Lello Antonelli è una personalità di spicco della sartoria partenopea: il talento, la qualità e la pregiata fattura dei suoi prodotti hanno spinto persone provenienti da svariate località del mondo a preferire la bella Partenope. Lo stile indiscusso, la gentilezza e l’attenzione alla formazione delle future generazioni sono caratteristiche tipiche dell’artigiano napoletano. Dietro tanto successo vi è un percorso tortuoso, complesso e intricato che ha portato risultati degni di nota.
Lello, innanzitutto come nasce la tua passione per la moda e la sartoria?
Allora, inizia per necessità, ho cominciato a lavorare a 12 anni perché ho perso papà quando avevo un anno e diciamo che con mia madre ci siamo ritrovati dalle stelle alle stalle. Questo perché mio padre era un banchiere, così come suo padre, mentre mia madre era una contadina, il ramo paterno della famiglia non ha mai sostenuto la loro unione e quindi ci hanno diseredati. Quindi all’età di 12 anni sono andato a lavorare, di mattina andavo a scuola e di pomeriggio andavo da questo signore a fare l’apprendista, scelsi di fare il sarto non solo per seguire le orme materne, ma anche perché era il mestiere più adatto alla mia struttura fisica, ero piccolo, gracile. Non so se mi sono appassionato a questo lavoro perché lo avevo nel DNA oppure per una questione personale, mi sono avvicinato a questo lavoro perché era pulito, riparato, poi la passione è cresciuta nel tempo, quando il mio titolare cominciò a complimentarsi e allora cominciai a girare le sartorie napoletane: da via Chiaia al Vomero e apprendevo le tecniche e le abitudini di ogni sartoria, anche perché è da questo percorso che poi nasce la mia sartoria.
A 28 anni mi misi in proprio e aprii la mia attività in un locale della confraternita dei pellegrini, che non mi fu vicino. Cominciai a fare degli aggiusti e a conoscere i primi clienti, poi mi spostai a via Montesanto dove, nel corso del tempo, oltre ad un laboratorio sartoriale aprii un atelier, grazie anche al grande sostegno morale datomi da mia moglie, che ha sempre creduto in me.
Poi negli anni mi sono spostato a via dei Mille, dove ho cominciato ancora di più a curare i clienti, anche grazie all’ambiente, adatto ad accogliere personalità di un certo spessore.
Quando ero ancora a Montesanto mi proposi di fare le forbici d’oro per l’accademia nazionale dei sartori e vinsi le selezioni per la regione Campania. Poi sono entrato in accademia e sono diventato presidente dell’accademia nazionale dei sartori per la regione Campania, carica che ho tenuto per 15 anni.
Qual è il tratto distintivo della sartoria Antonelli?
Non lo so, nel senso, in questo lavoro non c’è un tratto distintivo, il nostro tratto distintivo è fare meglio, vedere una bella giacca su un cliente. Noi non siamo una griffe, siamo artigiani, non vendiamo un prodotto, vendiamo un’emozione, puntiamo alla qualità, ogni abito è un racconto e la sartoria un’emozione. Noi siamo in evoluzione costante.
Quanto è importante una produzione made in Italy oggi?
È molto importante, noi siamo un po’ come la Svizzera con gli orologi, è un’eccellenza del territorio. Noi lavoriamo non per sentito dire, prima si diceva “di nicchia”, oggi peggio ancora. Dietro gli abiti c’è la storia e la qualità fa la differenza. Noi non dobbiamo apparire, noi dobbiamo essere la qualità, presentando un prodotto che fa la differenza.
Cosa vorresti dire ai giovani che vogliono lavorare nel campo della moda?
Vorrei dire loro che questo è un lavoro che non lascia a casa nessuno. La cultura generale si apprende costantemente, non solo dagli studi, ma anche dai clienti. Quello che diciamo è informazione e l’informazione alimenta un sistema. Ci sono tante figure, tante persone che vivono intorno a noi. Sono i ragazzi che devono scrivere la loro storia, io ho già scritto la mia.
Fonte immagine: finita da Antonelli