La moda giapponese: come si è evoluta nei secoli e quali sono le tendenze del momento

La moda giapponese: come si è evoluta nei secoli e quali sono le tendenze del momento

Se pensiamo a quella che oggi è la moda giapponese, immaginiamo automaticamente un grande colosso di innovazione misto a cultura, che nei secoli ha preservato particolari capi tradizionali misti alle nuove tendenze molto spesso portate in circolo dagli stessi stilisti giapponesi. Ma, vediamo come la moda nipponica si è evoluta nei secoli e quali sono i capi cardine della stessa.

Periodo Jomon (10000 a.C. – 300 a.C.) e Yayoi (300 a.C. – 300 d.C.)

Nel primo e più antico periodo, l’unica forma di abito di quella che possiamo definire “moda giapponese” era costituita da pelle di animali. Nel periodo successivo le donne iniziarono a indossare un tipo di abito detto kantoi costituito da una sorta di gonna e un vestito legato alla vita da una cintura di cotone. Gli uomini invece indossavano lo yokohaba no nuno, costituito da due ampi pezzi di tessuto annodati uno sul petto a coprire le spalle e uno sulla pancia a coprire il corpo fino alle ginocchia.

Periodo Asuka (538–710 d.C.) e Nara (710 d.c. 794 d.C.)

L’influenza della Cina fu molto forte durante questi periodi, infatti ad essere influenzate furono anche le tecniche per tingere i tessuti che iniziarono ad avere colori sgargianti. A corte, gli uomini indossavano hakama di colore verde, una gonna plissettata ed una giacca arancione fermata da una cintura. Portavano inoltre un copricapo, sempre di colore arancione. Le donne indossavano, al posto degli hakama, un mo anch’esso arancione ed i capelli lunghi erano raccolti dietro la schiena.

Periodo Heian (794 d.C.-1185 d.C.)

Durante il periodo Heian, la cultura giapponese ha conosciuto una fioritura straordinaria in tutte le forme d’arte e l’abbigliamento di corte ha raggiunto un’elevata varietà, portando ad un altro livello la moda nipponica. Di queste varietà, ricordiamo la più importante: nyōbō shōzoku, l’abito di una dama di corte. Questo abito particolare è stato recentemente definito jūnihito-e, che letteralmente significa “12 abiti diversi”. Le donne infatti indossavano tante gonne una sopra l’altra, anche fino a venti di esse. Più strati erano indossati, più alto era il prestigio ed il rango della donna che li indossava. Il colore specifico di ciascun strato era più importante delle decorazioni stesse, infatti erano circa 200 le regole che stabilivano la combinazione di colori del kimono. I colori erano impostati per riflettere le stagioni e le loro caratteristiche, rivelando il profondo legame che i giapponesi avevano e hanno tutt’ora con la natura circostante. Da novembre a febbraio i kimono sono bianchi fuori e rossi dentro, a marzo ed aprile invece sono lavanda fuori e blu dentro. Lo strato più interno è il kosode, nome che non si riferisce alla lunghezza della manica ma alla sua apertura, lo strato più esterno è il karaginu, poi vi è l’uchikake. Somigliante  al nyōbō shōzoku, ma con un colore più tenue, l’abito indossato quotidianamente dagli uomini di corte è noto come kariginu. 

Periodo Kamakura (1185-1333) e Muromachi (1336-1573)

I nuovi governanti del bakufu indossavano abitualmente lo hitatare, mentre le loro mogli il kosode, che inizialmente era portato sotto altri abiti; solo in occasioni importanti portavano l’uchikake.

Periodo Azuchi-Momoyama (1573–1603) e Edo (1603-1868)

Nascono i quartieri del piacere popolati di geisha e attori del kabuki che lanciano nuove mode. Malgrado la varietà degli abiti sia molto vasta, l’abito femminile resta fondamentalmente il kosode e quello maschile il kamishimo, composto da kataginu, una giacca con le maniche corte e dai nagabakama. I guerrieri di alto rango continuano ad indossare il kariginu. I cittadini comuni indossavano il kosode e lo haori.

