Super fast fashion: il caso Shein

super fast fashion

Il super fast fashion, o ultra fashion, viene personificato soprattutto dalla piattaforma Shein, fondata nel 2008 da Chris Xu nella città di Nanchino in Cina. Shein inizia con la vendita di gioielli online, ma in pochi anni, anche grazie all’aiuto dei social media, diventa una delle piattaforme più cliccate al mondo. Nel 2020, Shein diventa il marchio più discusso sulle piattaforme TikTok, Instagram e YouTube. Proprio nel corso del 2020, Shein arriva a fatturare 10 miliardi di dollari e ad oggi supera i 60 milioni di dollari.

Shein si basa sugli algoritmi e sull’analisi dati che rileva le tendenze in tempo reale, creando così una app personalizzata per ogni acquirente che si basa sul tipo di acquisti fatti in precedenza e sul tipo di articoli selezionati.

1. Chi utilizza la piattaforma

Il super fast fashion conosce bene i suoi maggiori acquirenti, ovvero la Generazione-Z, che dona continuamente visibilità a piattaforme come Shein, soprattutto grazie alle collaborazioni con influencers di rilievo del web. Eppure, questo sembra essere un grande paradosso. La Generazione-Z risulta essere quella più sensibile alla questione della sostenibilità e dello sfruttamento che va contro al lavoro etico, valori non affini a quelli del super fast fashion, ritrovatosi più volte ricoperto di critiche per il grave impatto ambientale e lo sfruttamento dei lavoratori. La maggior parte della Generazione-Z dichiara di essere dipendente da piattaforme come Shein. Molti giovani, infatti, hanno lanciato una vera e propria tendenza sui social per cercare di far disintossicare il più grande numero di persone dalla piattaforma Shein, a vantaggio dei valori della sostenibilità ambientale ed etica.

2. La forza del marchio

Il super fast fashion ha un grande impatto a livello mondiale e la ragione va cercata nel costo della vita. La moda sostenibile non è accessibile a tutti e quindi in molti casi la sostenibilità passa in secondo piano, preferendo piattaforme di super fast fashion come Shein. Ovviamente non mancano i casi di greenwashing anche tra i marchi più famosi e attivi per l’ambiente, come ad esempio i casi di H&M o Zara, azienda che parla di sostenibilità sfruttando i propri lavoratori. In generale, il super fast fashion, e in particolare, Shein, riescono a giocare sulla mentalità del consumatore, facendo percepire tantissimi prodotti come necessari, creando una vera e propria cultura dello shopping compulsivo e dell’immediatezza. Per via dei social, il pubblico ad oggi è sempre più ampio: distribuendo sulla piattaforma un’ampia gamma di prodotti, anche persone di età più adulta sono spinte a comprare utensili per la casa o prodotti di arredo ad un bassissimo costo, senza guardare alla qualità, originalità e sostenibilità del prodotto. Questo non fa altro che accrescere la potenza del super fast fashion.

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3. Il super fast fashion con ritmi disumani

Shein oltre ad avere un impatto ambientale disastroso, sottopone i propri lavoratori a ritmi disumani seriamente dannosi per la propria psicologia, andando contro a tutti i diritti dei lavoratori. I lavoratori ricevono quattro centesimi a capo, producendone 500 al giorno in 18 ore lavorative, con un solo giorno festivo al mese e condizioni igieniche disumane. Una violazione dei diritti umani in piena regola. Ed ecco perché con Shein si parla di super fast fashion, dati i ritmi con cui sono prodotti i capi.

Shein con la sua produzione di massa e prezzi fin troppo economici, è riuscito ad entrare nella mente dei consumatori creando una vera e propria dipendenza e portando la moda super fast fashion oltre i suoi limiti.

Fonte immagine: Wikipedia

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