Big Three: I 3 manga che salvarono Shōnen Jump

BIG 3

Quando si parla di manga ed anime si sa, si potrebbe finire persino per perdersi a causa dell’innumerevole quantità di opere che costellano il panorama giapponese, specie negli ultimi anni in cui si è visto un aumento vertiginoso dei fan che seguono appassionatamente questo genere di storytelling. Tra la miriade di opere però, è quasi impossibile non far riferimento ai Big Three – i manga che salvarono Shōnen Jump – anche noti come la triade d’oro. Ma quali sono per l’esattezza i Big Three? E perché gli è stato assegnato questo titolo?

 

L’origine dei Big Three, i tre manga che salvarono Shōnen Jump

Quando si parla di Big Three ci si riferisce, per la precisione, a One Piece, Naruto e Bleach. Il dibattito su quest’affermazione è molto spesso acceso tra gli otakutermine utilizzato per indicare gli appassionati del genere anime e manga – e questo avviene perché molti, ancora oggi, confondono lo pseudonimo di Big Three come un voler attestare che le tre opere sopracitate siano in assoluto le migliori. In realtà, la triade d’oro è stata così ribattezzata per un altro motivo, il che rende l’appellativo Big Three una definizione oggettiva che non ha nulla a che vedere con la qualità delle opere stesse, ma bensì con l’effetto onda che crearono nei lettori all’epoca della loro uscita.

Il soprannome Big Three è, infatti, nato a causa della loro immensa popolarità in tutto il mondo, una popolarità condivisa quasi in simbiosi. Non tutti sono a conoscenza della concorrenza accesissima tra le più famose Weekly Shōnen Magazine e Weekly Shōnen Sunday che prese vita a partire dalla fine degli anni ‘70. Tuttavia, nel giro di un paio di decenni, Weekly Shōnen Jump si è affermata come la rivista più popolare al mondo, con milioni e milioni di copie vendute.

Infatti, dopo la fine della serializzazione di Dragon Ball nel 1995, tenere alte le vendite non era così semplice, soprattutto in un mercato come quello dei manga in cui non sempre le opere riescono ad arrivare al cuore del pubblico fin da subito. Più volte nel corso degli anni è capitato di assistere a serializzazioni brutalmente interrotte o di vedere opere finire nel dimenticatoio. Nel caso di Weekly Shōnen Jump, poi, si parla di una rivista che vendeva il triplo delle dirette concorrenti, numeri che ancora oggi risultano impareggiabili.

 

One Piece, Naruto e Bleach 

One Piece (1997), Naruto (1999) e Bleach (2001) ebbero la capacità di far appassionare i fan del genere shōnen, più precisamente del Battle Shōnen, da ogni parte del mondo. Le tre opere, infatti, si ritrovarono per anni costantemente nella top 3 delle vendite settimanali, vendendo milioni di volumi in tutto il mondo e mantenendo un livello elevatissimo di share quando iniziò anche la loro trasposizione anime. I Big Three erano sempre presenti sulle copertine di Shōnen Jump e avevano sempre immagini in primo piano per i loro protagonisti principali: Luffy, Naruto e Ichigo. Tutte e tre le serie sono state pubblicate per almeno 15 anni contando almeno 70 volumi ciascuno, e si sono sovrapposte nella pubblicazione dal 2001 al 2014.

Questi tre manga hanno ricevuto ciascuno una serie anime di lunga durata, Bleach (2004-2012) ha 366 episodi, Naruto – incluso Shippuden – ha 720 episodi e One Piece conta ben 1114 episodi ad agosto 2024, ed è ancora in fase di produzione.

Tutte e tre sono serie di tipo battle shōnen, che di solito si concentrano su argomenti come l’avventura, la crescita e l’azione. Questo genere ha normalmente molte sottotrame che si legano poi ad una trama principale più generale durante il corso dell’opera.

