Back to Black di Sam Taylor-Johnson
Back to Black di Sam Taylor-Johnson irrompe in tutta la sua potenza emotiva nelle sale cinematografiche italiane il 18 aprile 2024. Il biopic è fortemente voluto dalla produttrice Alison Owen, allo scopo di celebrare la straordinaria e intramontabile musica di Amy Winehouse, la cantautrice britannica bianca dalla voce black, che ha incantato il mondo intero per la sua originalità interpretativa, stilistica, artistica ed emotiva. L’obiettivo della produzione – che affida l’arduo compito alla regista di Nowhere Boy (2009, su John Lennon) e Cinquanta Sfumature di Grigio (2015) – è quello di esorcizzare la stigmatizzazione che ancora ruota attorno alle scelte, alla vita e alla morte di Amy Winehouse, avvenuta nel 2011 a soli 27 anni.
Scritto da Matt Greenhalgh, Back to Black vede protagonista nei panni di Amy Winehouse una straordinaria Marisa Abela, e come co-protagonisti Blake Fielder-Civil, ex marito di Amy (Jack O’Connell), Mitch Winehouse, il padre di Amy (Eddie Marsan) e Cynthia Winehouse, nonna paterna di Amy (Lesley Manville). Distribuito da Universal Pictures, la pellicola pone il focus narrativo sui primi anni carrieristici di Amy Winehouse, dagli esordi al successo mondiale del secondo album, da cui il biopic trae titolo, Back to Black, fino alla prematura uscita di scena della cantante britannica.
Le riprese principali del film si sono svolte a Londra nel 2023, passando per le location che hanno visto crescere la grande artista: Camden Town, il Ronnie Scott’s Jazz Club (dove si è esibita) e i pub da lei frequentati, in particolare il Good Mixer, luogo simbolo anche per l’incontro di Amy con Blake.
“Voglio che la gente senta la mia voce e dimentichi i problemi per cinque minuti… Voglio essere ricordata per essere stata me”
Questa l’introduzione della voce off di Amy Winehouse, doppiata da Silvia Avallone, che apre il biopic.
Back to Black. Trama
Back to Black di Sam Taylor-Johnson ripercorre i passi compiuti da Amy Winehouse (Marisa Abela) nell’universo musicale, portando il pubblico a percorrere con lei la sua scalata al successo, che si intreccia al suo complesso universo personale, familiare, relazionale ed emotivo. Al centro il difficile rapporto di Amy con il padre, quello dolcissimo e ispiratore con la sua adorata nonnina Cynthia, i suoi disturbi alimentari, le sue dipendenze (prima l’alcol, poi le droghe), la tossica relazione d’amore con Blake e un latente deleterio istinto all’autodistruzione. Ma il filo conduttore è la sua straordinaria musica, che è cura e fiele allo stesso tempo. Una voce potentissima racchiusa in un corpo gracile e in un universo emotivo ancor più fragile. Dalla sua passione per la musica jazz – che ben si evince in tutto il suo percorso canoro – al successo – con la vittoria dei Grammy Awards – fino alla morte avvenuta troppo prematuramente per intossicazione da alcol, il 23 luglio 2011.
Back to Black. Amy Winehouse, tra talento, amore e inclinazione autodistruttiva
“Non scrivo canzoni per essere famosa, scrivo canzoni perché devo per forza tirare fuori il bene dal male”
(Dal film Back to Black)
Il talento e l’onestà sono le linee guida della musica di Amy Winehouse. Fin troppo schietta, Amy non ha peli sulla lingua e non intende mai giungere a compromessi quando si tratta della sua musica, del suo stile e delle sue performance. Questo, insieme alla sua completa dedizione e alle esperienze dolorose della sua breve vita, fa di Amy una star immensa, potente ed intramontabile, unica nel panorama musicale internazionale. E la sua sofferenza, il dolore e il marcio può esorcizzarli solo con la sua musica, tirando fuori appunto il bene dal male.
Nata e cresciuta a Londra, a Camden Town, da famiglia di origini ebraiche, Amy sperimenta sin da piccola il dolore e la complessità dei rapporti umani, a cominciare dal divorzio dei genitori, con conseguenti ripercussioni sul suo già precario equilibrio psicofisico. È in età adolescenziale che comincerà a combattere con la bulimia e abbandonandosi spesso a un bicchiere di troppo (forse un fato già scritto nel suo cognome!), fino a tracannare alcol durante le sue esibizioni. Ma Amy è forza e fragilità insieme. Amy è i suoi demoni, che crescono con l’amore appassionato e totalizzante, tossico e malato per Blake. E quegli stessi demoni costituiscono un incredibile carburante per il suo straordinario talento.
