À plein temps: il film francese da Venezia a Napoli

À plein temps

Gran successo di pubblico e di critica per il nuovo film di Éric Gravel, “À plein temps”, proiettato all’Istituto francese di Napoli nell’ambito della rassegna “Venezia a Napoli. Il cinema esteso”. 

È stato presentato nella splendida cornice dell’Istituto francese di Napoli in via Crispi, anche conosciuto come “il Grenoble” dal nome del palazzo che lo ospita, il nuovo film del regista canadese Éric Gravel, francese d’adozione, presente in sala alla première napoletana insieme al produttore Nicolas Sanfaute, a loro volta introdotti dal console francese Laurent Burin des Roziers e raggiunti a fine pellicola da Antonella Di Nocera, ideatrice del festival “Venezia a Napoli. Il cinema esteso”, giunto ormai al decimo anniversario di attività. 

À PLEIN TEMPS: trama e recensione 

Julie è una mamma single con due bambini a carico, una casa modesta nei sobborghi di Parigi ed un lavoro piuttosto impegnativo e stressante come “femme de ménage”, solerte “donna delle pulizie”, in un hotel a cinque stelle nel cuore della capitale. Ogni mattina si sveglia prima dell’alba per preparare la colazione ai figlioletti e portarli da un’anziana bambinaia che si prenderà cura di loro per tutta la giornata, mentre lei dovrà raggiungere Parigi con i mezzi pubblici e tutti i ritardi che essi comportano. La situazione precipita quando cominciano le proteste di lavoratori e cittadini, che danno luogo a quel concetto di “grève”, che la traduzione italiana di “sciopero” non rende appieno in tutta la complessa drammaticità di cui si carica in Francia

La prima inquadratura del film è un lungo sospiro di una donna ripresa come “in trance” nella sua vasca da bagno: è proprio Julie, che nel rito solitario del bagno del mattino trova un momento per se stessa lontana dai ritmi snervanti della fretta quotidiana. I ritmi diventano frenetici nel momento in cui gli scioperi proseguono sotto il segno della più ferma protesta, rendendo altrettanto impossibile raggiungere Parigi da un desolante paesino della banlieu

Julie è dunque costretta ad inanellare scuse su scuse per chiedere aiuto al suo ristretto circolo di amici e conoscenti. Una figura del tutto assente è quella del padre dei bambini, che non si vede mai durante il film, ma di cui si sente la voce al telefono, come a volerne rimarcare la distanza. Mentre gli scioperi continuano a cadenza sempre più serrata, la dolce Julie – interpretata da una magistrale Laure Calamy – non perde la delicatezza del suo essere, destinando quello che si rivelerà poi essere il suo ultimo stipendio da governante per il regalo di compleanno di suo figlio Nolan, un bambino vivace e un tantino capriccioso, che per quel trampolino ricevuto in dono sarà però felicissimo. 

Il regista Éric Gravel, alla fine del film, ne spiega in breve la “gestazione”. Julie è un’eroina contemporanea in cui qualsiasi pendolare non potrà fare a meno di riconoscersi. E in quel tragitto accidentato per raggiungere ogni giorno Parigi c’è un elemento autobiografico del regista stesso, che da quindici anni circa ha raccontato di aver preferito la campagna con i suoi pregi e difetti al caos frenetico della capitale francese. 

Il titolo della pellicola, “A tempo pieno”, gioca sul doppio senso semantico dell’espressione: quello nell’ambito lavorativo, dove l’incarico via via più stringente nell’hotel di lusso risucchia tutte le energie fondamentali della protagonista, e quello in campo esistenziale, che del suo essere donna e mamma a tempo pieno ha fatto l’impiego primario e totalizzante della sua vita. 

Un film che dà modo di riflettere su quanto i due piani si intersechino nelle dinamiche spesso paradossalmente monotone delle scalette già programmate di giorno in giorno. La sfida ulteriore del film è costituita dalla situazione pandemica durante la quale è stato girato: per le riprese in esterna a Parigi, regista e produzione hanno infatti dovuto aspettare che l’emergenza sanitaria rientrasse, altrimenti sarebbe stato complicato ricreare quelle scene iper-realistiche che invece sono parte integrante della pellicola. 

Dopo la proiezione,  molte sono state le domande in sala da parte del pubblico. In particolare, uno spettatore ha chiesto com’è nata la sceneggiatura e se l’attrice Laura Calamy fosse già in lizza per il ruolo ancora in fase di scrittura del copione. Éric Gravel ha risposto che in effetti vedeva già lei nella parte che poi le avrebbe assegnato, sottolineando la straordinaria bravura ed empatia dell’attrice, che in Francia è conosciuta in primo luogo per la sua comicità, mentre in À plein temps si è messa in gioco interpretando una storia drammatica. 

L’interprete simultaneo ha infine messo in risalto l’impegno del cinema francese nell’affrontare tematiche spinose e scomode del giorno d’oggi, quali quelle dello sfruttamento in sede di lavoro, i problemi logistici e gli sforzi spesso dati per scontati nel raggiungerlo, l’accettazione di un impiego malpagato malgrado si abbiano più qualifiche rispetto ad esso (Julie è laureata in economia e prima si occupava prima di indagini di mercato) o le motivazioni serissime alla base dello sciopero, per le quali i francesi scendono raramente a compromessi.

Oltre al cinema francese e americano impegnato in tal senso e puntualmente richiamato dal traduttore, abbiamo invece pensato al regista che noi riteniamo ancora più realista e tagliente, con le sue pellicole spietate ed amare, quasi sempre tristemente prive di happy ending, Ken Loach. Il suo ultimo capolavoro datato 2019 – “Sorry, we missed you” – resta una pietra di paragone forse inarrivabile per chi volesse misurarsi col raccontare cinematograficamente gli inevitabili problemi relativi al dovere/volere un lavoro concreto nell’epoca in cui tutto si svolge online. 

À PLEIN TEMPS

di Eric Gravel

Francia, 2021 / 85’

Premio Orizzonti Miglior Regia e Miglior Attrice a Laure Calamy

Premio Fondazione Fai Persona Lavoro Ambiente

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Fonte immagine: Ufficio Stampa Venezia a Napoli. Il cinema esteso

A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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