E’ interessante notare come sebbene One Piece, Naruto e Bleach rientrino tutti e tre nella categoria del battle shōnen, le tematiche affrontante dai tre manga siano completamente diverse tra loro. Scopriamo insieme qualcosa di più sui temi trattati dai Big Three andando ad analizzarli uno per uno, e capiamo il perché abbiano riscontrato un così enorme successo da aver salvato Shōnen Jump portandogli un vero e proprio periodo d’oro:

 

Bleach


La storia attinge pienamente dal folklore giapponese, e segue le avventure di Kurosaki Ichigo, un quindicenne dalla chioma arancione con un forte senso di giustizia e la capacità di vedere e interagire con gli spiriti dell’aldilà. Ichigo viene accidentalmente proiettato nell’universo degli Shinigami – o anche noti come dei della morte – di cui acquisisce i poteri. Già resi celebri nell’immaginario occidentale per via del successo ottenuto dal manga di Death Note e dall’indimenticabile Ryuk, gli Shinigami rappresentano un’importante componente della mitologia giapponese. Il loro compito, così come quello di cui Ichigo decide di intraprendere egli stesso, è quello di guidare le anime defunte verso l’aldilà. Per farlo, verrà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno ad indagare sempre più a fondo non solo nel mondo degli spiriti, ma anche nelle sue origini.

Uno Shōnen che si rispetti si riconosce anche e soprattutto dai combattimenti, e nel caso di Bleach, i suoi combattimenti non sono secondi a nessuno, probabilmente alcuni dei più iconici anche tra le varie lotte di tutti e tre i Big Three messi a paragone. Frenetici e con ritmi sempre elevati, oltre che un’animazione – nel caso della trasposizione anime – assai degna di nota. Le battaglie rappresentano il cuore pulsante dell’opera, presentandosi come l’esempio secondo cui un’opera sia in grado di far evolvere e migliorare il suo genere d’appartenenza, pur mantenendo fedelmente la struttura narrativa e conservando tutti quegli elementi che lo hanno reso celebre tanto in Giappone quanto Oltreoceano.

 

Il design dei personaggi di Bleach 

L’opera di Tite Kubo è unica anche per il design dei suoi personaggi che è sempre stato molto variegato, includendo personaggi di diverse nazionalità, aspetto ed espressione. L’autore ha sempre prestato molta attenzione a questo lato dello storytelling visivo, creando personaggi con dualismi che sfuggivano a un primo sguardo, in modo da sorprendere il lettore sempre e comunque. L’atmosfera del manga, a volte più grezza, e a volte più sofisticata in alcuni momenti di worldbuilding, mostra un connubio perfettamente curato.

Ogni personaggio, principale o villain, mostra una propria crescita personale all’interno del corso dell’opera, così come una crescita nello stile di combattimento, in modo tale da non rendere mai lo scontro ripetitivo e riuscendo così a sorprendere il lettore. Bleach è pervaso da una sottile atmosfera intrisa di malinconia e poeticità, che spesso sembra faticare a trovare il proprio spazio in un manga indirizzato ai ragazzi. Il manga stesso, poi, è pervaso da moltissimi riferimenti culturali, sia nipponici che internazionali.

I riferimenti religiosi nell’opera sono innumerevoli, l’autore spazia tra più religioni sia con l’iconografia di alcuni personaggi che con citazioni musicali che rimandano al cristianesimo e al folklore giapponese. Inoltre, vi sono i continui riferimenti linguistici all’inglese, al tedesco e allo spagnolo, quasi come se volesse rendere il mondo di Bleach interconnesso in modo globale. Vengono toccati temi come il genocidio o i regimi militari totalitaristi, ci sono riferimenti al nazismo sparsi qua e là per la serie o ancora, le battaglie che facevano perdere a Ichigo la propria umanità portando il concetto di deumanizzazione su un altro livello.  

 

Naruto

Se nel caso di Bleach abbiamo parlato del modo in cui i combattimenti rappresentano il fiore all’occhiello dell’opera, nel caso di Naruto, invece, vi è un altro aspetto che ha reso il manga in questione subito popolare poco dopo l’inizio della sua serializzazione. Le emozioni sono ciò che hanno reso Naruto così amato e apprezzato, un tema, quello psicologico-emotivo, che viene trattato in modo a dir poco egregio nel corso di tutta l’opera.