Amy è una giovane donna libera, fiera, indipendente, con la passione incrollabile per la musica jazz (traccia palese della sua arte), senso dello humor, propensione alla ribellione, alla sfrontatezza fino ai limiti della sconsideratezza e con un disinvolto gusto per l’imprecazione. Un’artista con la “A”, dalla personalità forte e complessa ai massimi livelli. L’originalità del suo stile ben si denota in quel gusto per il rétro (con trucco anni ’50 e acconciatura debordante), anacronista per i suoi tempi, ispirato fortemente all’adorata nonnina Cynthia, ex cantante professionista, sua autentica icona a trecentosessanta gradi e suo faro nell’oscurità della perdizione. La sua passione per la musica jazz, blues e soul le nasce ascoltando continuamente musica afroamericana, quella che canta la durezza della vita. Ne diviene dipendente, come è facile comprendere in una delle sue asserzioni nel film: “Il vero Girl Power per me è Sarah Vaughan, Dinah Washington, Lauryn Hill”. Non è dunque sbagliato considerare Amy Winehouse un’icona che ha saputo trasmettere al mondo, in giovanissima età, la potente e calda musica jazz.
Amy Winehouse esordisce nel 2003 con l’album Frank, già riscuotendo enorme successo. Tuttavia la fama a livello internazionale le arriderà nel 2006, con il suo secondo e ultimo grandioso album Back to Black, contenente i brani Rehab, Love Is a Losing Game e chiaramente quello omonimo, che ha l’effetto di scaldare il cuore di chi l’ascolta, e allo stesso tempo gettarlo nella disperazione, insieme a lei. Con Back to Black conquisterà nel 2008 ben cinque Grammy Awards, ponendosi in testa alle classifiche, battendo ogni precedente record. Ma Amy è osannata e dannata, per l’aura di maledizione (molto diffusa anche dai media), derivante dall’abuso di alcol e droghe e dal suo rapporto con Blake, che sarebbe divenuto suo marito. Proprio per la precoce morte, avvenuta all’età di 27 anni, Amy Winehouse entra nella cerchia degli artisti maledetti, scomparsi prematuramente alla sua stessa età: Kurt Cobain, Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison. La loro maledizione? Probabilmente quella di essersi avvicinati un passo in più al Paradiso!
Chi osserva Amy ai suoi esordi stenta a credere che la ritrosia della sua timidezza potesse celare una voce pazzesca. Una forza della natura, pronta ad esplodere in qualsiasi momento, come una sorta di bomba a orologeria, vittima della sua stessa potenza artistica, e non solo.
Un’ulteriore caratteristica di Amy era il numero crescente di tatuaggi, che ricoprivano evento dopo evento (soprattutto quelli traumatici e dolorosi) ogni centimetro del suo corpo, in maniera sempre più massiccia, costituendo la sua pelle una sorta di mappa emotiva, con step concernenti gioie e sofferenze dell’artista, della donna.
“Dalla scuola elementare ai concerti sold out. Prima o poi succederà, vedrai. Per voci come la tua è destino”
(Dal film Back to Black)
Se non si conoscesse il suo aspetto, Amy potrebbe tranquillamente passare per una cantante black. Stile groove, voce e potenza da leonessa in un corpo minuto. Il nero, il “black” è il fulcro della sua musica, lontana dal pop fatto in serie di cantanti create come macchina commerciale ed economica:
“Io non sono una cazzo di Spice Girl!”
Nessuno è in grado di tenerle testa. Nessun compromesso è accetto. Finché l’amore, il suo grande amore, non busserà al suo cuore, facendo crollare ogni suo scetticismo sull’argomento e sugli uomini.
L’attrazione tra Amy e Blake sembra essere subito fatale, nonostante lui fosse già impegnato. Tossicomane, la seduce in un millesimo di secondo. Basta uno sguardo, un certo piglio fascinoso e maledetto, ed Amy diviene letteralmente sua. Comincia per entrambi una relazione devastante, in cui c’è spazio più per il dolore inflittosi reciprocamente, per l’egoismo, per il morbo, per le droghe e le cicatrici, fisiche e dell’anima, piuttosto che per il vero amore.
