Sen to Chihiro no kamikakushi, Orso d’oro nel 2002 e Oscar per il miglior film d’animazione nel 2003, premio non ritirato per l’opposizione del regista alla guerra in Iraq) e alla carriera (Leone d’oro a Venezia nel 2005 e Oscar nel 2014). Il mondo di Miyazaki è una testimonianza delle contraddizioni del Giappone, del suo status incerto e la sua firma geopolitica può essere letta in questa chiave.
Fonte immagine in evidenza Registi giapponesi: i 5 iconici : Takeshi Kitano nel film ” Sonatine ” Wikipedia