Difatti, l’opera di Kishimoto, presenta un personaggio principale ben congegnato fin dall’inizio. Naruto è orfano, escluso e allontanato da tutti a causa del suo essere diverso. Un tema, questo, che rimarrà sullo sfondo della storia per gran parte dell’opera e che, anche quando sembra ormai superata, rivendica invece ancora dei forti strascichi. Naruto convive con una presenza interiore di pura malvagità, un demone che costringe il protagonista ad una lotta contro i propri impulsi distruttivi. Nonostante tutto, il protagonista dimostra una resilienza tale che l’antitesi tra l’iniziale posizione di svantaggio e la grande forza di spirito che contraddistinguono Naruto, gli forniscono una particolare trasposizione emotiva che arriva dritta al cuore del lettore.

La trama che si sviluppa dall’infanzia all’età adulta di Naruto, ne fanno un racconto di formazione che cattura lo spettatore. I temi che ruotano attorno al protagonista e agli altri personaggi dell’opera vengono affrontati in maniera molto evidente ed esplicita. Si parla di perdita, di lutto, di tradimento, di compassione, di perdono e di empatia; sebbene facciano gran scena in particolar modo l’isolamento e l’emarginazione sociale. Naruto, quindi, è un’opera che fa delle emozioni il suo punto di forza, ancora di più essendo rivolto ad un pubblico di ragazzi, mettendo in primo piano le esperienze che si vivono attraverso le emozioni che preadolescenti e adolescenti, di solito, fanno fatica ad integrare nei rapporti con adulti e coetanei.

 

Le emozioni come fulcro narrativo 

Il lato interessante dell’opera di Kishimoto, quindi, non corrisponde tanto ai frenetici combattimenti o alle ambientazioni spettacolari, ma si trova proprio nelle emozioni che nell’arco di tutta la storia rappresentano il suo pilastro portante. E tra tutte le emozioni che costellano il mondo di Naruto, quella che più fa da padrona alla scena e che partecipa avidamente in ogni arco narrativo del manga, è senza dubbio il dolore. Un’emozione che potremmo, a tutti gli effetti, definire come il Deus ex machina di tutto il mondo creato da Kishimoto.

Ma cosa rappresenta il dolore in Naruto? E perché è così radicato? Si potrebbe affermare che nella miriade di emozioni che vanno a cucire l’opera lungo tutto il suo corso, il dolore è quella che Kishimoto ha più sviscerato, mettendo in luce tutte le sfumature che compongono questa singola emozione, dalla sua versione più effimera a quella più aggressiva e atroce. Questo aspetto all’interno di Naruto viene specificatamente ripreso, poiché tutti i personaggi nell’arco della trama soffrono e lo fanno in maniera e per ragioni diverse. Il primo fra tutti è proprio il protagonista, Naruto Uzumaki, che soffre per via della sua solitudine ma che, al tempo stesso, cerca in tutti i modi di farsi accettare dal proprio villaggio i cui abitanti lo denigrano per via della sua condizione.

 

Il dolore come Deus ex machina

Il dolore, all’interno di tutto il manga, diviene una forza generatrice che trasforma, manipola ed evolve tutti i personaggi, un Deus ex machina, appunto. Anche gli antagonisti devono affrontare il dolore del loro passato che li ha poi portati ad essere la loro forma ultima, e ne sono un esempio lampante personaggi come Madara Uchiha che punta a creare un mondo privo di sofferenza, facendo ricadere tutti gli esseri viventi all’interno di un’illusione. Obito Uchiha, a sua volta, è una figura che per il troppo dolore nega la realtà stessa privandosi addirittura della propria identità pur di raggiungere il proprio scopo. In questi due personaggi, inoltre, si può notare la volontà di trovare una via d’uscita dalla sofferenza che si sposa con la filosofia orientale, la quale afferma come l’unico modo per abbandonare la sofferenza sia la rinuncia totale e volontaria della propria corporeità.

A questa visione si contrappone quella del protagonista stesso, poiché Naruto, piuttosto che accettare una realtà effimera e finta, preferisce una realtà dove vi sia anche il dolore. Questa contrapposizione tra Madara e Obito, e lo stesso Naruto, ci portano dinnanzi al bivio di tutta l’opera. Ogni personaggio ha affrontato il dolore nel corso della propria vita e ognuno di essi ha reagito ad esso; la differenza sta nel modo in cui i singoli personaggi hanno scelto di reagire a quel dolore, e qui, ritroviamo la differenza tra le scelte prese da personaggi come Madara e Obito, e la scelta che invece ha fatto Naruto. Il giovane protagonista, infatti, sfrutta quel dolore come punto di partenza in quella che poi diviene resilienza.

