Helpis Onlus: La Panchina Gialla contro il Bullismo

Helpis

La speranza si diffonde attraverso un simbolo tangibile: le Panchine Gialle® contro il Bullismo e il Cyberbullismo. Recentemente, Helpis Onlus ha inaugurato una di queste panchine a Castel Volturno, testimonianza del loro impegno nel contrastare il bullismo e il disagio giovanile. Helpis, acronimo di “elpis” (speranza in greco), è un’Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale che opera su tutto il territorio nazionale.

Fondata nel novembre 2005, Helpis si dedica alla tutela dei minori e alla lotta contro il bullismo e il cyberbullismo. Il bullismo è un tema sempre e purtroppo attuale, tanto che la Rai ha realizzato dei programmi dedicati alla prevenzione e all’informazione su questo fenomeno. Grazie al loro progetto nazionale Panchina Gialla® contro il Bullismo, hanno ottenuto il patrocinio del Ministero dell’Interno e dell’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani.

L’intervista che segue ci permetterà di approfondire il lavoro di questa importante organizzazione e l’impegno del suo Presidente, Gino Fanelli.

Abbiamo già affrontato il tema del bullismo, con consigli e indicazioni, ma nel vasto panorama delle organizzazioni non profit che si dedicano alla lotta contro il bullismo e il cyberbullismo, Helpis Onlus si distingue per il suo impegno: la missione di contrastare il bullismo, il cyberbullismo e il disagio giovanile in tutte le sue forme, proteggendo i minori.

Grazie al suo metodo innovativo e all’utilizzo di simboli potenti come le Panchine Gialle®, Helpis ha guadagnato un ruolo centrale nella promozione di una cultura del rispetto e della consapevolezza. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il presidente di Helpis, Gino Fanelli, per scoprire di più sulle loro attività e sull’impatto che stanno avendo nella società.

Chi siete e cosa vi ha mosso ad aprire la onlus Helpis?

«Sono Gino Fanelli il presidente di Helpis Onlus. Era Novembre 2005 quando è iniziata questa avventura. Non direi cammino, ma proprio avventura. Dopo aver fatto esperienze con adolescenti in centri di formazione a contatto con una fascia di studenti che hanno poca voglia di studiare – per dirla in modo soft- mia moglie mi ha spinto a fare qualcosa per loro. Da lì è partita Helpis. È iniziato tutto con un foglio bianco, perché non sapevamo proprio cosa fare. Siamo cresciuti grazie agli spunti dei ragazzi. Abbiamo sempre lavorato ascoltando loro e cercando di capire cosa serviva a loro.
Da parte di noi adulti, pensare cosa serve ai ragazzi e pensare di imporglielo, è il primo errore. Ovviamente non si può fare tutto ciò che vogliono e assecondare solo i loro desideri. Ma dobbiamo capire se ciò che vogliamo noi fare è in linea con loro, è giusto per loro. Le cose che noi da adulti pensiamo, al 98% non sono efficaci per gli interventi con i ragazzi.»

Quali sono state le vostre difficoltà di inserimento? è stato difficile inserirvi a livello sociale e creare il vostro giro?

«Noi lavoriamo quasi unicamente andando nelle scuole. Ed è stato molto difficile entrare in questi contesti perché eravamo un “fastidio”, in quanto toglievamo ore alla didattica. Abbiamo inizialmente lavorato per Pavia e territori vicini, ma ora lavoriamo su tutta Italia e possiamo dire di aver individuato un problema: oggi chi insegna non ha più quella facilità di insegnamento che aveva anni fa, se facile si può definire. Oggi ignorare certe cose non è più possibile, bisogna fare i conti con le situazioni che si attivano tra i ragazzi e ne compromettono il benessere e l’apprendimento. Capire certe dinamiche in classe è diventato un problema, quindi anche gli insegnanti e lo staff scolastico ti ascoltano in modo diverso. Negli ultimi anni si è ribaltata la situazione perché hanno capito che siamo una risorsa».

Quali sono i vostri servizi?

Offriamo 3 tipi di servizi. Il primo è rivolto agli incontri nelle classi. Facciamo quarte e quinte elementari, facendo qualche puntatina in terza e seconda. Ora ci stanno chiamando anche per una prima elementare. Questo fa capire le difficoltà che vive chi si occupa di formazione. Se ci chiamano in prima elementare, forse c’è un problema.
Poi ci occupiamo di formazione agli insegnanti, forniamo un metodo per entrare in classe. E infine facciamo incontri con i genitori
E poi abbiamo la panchina gialla. Siamo quasi a 65 panchine inaugurate.

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A proposito di questo, come funziona la Panchina Gialla? Come è nato questo simbolo?

