In questo libro trasformo Pinocchio in guaglione, lasciando la sua storia invariata ma dandogli una voce napoletana
Venerdì 24 Novembre, nella splendida cornice di Palazzo Venezia, si è tenuta la presentazione del libro “Pinocchio di Carlo Collodi tradotto ‘a llengua napulitana da Davide Brandi”.
Dialogo con l’autore Davide Brandi
Durante la presentazione, moderata da Tommaso D’Alterio, l’autore racconta come si sia cimentato in un esercizio linguistico patendo dal dialetto fiorentino di tardo Ottocento, in cui è scritto questo grande classico, fino ad arrivare a quello napoletano. L’incontro è stato poi inframmezzato dalla lettura di alcuni passaggi, grazie alla voce dell’attore Gianni Caputo che ha permesso con il suo trasporto ai presenti in sala di tornare bambini, seppur per pochi istanti. Si è concluso con l’esibizione canora di Francesca Curti Giardinia: il testo di ‘O sarracino di Renato Carosone è stato riadattato da Davide Brandi in ‘A guarattèlla.
Tutti conosciamo “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi, pubblicato nel 1883 e diventato ben presto un caso editoriale. Uno degli elementi che ha conferito popolarità al romanzo rendendolo attuale tutt’oggi è l’abilità di Collodi di far leva sui sentimenti, riuscendo a coniugarli in un alternarsi di vicende picaresche e insegnamenti morali. Non sorprende quindi che questo libro riesce ad affascinare ancora molti bambini e non solo, andando a stanare il monello che è o è stato in ognuno di noi. Davide Brandi infatti confessa che sebbene si trovasse per la prima volta di fronte a un progetto simile, con i conseguenti timori ad approcciarsi ad un grande classico, da un’iniziale cautela ha constatato poi con piacere che le modellate di Pinocchio si sposavano alle sue da ragazzo. Anche da un punto di vista linguistico, viene sottolineato come il napoletano si presti a trasmettere i sentimenti altalenanti presenti ne “Le avventure di Pinocchio”, poiché vi è una facile identificazione col protagonista.
La riscoperta della lingua napoletana scritta
Durante il dialogo con l’autore viene chiesto perché si fosse limitato solamente ad una traduzione e non si fosse spinto ad una trasposizione. Davide Brandi risponde che il racconto è rimasto invariato e si è limitato ad esprimere in napoletano quello che Collodi ha scritto nel toscano dell’Ottocento. Dunque luoghi reali e nomi rimangono invariati. Viene fatto notare come sarebbe stato inutile trovare una variante partenopea dello stesso Pinocchio: la “pinocchia” in lingua toscana dell’Ottocento corrisponde al pino e Pinocchio quindi è il pinolo.
Altro discorso invece vale per i luoghi di fantasia (si pensi al campo dei miracoli e al paese dei balocchi) e i soprannomi. Essendo Napoli la patria dei soprannomi, l’autore confessa il suo divertimento nel trovare il corrispettivo napoletano: vediamo dunque che il burattino diventa ‘a guarattèlla, il gatto e la volpe ‘a jatta e ‘a vorpe, il grillo parlante ll’arillo parlanne e così via…
Davide Brandi afferma di aver attinto alla conoscenza del mondo della fiaba di Giambattista Basile e come ciò lo abbia facilitato nella traduzione del fantastico. Evidenza come però l’eredità di Basile sia da collocare nel Seicento e manchino figure altrettanto di rilievo nei secoli successivi.
Lavori come questo possono essere dunque un ottimo punto di partenza per approcciarsi alla lingua napoletana scritta, chiaramente differente da quella parlata, con una sua rilevanza letteraria nonché artistica.
Fonte immagine in evidenza: ufficio stampa