Il personaggio che, però, più di tutti gli altri all’interno dell’opera di Kishimoto vive un rapporto quasi simbiotico con il dolore è Pain, alias di Nagato Uzumaki, che diviene quasi l’incarnazione stessa di quest’emozione. Il nome Pain, infatti, significa dolore ed è esattamente ciò che il suo personaggio si pone come scopo, ovvero, quello di riversare tutto il suo dolore sul resto del mondo affinché tutti possano capire cosa significhi davvero soffrire. La figura di Nagato è una delle più complesse di tutto il manga di Kishimoto, un uomo che, si pone come analogia religiosa del cristianesimo cercando di redimere l’umanità facendole vivere intensamente il dolore, poiché solo attraverso di esso l’uomo può scoprire le sue possibilità di crescita e cambiamento.

Pain è un personaggio che vuole imporre al mondo la sua visione di salvezza. Secondo Pain, infatti, coloro che non conoscono il dolore e la sua natura più intrinseca, non potranno mai conoscere sul serio il valore della vera pace. Una visione, questa, che verrà poi ostacolata e fermata da Naruto, il quale gli mostrerà come anche attraverso la compassione reciproca degli uomini il dolore può essere alleviato fino a raggiungere la pace. La saga di Pain è considerata dai più come l’apice dell’intera opera di Kishimoto, e per tanti il fiore all’occhiello di Naruto. L’analisi intima delle emozioni umane, ma specie del dolore, hanno senza dubbio conquistato i cuori di milioni di lettori. Non a caso, ancora oggi ad opera finita, Naruto si contende il posto come il manga più simbolico tra i Big Three.

 

One Piece

L’ultimo, ma non per importanza, dei Big Three che andiamo ad analizzare è l’opera di Eiichiro Oda, ovvero, One Piece. Il manga che è stato definito come il manga dei record e che ad oggi – a ventisette anni dall’uscita del primo capitolo – conta più di 500 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Un vero e proprio successo editoriale straordinario mai detenuto prima da questo tipo di opera giapponese.

Quando si parla dei Big Three e, quindi, dei tre manga che salvarono Shōnen Jump – da un calo di vendite dovuto alla fine di Dragon Ball – One Piece è quasi certamente il primo dei tre che fa capolino tra i pensieri di tutti. Probabilmente, questo è anche dovuto al fatto che One Piece è l’unico dei Big Three ancora in corso, mentre Naruto e Bleach sono terminati già da qualche anno. Ma cosa rende One Piece così particolare da essere definito da molti come l’attore principale tra i Big Three? Le risposte a questa domanda sono, in verità, molteplici.

Se nel caso di Bleach le tematiche spaziano tra il folklore e la mitologia giapponese unite ad un elevato livello nei combattimenti, e in Naruto ci si tuffa in una vera e propria analisi delle emozioni umane e del dolore in tutte le sue sfaccettature, nel caso di One piece, invece, ci ritroviamo dinnanzi alla costruzione di un worldbuilding che ha dell’incredibile. Andiamo insieme a scomporre questo tassello per avere un’idea ancora più chiara dell’assurdo lavoro che Eiichiro Oda ha fatto e sta continuando a fare di anno in anno.

 

Il worldbuilding del maestro Oda 

Tanto per cominciare, dobbiamo chiarire che l’intera storia di One Piece è divisa in due parti. Una prima parte che va dall’inizio della storia fino al salto temporale di ben due anni e che si divide in sei saghe, ognuna delle quali è composta da più archi narrativi. La seconda parte di One Piece comincia, invece, subito dopo il salto temporale di due anni e andrà avanti fino alla fine dell’opera. Questa seconda parte è suddivisa in quattro saghe, anch’esse composte da più archi narrativi, e attualmente, ad agosto 2024, ci stiamo avviando verso la fine del primo arco narrativo di quella che è l’ultima saga dell’opera.