«Avevamo visto che una scuola aveva dipinto una panchina di colore giallo, così insieme a mia moglie abbiamo pensato “ma perché non ne facciamo un simbolo?” Se la scuola o il comune mette una panchina gialla nel cortile o sul territorio, simboleggia qualcosa di importante.
Ogni panchina inaugurata da Helpis viene numerata con numeri progressivi ed è mappata. Sul nostro sito è possibile trovare la cartina completa. Questo da più forza alla nostra mission e fa capire che non si tratta di una singola panchina, ma di tutta una rete di panchine, quindi di un progetto su vasca scala.
Siamo inoltre molto contenti dei patrocini ottenuti: il Ministero dell’Interno, che è l’Ente più alto che può conferire questo patrocinio. Inoltre abbiamo ottenuto il patrocinio dell’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani – e come riconoscimenti direi che non potevamo aspettarci di meglio. La cinquantesima panchina è stata inaugurata il 7 febbraio 2023 all’interno del Palazzo della Camera dei deputati. Questa panchina specifica dà valore a tutte le panchine in giro per l’Italia ma deve a tutte loro il fatto di essere lì. La richiesta della panchina è venuta proprio dalla Camera.»

Questo significa che la vostra missione interessa anche i piani alti

«Non ci piace darci delle arie, ma riteniamo di essere “sul pezzo”, come dicono i ragazzi. Ricordo che già nel 2006, quando il nostro progetto era neonato, c’era stato un caso di suicidio e organizzammo già un primo evento sul tema. Si trattava di un convegno dal titolo “Bullismo: che fare?” e quello fu per noi un piccolo banco di prova: anche se in quell’occasione non presi parola perché ancora non mi ero addentrato totalmente nel campo, ci trovammo già a nostro agio, perché la voglia di fare era tanta. In quell’occasione ricevemmo i primi feedback positivi e capimmo di essere in un territorio che vale la pena abitare.
Il bullismo è una tematica che tocca tutti, ma si sa poco cosa fare. »

Recentemente avete fatto un’esperienza a Napoli, ce la raccontate? Chi vi ha invitato, dove siete stati, chi avete conosciuto?

«Quella di Castel Volturno è l’ultima. Abbiamo inaugurato a Caivano la panchina numero 2 nel 2019. Poi ne abbiamo inaugurate due a Napoli e a Frattamaggiore. Questa per noi è stata la quinta panchina a Napoli e abbiamo preso contatti per farne un’altra.
In Campania subiscono un po’ l’etichetta dell’essere “campani” ma in realtà abbiamo riscontrato tante adesioni, ci hanno dato anche una targa. Hanno coinvolto le scuole medie e superiori. Un indirizzo alberghiero ha preparato un rinfresco con un menu a tema, è stato un evento molto sentito e tutti avevano un braccialetto giallo, il nostro colore.»

Avete fatto altri interventi a Napoli? Come la trovate come città, a livello di bullismo?

«Alcuni paesi non sono tra i più tranquilli, ma ti dico che spostandoci attraverso varie zone d’Italia, gli adolescenti sono sempre gli stessi, si comportano sempre nella stessa maniera. Poi, certo, ovviamente ci sono zone con più dispersione scolastica e con più problematiche. Ma le situazioni estreme ci sono ovunque. Noi siamo di Pavia e ti assicuro che anche qui alcune zone non se la passano bene.
Ma noi operiamo nelle scuole e lì, tra i banchi, guardando in faccia gli studenti, gli adolescenti sono adolescenti al di là del parallelo d’Italia.»

I bambini e ragazzi vi adorano, come mai? Quale pensate che sia il vostro punto forte? Come si entra in comunicazione con loro?

«È semplicissimo. Basta che prima di parlare li ascolti. Dei ragazzi in una classe ci hanno detto “voi non ci parlate sopra”, questo è un grande messaggio. Li devi ascoltare. I nostri interventi funzionano così: in un’ora di tempo al 60% faccio domande a loro e al 40% parlo io. Si tratta di domande secche, faccio molto parlare loro, li lascio esprimersi. Ogni nostro intervento è diverso dall’altro, non è un lavoro che io preparo prima, non proietto slide e non preparo le domande; è in base a ciò che vedo che io creo il mio incontro. Potrei parlare ore e ore della materia che ormai conosco, ma non servirebbe a nulla, perché devo ascoltare loro. I bambini piccoli di quarta o quinta ascolterebbero per ore, ma non è questo il metodo che usiamo noi.

Anche in questo modo si impara a conoscerli ed entrare nel loro mondo. Quando si sentono ascoltati, si capisce dalle loro risposte se hanno avuto delle esperienze oppure no. La comunicazione verbale e non verbale fa tanto.
Entrare in classe dicendo “non si trattano male i compagni” non serve a nulla, è solo una lezione fine a se stessa.

