Anora del regista e sceneggiatore statunitense Sean Baker è tra i film proiettati alla 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Best of 2024. La recensione della brillante e sorprendente commedia vincitrice della Palma d’oro al 77° Festival di Cannes.
Anora, presente nella sezione Best of 2024 della 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma, vincitore della prestigiosa Palma d’oro al 77° Festival di Cannes, è il nuovo film del regista sceneggiatore e montatore statunitense Sean Baker. Liberamente ispirato al romanzo autobiografico di Andrea Werhun, Modern Whore, e prodotto dalla FilmNation Entertainment e dalla Cre Film, Anora uscirà al cinema in Italia il 7 novembre 2024, distribuito da Universal Pictures.
Sean Baker – già noto per i film Tangerine (2015) e Un sogno chiamato Florida (2017) – si riconferma uno degli autori americani più vitali del momento, rivisitando in chiave pop, e decisamente attuale la rom-com e la fiaba senza però rinunciare anche a una buona dose di critica sociale, di ferocia e di amarezza. Anora ci trascina in un viaggio folle e sfrontato, come sulle montagne russe, portandoci da New York fino a Las Vegas e, in un certo senso, anche a Mosca; stordendoci e alienandoci con feste, droghe, alcol e stravaganze, inebriandoci di sogni e avventure giovanili, per poi risputarci con il down di una brutta sbronza, con quel senso di confusione e di impotenza che accompagnano nuove e inevitabili consapevolezze.
Anora di Sean Baker: una Cenerentola post-moderna
Anora Mikheeva (Mikey Madison) è una giovane sex-worker di origini russo-americane, ma cresciuta da sempre negli Stati Uniti. Capisce il russo grazie alla nonna, ma lo parla poco e male, e si fa chiamare da tutti Ani perché il suo nome le ricorda troppo le radici della fresca immigrazione familiare. Abita nel quartiere newyorkese di Brighton Beach e le sue giornate sono un via-vai continuo tra lo strip-club in cui lavora e l’appartamento vicino alla stazione che condivide con la sorella. Una sera però le si presenta un’occasione d’oro, infatti le viene affidato dal capo un cliente speciale. Si tratta di Ivan Zakharov (Mark Eydelshteyn), detto Vanja, il rampollo viziato e impulsivo di un ricchissimo e potentissimo oligarca russo.
Il ragazzo si invaghisce immediatamente della sua bellezza e le chiede di trascorrere sempre più tempo insieme – ovviamente sotto lauto compenso – facendole sperimentare tutti i lussi e i divertimenti di una vita mondana a nove zeri. Ani, inizialmente un po’ scettica, si abitua presto a quella quotidianità fatta di eccessi, e comincia anche a nutrire dei sentimenti più profondi per Vanja. Al punto che una mattina, ancora in hangover dopo l’elettrizzante nottata trascorsa a Las Vegas, accetta di sposarlo nella cappella del casinò.
Ani è al settimo cielo e sfoggia fieramente il diamante a quattro carati donatole dal marito. Si sente una ragazza fortunata, un po’ come una Cenerentola a Disney World, tappa designata per la futura luna di miele. Tuttavia, l’entusiasmo delle nozze appena celebrate viene bruscamente interrotto dall’irruzione in casa di tre loschi figuri: la notizia del matrimonio scandaloso è giunta anche in Russia, e i genitori di Vanja ricorreranno a tutti i mezzi a loro disposizione per opporsi duramente a questa unione.
La vana ricerca del «giorno migliore della nostra vita»
Anora di Sean Baker è il ritratto fantastico di una società bulimica, abbagliata da piaceri effimeri, istantanei e destinati a consumarsi in fretta. Un po’ come i primi rapporti sessuali con Vanja, a cui Ani insegnerà che «se vai più lentamente dura di più ed è più bello». Il sesso dunque è una metafora, non l’oggetto stesso del discorso. Baker sembra suggerirci che i rapporti di potere non si esauriscano al concetto di compravendita del corpo o del tempo di una persona, e il mestiere che svolge la protagonista non diventa mai realmente il fulcro di un dibattito morale.
Nonostante provengano da contesti familiari ed economici diametralmente opposti, c’è qualcosa che accomuna i due protagonisti, e che li tiene insieme, che va oltre il denaro e il sesso: l’evasione dalla realtà, il desiderio di essere altro, l’illusione del successo sociale. La mancanza di calore e di contatto umano, di relazioni affettive significative. Il termometro emotivo passa dall’euforia al vuoto, ogni cosa diventa usa e getta. Si procede alla ricerca del «giorno migliore della nostra vita», sperando che quello che arriverà domani sia ancora meglio di quello che è passato ieri. La paura e l’angoscia che tutto possa finire da un momento all’altro e la necessità di cogliere l’attimo e goderne il più possibile. Non a caso, il film si apre con la canzone Greatest Day dei Take That, che risuona più di una volta nel corso dell’opera. «Today this could be the greatest day of our lives / Before it all ends, before we run out of time» canta Gary Barlow.
Siamo cresciuti con fantasie come quella di Pretty Woman – Baker stesso ammette che potrebbe esserne stato influenzato – ma siamo obbligati a scontrarci ogni giorno con le contraddizioni e la complessità della realtà. Cresciamo e diventiamo adulti attraverso la sofferenza, la consapevolezza e il graduale distacco da quelle promesse. Il vero privilegio, forse, è che alcuni possono farne più a meno di altri, o quantomeno ritardare il processo.
Immagine in evidenza: Ufficio Stampa