Ciò che rende l’universo di One Piece così affascinante è senza dubbio la capacità con cui Oda ha costruito ogni più effimero dettaglio fin dall’inizio. In One Piece tutto torna, e no, non per una questione di fan service come spesso accade in altre opere, ma perché è esattamente ciò che deve accadere. Il genio di Eiichiro Oda sta proprio nell’aver delineato la storia fin dall’inizio, l’autore stesso ad esempio, ha dichiarato di sapere fin dall’inizio come sarebbe finito One Piece e che non ha mai cambiato idea al riguardo in questi ventisette anni. La costruzione dell’universo di quest’opera è qualcosa di magistrale, una storia che inizia ponendo davanti al lettore quella che sembra una semplice avventura per poi sconvolgerlo man mano che si va avanti.

La divisione dell’opera in due parti non è un caso, ma una linea di pensiero ben congegnata. Dal momento in cui si svolge l’arco narrativo precedente al salto temporale, infatti, il lettore si rende subito conto che l’andamento della storia e dei personaggi stessi subirà un cambiamento profondo. I toni della storia nella seconda parte dell’opera risultano molto più densi e pesanti, le tematiche affrontate diventano più scrupolose e sentite, ma soprattutto, ci si rende conto che ciò che si credeva fosse la storia di un ragazzo che prende il mare per diventare re dei pirati, non è neanche la punta dell’iceberg di ciò che invece nasconde questo mondo.

 

One Piece come specchio del nostro mondo 

One Piece è uno specchio della nostra società, mette in luce tematiche sociali molto spesso spinose da affrontare nella vita di tutti i giorni, eppure, Oda riesce in maniera superlativa a districare questi nodi insidiosi con parole tanto semplici quanto sconvolgenti. One Piece è un mondo che viene fuori un po’ per volta, spesso lasciando che passino anni tra un cambiamento e l’altro proprio per permettere al lettore di entrare in simbiosi con i personaggi e con il contesto per assimilare ogni più piccolo dettaglio.

Ci ritroviamo a scoprire che esiste un periodo di storia – i 100 anni di vuoto – che il governo mondiale ha cancellato dalla storia vietandone lo studio. Scopriamo che la D portata nel nome da alcuni personaggi ha un significato sconosciuto ma temuto dal governo stesso che cerca in tutti i modi di eliminare e arginare questi personaggi. Salta fuori la verità sul frutto del diavolo del protagonista stesso – i frutti che conferiscono poteri a chi li mangia – dopo più di mille capitoli. Veniamo a conoscenza di una guerra avvenuta 800 anni addietro durante il sopracitato secolo buio, una guerra probabilmente che non è mai finita. Insomma, il worldbuilding creato da Oda negli ultimi ventisette anni è qualcosa di sublime e che continua a tenere tutti i lettori e gli appassionati sul filo del rasoio capitolo dopo capitolo, scoperta dopo scoperta, in attesa di scoprire quali altre verità porterà alla luce.  

 

I temi sociali e le denunce alla discriminazione 

L’altro punto cardine che caratterizza One Piece sono le tematiche sociali che ritroviamo all’interno del manga, a cominciare proprio dalla figura di Luffy, il protagonista – che incarna fin dall’inizio il concetto stesso di libertà e di uguaglianza – infatti, si caratterizza per essere un personaggio che vive e percepisce qualsiasi diversità gli venga messa dinnanzi con entusiasmo e curiosità. Luffy resta sempre affascinato da ciò che lo circonda e che si discosta dal mondo che ha conosciuto fin da bambino.

Durante il viaggio che lui e la sua ciurma affrontano, si ritrovano ad incontrare innumerevoli personaggi di razze e culture diverse, luoghi fantastici e lontanissimi, ma mai nel protagonista si percepisce un senso di distacco verso ciò che è diverso da quello che conosceva. Tutt’altro, il modo assurdamente semplice con cui Luffy gestisce questi incontri e le sue reazioni dinnanzi a luoghi completamente differenti da ciò che ha sempre conosciuto, risultano per il lettore ancora più impattante. Luffy non muove alcuna differenza nei confronti di personaggi lontani dalla sua realtà, ma ne è invece estremamente incuriosito, oltre che cercare sempre e comunque un punto di contatto.