Il Kosode

In determinati periodi della storia giapponese, il modo in cui le persone vestivano era strettamente regolato dallo stato. Durante il periodo Edo, l’arte e l’abbigliamento subirono cambiamenti significativi. In particolar modo, il Kosode (小袖) dal giapponese ko= piccolo e sode= manica, divenne più importante e bello come abito femminile. Nel tempo, le tecniche di tintura e decorazione sono state perfezionate sia nel colore che nel ricamo, producendo un effetto distinto di raffinatezza e grazia. I motivi decorativi dell’abbigliamento maschile e femminile iniziarono a differire. I decori diventarono sempre più colorati sugli abiti femminili e piccoli e semplici su quelli maschili. Durante il periodo Edo, il kosode divenne sempre più popolare e la moda iniziò ad essere influenzata dagli stili elaborati di cortigiani, artisti e attori del Kabuki, una delle principali forme di teatro giapponese dal Medioevo al XVII secolo in poi. Di conseguenza, lo shogunato emanò una serie di sontuose leggi che regolavano quale abbigliamento fosse appropriato per ogni classe sociale ed in quale occasione. Gli abiti lussuosi erano riservati all’aristocrazia, la seta non era concessa alle classi sociali inferiori, soprattutto contadine, e l’uso di questa particolare e pregiata stoffa da parte delle donne non abbienti, era severamente punito. 

Periodo Meiji (1868-1912)

Vediamo il Giappone fortemente influenzato dall’Occidente, di cui cercò di imitare la tecnologia e l’industria avanzate. Il governo invitò il popolo ad utilizzare abiti in stile occidentale e nelle cerimonie formali i kimono con gli emblemi di famiglia.  

Il Kimono

La parola “kimono” significa, in giapponese, “abito” (ki – da kiru, vestire e mono – cosa) ed è stato “eletto” come abito nazionale data la sua connotazione di “abito tradizionale giapponese per eccellenza”. In origine, il termine era usato per qualsiasi indumento; successivamente ha definitivamente assunto il significato specifico di un abito lungo indossato da entrambi i sessi e da tutte le età. Il termine “kimono” iniziò ad essere usato nel XIX secolo per distinguere l’abbigliamento giapponese da quello occidentale noto come yōfuku. Ottenuto da una combinazione di pezzi rettangolari di tessuto, non esalta le curve del corpo come tende a fare l’abbigliamento occidentale: al contrario, le nasconde completamente e chi li indossa deve muoversi con grazia e ponderatezza.  È una veste lunga fino alla caviglia che ha la caratteristica di avere una forma a “T”, le maniche sono solitamente molto larghe al polso arrivando fino a mezzo metro; viene poi avvolto intorno al corpo e trattenuto da un’ampia cintura, annodata dietro, nota come “Obi”. Il kimono è composto inoltre da varie parti, ognuna con un nome specifico. Data la complessità della struttura, è difficile per la maggior parte delle donne indossare un kimono senza un aiuto esperto. Ancora oggi ci sono assistenti professionali che intervengono in occasioni speciali (es: un matrimonio o un grande evento festivo) e la scelta del tipo e del colore del kimono riflette l’età della donna, lo stato civile e la formalità dell’occasione. D’altra parte, il kimono da uomo è un po’ diverso da quello da donna, in quanto è più facile da indossare. Di solito è di colore scuro: nero, blu, verde  e raramente marrone, ma può essere anche di colori leggermente più vivaci come il viola. 

