Ayla – La figlia senza nome | Recensione del film

Ayla - La figlia senza nome | Recensione film

Ayla – La figlia senza nome è un film turco del 2017, diretto da Can Ulkay e prodotto dalla Dijital Sanatlar Production.
Il film è tratto dalla vera storia del sergente turco di stanza in Corea Süleyman Dilbirliği e del legame sviluppato con la piccola Kim Eun-ja, ribattezzata Ayla dal sergente, durante la guerra di Corea tra il 1950 e il 1953.
Una storia commovente che parla di guerra, ma anche di speranza, umanità e ritrovo.

Trama di Ayla – La figlia senza nome

Ayla – La figlia senza nome parla del sergente Süleyman, che in seguito alla richiesta delle Nazioni Unite di inviare truppe dei paesi Alleati, si ritrova a partire per combattere nella guerra di Corea al fianco degli Americani, per liberare la zona sud del Paese dai comunisti nordcoreani e dai cinesi.
Durante una missione, Süleyman s’imbatte in una bambina coreana, sfuggita alla morte dopo un attacco nemico. La bambina viene soccorsa immediatamente da Süleyman e il suo plotone, che la portano al loro quartier generale.
Süleyman instaura fin da subito un profondo legame con la piccola, dandole il nome di Ayla, chiaro di luna in turco. Durante il periodo della guerra, la bimba resta al quartier generale attirando la simpatia e il ben volere dei soldati, che la trattano come se fosse la loro piccola mascotte.
Con il calmarsi del conflitto, le truppe turche sono costrette a tornare in patria, ma Süleyman fatica a staccarsi da Ayla, che ormai considera come una figlia a tutti gli effetti.
Sarà costretto a lasciarla in un orfanotrofio, promettendole di ritornare a riprenderla un giorno, non appena la situazione in Corea si sarà placata.
Incontro che avverrà soltanto dopo 60 anni, il 10 aprile del 2010, dove in un commovente abbraccio, Süleyman ritrova la sua amata e mai dimenticata Ayla, sotto lo sguardo amorevole di sua moglie Nimet, che lo ha sempre appoggiato nella ricerca della bambina perduta.

Due mondi a confronto: la Turchia e la Corea

Il film si apre proprio presentando lo stile di vita in Corea, composto da villaggi rurali lungo i fiumi, e successivamente le cittadine turche, che richiamano l’ambiente mediterraneo e soleggiato, tipico di quelle zone.
Ben presto, le due comunità confluiranno in un’unica realtà, quella terribile e selvaggia della guerra, che non risparmia nessuno, nemmeno donne e bambini.
I soldati turchi, chiamati a combattere al fianco degli Americani, portano con sé le loro usanze e il loro credo sul territorio coreano, martoriato dalla guerra, con una spontaneità commovente. Non esistono vincitori o vinti, né si vuole porre l’accento su chi prevarica l’altro.
Ayla – La figlia senza nome non è un film che vuole descrivere le barbarie della guerra, soffermandosi sui combattimenti, le sparatorie, le esplosioni: il suo scopo è mostrare l’umanità, la linea sottile che divide l’essere (ancora) umano dalla macchina da guerra, al di là del mero scopo militare. Attraverso gli occhi della piccola Ayla, si apre un mondo di tenerezze, desideri, di speranza.
Una speranza rimasta accesa per 60 anni, lasciando un seme in quella terra brulla e mortificata dai suoi stessi figli.
Ayla – La figlia senza nome insegna che l’amore può rivelarsi un’arma molto più potente dell’odio, e il fatto che la vicenda sia una storia vera, dona al pubblico un sospiro di sollievo. Perché l’umanità resiste, anche oltre l’odio, anche oltre il tempo.

Ayla – La figlia senza nome è disponibile in streaming su RaiPlay.
Un film che troverete molto attuale e, si spera, non solo nell’elemento bellico narrato.

Fonte Immagine: Ufficio stampa Rai

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