Ultra fast fashion: cos’è e quando nasce

Ultra fast fashion

Ultra fast fashion: un pericolo per l’ambiente e la società

Il settore della moda, con il suo continuo mutamento e innovazione, è da sempre al centro della vita culturale e sociale. Negli ultimi anni, la moda ha sviluppato modelli di consumo sempre più insostenibili e nocivi per l’ambiente e la società. Il fast fashion e il suo recente derivato, l’ultra fast fashion, sono diventati simboli di una produzione e un consumo frenetici e superficiali, con conseguenze devastanti per il pianeta e i diritti dei lavoratori. Questo modello produttivo si basa su cicli di produzione rapidissimi, prezzi bassissimi e una costante immissione di nuovi capi sul mercato, incentivando un consumo compulsivo e irresponsabile. Al contrario, si sta affermando il concetto di slow fashion, una risposta etica e sostenibile alle problematiche generate da questi modelli accelerati. Ma perché è così dannoso? E quali sono le differenze tra questi tre approcci alla moda (fast fashion, ultra fast fashion e slow fashion)? Esaminiamoli più da vicino.

Cos’è l’ultra fast fashion?

L’ultra fast fashion rappresenta un’evoluzione estrema del fast fashion, un modello di business che ha portato la velocità di produzione e il basso costo a livelli senza precedenti. Aziende come Shein e Boohoo sono leader in questo settore, in cui i cicli di produzione sono ancora più rapidi rispetto al fast fashion tradizionale e una maggiore quantità di nuovi capi viene immessa sul mercato ogni settimana. L’ultra fast fashion si distingue dal fast fashion per la produzione in piccoli lotti, che crea una sensazione di urgenza nel consumatore, incentivando l’acquisto d’impulso. Si basa su un modello di business iper-accelerato che alimenta un consumo responsabile e ha un impatto devastante sull’ambiente e sui lavoratori.

Fast fashion, ultra fast fashion e slow fashion: le differenze

Fast fashion

Il termine fast fashion è stato introdotto per descrivere il modello di business delle aziende di abbigliamento che producono capi a basso costo, seguendo cicli di tendenza estremamente veloci. Marchi come Zara, H&M e Primark sono noti per la loro capacità di prendere ispirazione dalle passerelle di alta moda e trasformarle rapidamente in abiti economici e accessibili al grande pubblico. La produzione è massiccia, e i capi vengono immessi sul mercato in grandi quantità, spingendo i consumatori a comprare frequentemente, per stare al passo con le ultime mode. Sebbene il fast fashion renda la moda accessibile a un numero sempre maggiore di persone, i costi nascosti di questo modello sono elevati. L’industria tessile è una delle principali responsabili dell’inquinamento globale, generando 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno, e il fast fashion contribuisce in modo significativo a questa cifra. Le grandi catene di fast fashion utilizzano risorse naturali in modo insostenibile e producono capi di qualità scadente, destinati a deteriorarsi rapidamente, alimentando la cultura del “compra e getta“.

Ultra fast fashion

Se il fast fashion è già considerato problematico, l’ultra fast fashion porta questo modello a un livello estremo. L’offerta limitata e i prezzi bassissimi spingono all’acquisto compulsivo, poiché il consumatore teme di perdere l’occasione di acquistare a prezzi stracciati.

L’impatto ambientale dell’ultra fast fashion

L’impatto ambientale dell’ultra fast fashion è devastante. Non solo si accentuano i problemi legati al fast fashion, ma il modello ultra rapido porta anche a un aumento massiccio dei rifiuti tessili, poiché i capi prodotti sono di qualità così bassa che si rovinano rapidamente.

Ultra fast fashion e inquinamento: un legame pericoloso

L’ultra fast fashion contribuisce in modo significativo all’inquinamento ambientale. La produzione di abbigliamento richiede un elevato consumo di acqua, energia e risorse naturali, oltre all’impiego di sostanze chimiche dannose per l’ambiente. L’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, e l’ultra fast fashion, con la sua produzione accelerata, aggrava ulteriormente questo problema.

Rifiuti tessili e microplastiche: il lato oscuro dell’ultra fast fashion

Secondo il Global Fashion Agenda, circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili vengono generate ogni anno, e l’ultra fast fashion è una delle principali fonti di questo problema. Inoltre, l’uso di materiali sintetici economici, come il poliestere, contribuisce all’inquinamento da microplastiche, un problema emergente per gli ecosistemi marini. Le microplastiche, frammenti di plastica inferiori a 5 mm, si disperdono nell’ambiente, contaminando le acque e il suolo, ed entrando nella catena alimentare.

Ultra fast fashion e sfruttamento dei lavoratori

Oltre all’inquinamento ambientale, l’ultra fast fashion contribuisce anche allo sfruttamento dei lavoratori. Le aziende producono in paesi in via di sviluppo, dove i salari sono bassissimi e le condizioni di lavoro spesso disumane. Dietro ai prezzi stracciati e alle tendenze effimere si nasconde una realtà fatta di sfruttamento e violazione dei diritti umani.