Geishe e Samurai

Legata alla moda giapponese degli abiti era soprattutto la geisha, che letteralmente significa “artista” e identifica una donna specializzata nel ballo, nel canto e nell’intrattenimento degli uomini giapponesi, ai quali serve il tè e chiacchiera con loro durante cene o feste. Inizialmente, le geishe, si vestivano in maniera sontuosa ed erano coloro che dettavano tendenza. Nel tardo periodo Edo, molte donne domestiche giapponesi cercarono di imitare i lussuosi abiti delle geishe, che venivano spesso copiati in stampa. Nelle occasioni importanti, le geishe, indossano una veste simile a un kimono, nota come susohiki o hikizuri, con un orlo leggermente imbottito in modo da cadere elegantemente sul pavimento e formare uno strascico. Queste vesti presentavano, inoltre, un motivo insolito, diverso dalle solite peonie e fiori di pruno che abbondavano sui kimono di altre donne. Tuttavia, la differenza stava principalmente nel modo in cui questi vestiti venivano indossati: la geisha tirava il colletto del suo kimono fino a scoprire la nuca, poiché questa parte del corpo era considerata il punto focale dell’erotismo giapponese. Continuando sempre questo intento di mettere in mostra il collo, nel periodo Edo nacquero anche acconciature molto accattivanti, minuziosamente decorate con spille, nastri, fiori e pendenti. Per quanto riguarda gli uomini, il personaggio più caratteristico a quel tempo era il samurai. Oltre al codice di condotta, noto come bushido, era rigorosamente stabilito anche l’abbigliamento di questi guerrieri, composto da due parti principali: sopra il kimono si indossavano pantaloni a gamba larga, detti hakama, un gilet dalle spalle molto larghe, detto kataginu, ed una giacca di seta leggera, detta haori, per proteggerlo. Questo costume all’epoca era chiamato kamishimo ed era decorato con piccoli motivi discreti per renderlo poco appariscente. Lo stemma, noto come kamon, era ricamato anche sugli abiti maschili, indicando il rango di chi lo indossava. Realizzato in cotone o seta, l’abbigliamento di un samurai era incompleto senza la katana, la lunga spada della classe guerriera. 

Anni ’70 e la Kawaii fashion e Lolita fashion

Il Giappone è noto da tempo per tutto ciò che è “Kawaii”, dagli anime e manga ai giocattoli e cancelleria. Kawaii (かわいい) è un aggettivo della lingua giapponese che può essere tradotto in italiano come “carino”, “amabile”, “adorabile”. La cultura Kawaii ha portato alla creazione di prodotti, personaggi e tendenze irresistibili che sono amati non solo in Giappone ma in tutto il mondo. In particolare, l’estetica kawaii giapponese ha lasciato un segno anche nel mondo della moda. La moda Kawaii è emersa in Giappone negli anni ’70 come forma di autoespressione da parte delle giovani generazioni ed è diventata estremamente popolare nel tempo. Quando si tratta di vestiti kawaii, si pensa a colori vivaci, dettagli intricati, stampe fantasiose, disegni ed immaginazione da favola. I graziosi outfit kawaii possono essere sofisticati molto simili ai vestiti da bambola con un fiocco ed un’ imbottitura o semplici come un cappotto con orecchie da gatto e una minigonna plissettata. La moda Lolita  è un tipo di sottocultura giovanile emersa in Giappone negli anni ’70, tra le rivolte giovanili. Il concetto si è evoluto principalmente dall’idea di una ragazza principessa, e molte ragazze giapponesi se ne sono subito innamorate. Oggi la moda Lolita si è evoluta in vari settori e, grazie a Internet, questo stile è popolare anche all’estero ed è in piena espansione. Le caratteristiche del look Lolita sono principalmente l’impegno per i materiali e la manifattura dei vestiti: la silhouette classica prevede una gonna lunga fino al ginocchio con una forma a campana data da varie sottovesti, ma si è evoluta fino a comprendere gonne lunghe alla caviglia e corsetti. Camicette, calze al ginocchio e cappelli sono disponibili in un’ampia varietà di forme e colori e ritenuti accessori indispensabili per completare il look.