Se noto una situazione conflittuale, io domando allo studente “Marco, perché fai questa cosa qua al tuo compagno? Secondo te il tuo compagno come si sente?”.
A queste domande alcuni ragazzi fanno fatica a rispondere e tutti gli altri ridono. Questa è una situazione che analizziamo spesso in classe, perché si verifica con molta frequenza. In questi casi domandiamo “secondo voi cosa succede quando voi ridete del vostro compagno?”. E da lì parte la loro riflessione.
Un’altra cosa molto importante che spesso emerge è il silenzio. A volte si crea in aula un’aria pesante senza bisogno di dire niente. È tutta roba che sta arrivando, sono messaggi e riflessioni che si stanno generando.
Quando domando ad un ragazzo “secondo te cosa sta provando il tuo compagno?” molto spesso la prima risposta è “ma niente, stiamo solo  scherzando”. Accolgo questa come difesa preliminare e poi gli chiedo “ma sei sicuro?” e lì innesco una riflessione a livello più profondo.
Lo faccio in modo molto sereno e così ottengo feedback positivi.

Buongiorno,
nella giornata di ieri mia figlia ha partecipato ad un incontro tenuto da Helpis presso la scuola primaria di Casinalbo.
Desidero ringraziarvi perché è tornata a casa entusiasta. Ci ha raccontato:
“Mamma, avevamo un incontro sul bullismo e io pensavo fosse una cosa così (sguardo annoiato) invece c’era un signore che diceva cose vere, non parlava come i libri di scuola.”
Ci ha spiegato che si aspettava un elenco di belle raccomandazioni e invece questo signore prendeva delle cose che succedevano sul momento e le portava all’attenzione dei bimbi dando una lettura profonda di quella risatina o di quel gesto fatto in sordina. Ha concluso:
“Ho capito che si chiama Gino. Possiamo segnarcelo? Così quando leggi un’iniziativa con il suo nome… lì vale la pena andarci!”.

Questo è un estratto della mail ricevuta dai genitori di una bambina di 10 anni dopo aver avuto un incontro a scuola con noi di Helpis. Non saremmo mai riusciti a scrivere così bene ciò che lei ha detto a parole. 
Ci hanno ringraziati riconoscendo il nostro lavoro, poiché hanno visto attraverso gli occhi della loro bimba il segno tangibile di un intervento educativo importante, fatto con anima, cuore e tecnica, che ha toccato le giuste corde. Noi siamo grati a tutti questi genitori per la fiducia e i feedback che ci danno, ci motivano ad andare avanti nella nostra missione.

Il nostro segreto è che noi usciamo dallo schema che loro immaginano. E questa è una strategia vincente.
Non forniamo agli studenti delle lunghe lezioni, ma li ascoltiamo, li stimoliamo e teniamo alta la loro attenzione. Da noi si dice “”Fa balla l’oeucc”, letteralmente “fai ballar l’occhio”, un invito a restare vigile e attento.»

Cosa chiedete alle persone e perché è così importante? Parliamo del 5×1000

«Il 5×1000 viene fatto nella dichiarazione dei redditi. La cosa più importante è che per chi fa questa scelta non costa nulla, non è un ulteriore esborso. Un pezzettino della propria vita dedicato ad una causa importante.
Non è un dono, non ci piace definirlo così. Si dice “destina” il tuo 5×1000, infatti. Ci è utile per continuare a girare, poiché le scuole non sempre riescono a sostenere tutti i costi per i progetti da portare avanti, non sempre hanno tutti i fondi per finanziare i nostri interventi. Il 5×1000 per noi è importante per continuare le nostre attività nelle scuole.»

Che messaggio sentite di voler lanciare alle scuole?
«Alle scuole il messaggio è molto semplice: di non aver vergogna e non mettere la testa sotto la sabbia dicendo cose come “nella mia scuola non c’è bullismo”. Dove ci sono ragazzi, è normale che ci sia bullismo, perché caratterizza quella fascia di età. Non esiste scuola indenne. Non è vero che le scuole peggiori hanno bullismo e le scuole migliori non ne hanno. Il bullismo non è solo l’atto di violenza, ma è spesso più subdolo. I genitori molte volte dicono che le scuole non vedono nulla e non stanno attente, accusano questa mancanza. Il fatto è che in molti casi se non vengono formati bene gli insegnanti, la scuola non sa cosa fare ed etichetta il bullismo come “una ragazzata”. Con una buona formazione, invece ,tutto ciò non accadrebbe. La scuola sarebbe più attenta ad individuare i casi di disagio e le famiglie si sentirebbero più accolte nei loro bisogni.
Molte volte, infatti, gli insegnanti durante i miei interventi si stupiscono e mi dicono “li hai beccati tutti!”, ma non è che li becco tutti, è che conosco il fenomeno, so intercettarlo.»

Un messaggio per i ragazzi?
«State attenti: per sentirsi fighi non bisogna fare male al prossimo.
Una frase che vorrei far passare come un messaggio è: “non fate i forti con i deboli e i deboli con i forti” e, per finire: “non sono figo se faccio star male un mio amico”.»

Immagine di copertina: Helpis Onlus

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