Le condizioni di lavoro 

Le fabbriche tessili in paesi come il Bangladesh e l’India impiegano lavoratori sottopagati che lavorano in condizioni di sicurezza precarie, con turni estenuanti e senza diritti sindacali. Questa tipologia di industria è spesso associata allo sfruttamento del lavoro minorile. Secondo un rapporto di Oxfam, le donne che lavorano nelle fabbriche tessili del Bangladesh guadagnano in media meno di 68 dollari al mese, una cifra insufficiente a coprire i bisogni fondamentali come cibo, alloggio e assistenza sanitaria, un salario non dignitoso. Il rispetto dei diritti dei lavoratori e la promozione di condizioni di lavoro dignitose sono principi fondamentali della moda etica, che si contrappone nettamente alle logiche dello sfruttamento che caratterizzano l’ultra fast fashion.

Come contrastare l’ultra fast fashion: soluzioni sostenibili

Fortunatamente, esistono soluzioni concrete per contrastare l’ultra fast fashion e promuovere un modello di moda più sostenibile. La moda sostenibile e la moda etica rappresentano un’alternativa concreta, che promuove il consumo responsabile e la trasparenza nella catena di approvvigionamento. Scegliere capi realizzati con materiali riciclati o fibre naturali, prediligere aziende che hanno ottenuto certificazioni etiche e sostenibili, come GOTS o Fairtrade, informarsi sulle pratiche produttive dei brand, sono tutte azioni che possono fare la differenza. Anche il minimalismo e il concetto di capsule wardrobe aiutano a ridurre gli sprechi. Acquistare in negozi second hand aiuta a ridurre gli sprechi e l’inquinamento.

Slow fashion: un’alternativa etica 

In netta contrapposizione al fast e all’ultra fast fashion, lo slow fashion promuove un modello di consumo etico e sostenibile. Nato come risposta alle problematiche ambientali e sociali della moda industriale, lo slow fashion si concentra sulla produzione di capi di qualità, realizzati con materiali sostenibili e con un ciclo produttivo che rispetta i diritti dei lavoratori. A differenza del fast fashion, che propone nuove collezioni settimanali, lo slow fashion si basa su collezioni limitate, pensate per durare nel tempo. L’idea alla base di questo movimento è quella di acquistare meno, ma meglio: investire in capi che durano a lungo, riducendo così lo spreco e il consumo eccessivo. Uno dei principali vantaggi dello slow fashion è la riduzione dell’impatto ambientale. L’industria della moda contribuisce per circa il 10% delle emissioni globali di carbonio, ma il passaggio a pratiche più sostenibili, come quelle promosse dallo slow fashion, potrebbe ridurre drasticamente queste cifre. Le aziende di slow fashion utilizzano materiali ecologici, come cotone biologico e tessuti riciclati, e spesso lavorano con artigiani locali per garantire salari equi e condizioni di lavoro dignitose.

Ecco alcune azioni che si possono intraprendere per contrastare l’ultra fast fashion:

1. Acquistare meno, ma di qualità: investire in capi di abbigliamento che siano durevoli e realizzati con materiali sostenibili. Questo non solo riduce il consumo di risorse, ma limita anche la necessità di acquistare nuovi capi frequentemente.

2. Supportare marchi etici: scegliere marchi che promuovono pratiche sostenibili e rispettano i diritti dei lavoratori. Esistono molte aziende che operano secondo i principi della slow fashion, utilizzando materiali ecologici e garantendo salari equi.

3. Riutilizzare e riparare: invece di gettare via abiti che si sono rovinati, è possibile ripararli o riutilizzarli per creare nuovi look. Questo non solo prolunga la vita degli abiti, ma riduce anche la quantità di rifiuti tessili generati.

4. Sostenere l’economia circolare: acquistare abiti di seconda mano o vendere i propri capi inutilizzati è un ottimo modo per ridurre l’impatto ambientale e contribuire a un modello di consumo più circolare.

5. Informarsi e sensibilizzare: essere consapevoli delle pratiche delle aziende che si sostengono è fondamentale. Campagne come Fashion Revolution promuovono una maggiore trasparenza nel settore della moda, spingendo le aziende a rivelare le condizioni di produzione dei loro capi, stando attenti al greenwashing.

La necessità di una moda sostenibile e responsabile

Ultra fashion e fast fashion sono dannosi. Alimentano un ciclo insostenibile di consumo che ha gravi conseguenze per l’ambiente e per le persone. Se vogliamo ridurre l’impatto negativo della moda, dobbiamo ripensare il nostro modo di acquistare e produrre abiti, sostenendo modelli come la slow fashion e riducendo la nostra dipendenza da tendenze effimere e capi usa e getta. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo promuovere una moda più etica, giusta e sostenibile per il futuro, riducendo la nostra impronta ecologica e promuovendo un’economia più circolare.

Fonte immagine: Pixabay

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