Anni ’80 ed il cambio di direzione

Più di ogni altro decennio, gli anni ’80 del 900 in Giappone hanno rappresentato un punto di svolta per l’intero paese dal punto di vista commerciale, raggiungendo l’apice della prosperità economica e diventando di fatto una potenza mondiale. Pertanto, il Giappone si mise in competizione con l’Occidente: da un lato ne ha assorbito usi e costumi, dall’altro ha iniziato a proporre una nuova e propria identità attraverso le varie forme dell’arte e quindi anche attraverso la moda nipponica. Fino all’inizio degli anni ’80, la couture si concentrava principalmente sul “grande quartetto” o “big four”: Parigi, Milano, Londra e New York. Esse erano le uniche città che stabilivano standard estetici ed il mondo intero si rivolgeva a queste passerelle per sapere cosa indossare. Lo stile prevalente era quello occidentale e, fino ad allora, non era mai stato messo in discussione o alterato. Se da un lato, a Kenzō Takada va il merito di essere stato il primo grande stilista giapponese ad aver tratto ispirazione dalla poesia e dalla leggerezza sulla passerella parigina, dall’altro si tratta di un trio composto da Issey Miyake, Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto, che ha rotto completamente con il passato e cambiato decisamente rotta. Grazie a loro, la regola dei “big four” scomparve e Tokyo, diventata poi emblema della moda giapponese, divenne centro di grande interesse per la high fashion. I loro abiti, a differenza di tutti quelli realizzati in Occidente, infrangevano tutte le regole di composizione perseguite fino a quel momento: lo scopo principale era quello di esprimere un concetto ed andare oltre al semplice capo indossato per coprire il corpo. L’abbigliamento varia nei tessuti, il taglio diventa asimmetrico, i capi disadorni; vi è un cambio di forma e colore, il quale diventa austero utilizzando per lo più bianco, nero e grigio. I riferimenti al Giappone (soprattutto di Rei Kawakubo) si ritrovano in tutta la filosofia del design di Margiela dalla sua prima collezione nel 1989, in cui ha introdotto le iconiche scarpe Tabi, è diventato per molti versi il simbolo della casa. I Tabi sono, in realtà, un’invenzione giapponese che risale al 15° secolo, quando il cotone veniva importato dalla Cina e quando i giapponesi iniziarono a realizzare calzini con questo materiale dividendo l’alluce dalle dita rimanenti.

Anni ’90 e lo stile ganguro 

La  stravaganza di questo stile all’interno della moda giapponese, è ancora dibattuta oggi. Il ganguro style è  emerso a metà degli anni ’90 come ribellione contro i tradizionali canoni di bellezza giapponesi: capelli neri, un viso pallido ed un trucco neutro. Infatti, in contraddizione al modello di questa bellezza, esso si distingue per abiti dai colori molto accesi, spesso minigonne e zeppe. Il look consiste in capelli decolorati ossigenati, un trucco spesso bianco in contrasto con l’abbronzatura molto prominente e molti accessori (bracciali, collane, orecchini, anelli, ecc.). 

Il nuovo secolo

Da quando il Giappone, e di conseguenza la moda giapponese, ha iniziato a emulare le tendenze e gli stili della cultura europeo-americana alla fine del 20° secolo, quella che oggi viene chiamata “Street Fashion” è emersa e si è evoluta, con una serie di tendenze contemporanee mescolate a quelle tradizionali. Accanto a stili come lolita, visual kei e tutte le sottocategorie da esse derivate, possiamo trovare mode meno rinomate, particolari ed intriganti. Le sottoculture giapponesi si sono diffuse,inoltre, in tutta Italia, dalla moda kawaii ai cosplayer. Questo “pop-giapponismo” è stato un periodo di interesse per le influenze orientali, questo poichè l’impegno della generazione più giovane ad avvicinarsi alla cultura giapponese con una naturalezza sconosciuta alle generazioni precedenti, ed il riconoscimento che differisce dalle due precedenti in quanto ha un interesse nella cultura pop che include cibo (sushi), manga, anime e videogiochi. Vediamo inoltre come la morte di Kenzo Takada nell’ottobre 2020 e di Issey Miyake nell’agosto 2022, segnano la fine di un’era successiva alla rivoluzione innescata dagli stilisti giapponesi in Francia e nel mondo negli anni ’70 e ’80. 

 

Fonte immagine: Pixabay

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