Le tematiche sociali che ritroviamo in One Piece sono tantissime e, questo, perché come già detto pocanzi, l’intera opera è uno specchio del nostro mondo e della nostra realtà. Ogni arco narrativo che vede protagonisti Luffy e la sua ciurma finisce sempre col ruotare magistralmente attorno ad un tema sociale di punta, dialoghi che non necessitano di paroloni per arrivare dritti al cuore e alla mente dei lettori. Ciò che risulta superlativo è, invece, l’estrema emotività che si percepisce nelle parole semplici ma sentite che il genio di Oda riesce a trasmettere attraverso i suoi personaggi.

Si pensi ad archi narrativi precedenti il salto temporale, come quello di Enies Lobby, in cui Luffy e la sua ciurma dichiarano apertamente guerra al governo mondiale e al personaggio di Nico Robin che fa scoprire pian piano un tema fondamentale, quello dei governi totalitari. Infatti, viene a galla come il governo stesso fece passare per criminali gli abitanti della sua terra natia giustificando al mondo la distruzione dell’isola. Ancora, nell’arco di Alabasta vi è il tema della guerra civile e di ciò che ne consegue, o al tema del lutto e del sentirsi deboli nell’arco della guerra di supremazia. Se passiamo invece nella seconda parte dell’opera dove le tematiche diventano più intense, possiamo fare riferimenti ad un’infinità di vere e proprie denunce sociali. Basti pensare al tema del razzismo e della discriminazione che incontriamo nell’arco dell’isola degli uomini-pesce; il tema dell’inquinamento, dell’ambiente e di violenza contro innocenti e poveri nell’arco di Wano, o ancora, il sopruso di potere e la schiavitù che incontriamo a Dressrosa.

 

Personaggi come specchio di tematiche sociali 

L’intera opera di One Piece è costellata da personaggi che incarnano e sono essi stesso risultati di tematiche e denunce sociali insidiose. Personaggi che sono sfuggiti allo sfruttamentocome la stessa Nami con Arlong– personaggi che hanno addosso il peso di un passato traumatico e vittime della corruzione del governo, come Nico Robin e Trafalgar Law. Personaggi che sono vittime di razzismo e discriminazione – gli uomini-pesce – e ancora, la miriade di soprusi e violenza che hanno messo in ginocchio intere nazioni.

Insomma, ciò che rende One Piece il manga tra i Big Three che continua a rompere record su record, può essere solo inteso come un connubio di genio e fantasia, ma anche di spiccata arguzia nel mettere in luce temi che spesso nella nostra realtà stanno decisamente stretti. Il mondo che Eiichiro Oda ha creato, tra un worldbuilding pazzesco e l’intersezione perfetta con tematiche sociali sempre e indistintamente attuali, hanno reso e rendono One Piece il manga di cui tutti aspettano costantemente il prossimo colpo di scena che ribalta la storia per l’ennesima volta. Non è un caso, quindi, che sia entrato di diritto tra i tre manga che salvarono Shōnen Jump. I lettori di tutto il mondo e gli amanti di questo genere di storytelling, infatti, non perdono occasione per sviluppare teorie su teorie sul futuro della trama e sul come si concluderà l’opera.

Quello che è certo, è che tutti e tre i Big Three hanno sì salvato Shōnen Jump risollevandone le vendite e infrangendo qualsiasi concorrenza, ma se sono così amati la ragione è probabilmente più semplice del previsto. Tutte e tre le opere incarnano un particolare aspetto della cultura giapponese, ovvero, il modo quasi filosofico che la tradizione nipponica ha di interpretare la vita e il suo significato. Non è un caso, infatti, che One Piece, Naruto e Bleach inducano il lettore a riflessioni profonde, su temi e situazioni diverse, più o meno impattanti che siano, ma che spronano chiunque a riflettere e ad aprirsi davanti a nuove prospettive.

E voi? Conoscevate queste differenze tra i Big Three? Qual è il vostro manga preferito della triade d’oro?

 

Fonte immagine: Wikipedia 

 

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