Amy, già alle prese con i suoi problemi legati alla bulimia, all’alcolismo e ad un latente ma perverso senso autodistruttivo che l’accompagna sin dall’adolescenza, peggiora la sua situazione, nel momento in cui vota la sua vita a Blake e incrinandola ancor più con la morte della cara nonnina Cynthia. Amy aggiungerà male al male, passando instancabilmente dall’alcol alle droghe, che lei stessa denigrava, accettando in precedenza solo l’erba. Incasinata, alcolista, tossicodipendente e distrutta per i continui abbandoni di Blake. Perché, al di là del suo incredibile talento, Amy è prima di ogni cosa una donna, una donna che ama oltre ogni limite. Un amore che però diviene piaga, malattia, perché dirige Amy dritta al proprio annullamento, al proprio sabotaggio, ad un lasciarsi andare che desta rabbia nel pubblico a lei devoto. Rabbia perché le sue scelte e i suoi sentimenti l’hanno condotta al baratro, stroncando un talento destinato ad un successo longevo. Ma quelle scelte erano le sue, e dopo tutto, ogni critica a riguardo diviene gratuita e superflua.
Ebbene, il “black” è l’origine della sua musica, del suo incommensurabile talento. Ma è anche il principio ispiratore della decadenza emotiva e personale di Amy, della sua inclinazione autodistruttiva.
Back to Black. La riuscitissima e toccante regia di Sam Taylor-Johnson
Un biopic, Back to Black, confezionato in maniera impeccabile, non solo e non tanto per gli intelligenti espedienti e scelte messi in campo dalla regista. Back to Black di Sam Taylor-Johnson è uno dei biopic meglio riusciti ed apprezzati probabilmente, nel panorama cinematografico e musicale, perché restituisce un ritratto di Amy Winehouse rispettoso, sensibile, ponendo quale protagonista assoluta la sua musica, da cui parte per costruire e narrarci le vicende e vicissitudini personali.
Back to Black colpisce il pubblico dritto al cuore, in un vortice emozionale ed emozionante. Qui l’emozione straborda ovunque, da dentro l’anima di Amy/Marisa – attraverso la sua voce, il suo dolore per l’abbandono e le perdite – al suo pubblico.
È risaputo che i biopic musicali costituiscano sempre un grosso rischio, un salto nel vuoto, in quanto risulta quasi impossibile confrontarsi e restituire i miti intoccabili e inarrivabili. Ma, nel caso di Amy Winehouse, il lavoro di regia e sceneggiatura è mirabile. Il segreto? Sicuramente quello di assumere il più possibile il punto di vista di Amy, passando attraverso le sue dichiarazioni, le sue interviste, i suoi pezzi, mai attingendo a materiale steso ed elaborato fuori dalla sua collaborazione. Ed è soprattutto dai testi dei suoi brani che si parte per costruire la trama narrativa del film. Niente flashback o salti all’infanzia, nessun vagheggiamento sulle figure della madre e della migliore amica, concentrando la suspense emotiva intorno ai binomi Amy-Blake e Cynthia-Mitch (nonna e padre). Emblematica proprio la figura paterna, che, a differenza del docufilm Amy del 2015 di Asif Kapadia, viene presentato come una personalità meno egoista ed arrivista, ma più debole dal punto di vista genitoriale, incapace di aiutare concretamente la figlia nel momento di effettivo bisogno. E rispetto a Amy – documentario niente affatto sensazionalistico, ma anzi impietoso nel portare in auge e sottolineare in maniera quasi sadica i dettagli scandalistici e il decadentismo psicofisico di Amy Winehouse – Back to Black di Sam Taylor-Johnson mette il pubblico ko per il crescendo di emozione, che l’attrice Marisa Abela ha saputo egregiamente trasmettere, più che alla perfezione, oltre ogni scialbo tentativo di duplicazione.
Sam si focalizza, più che sullo scandalo, sulla storia d’amore tra Amy e Blake, perché in effetti, seppur tormentato, tossico e malato, è intorno a quell’amore che la stessa Amy farà ruotare la sua arte. Senza Blake il pubblico non avrebbe mai goduto dell’incredibile singolo Back to Black, nato proprio dall’amore non corrisposto, dal “black emotivo” che attanagliava l’anima di Amy, dal “back to us” a cui Amy volente o nolente ritornerà sempre, fino alla morte.
We only said goodbye with words
I died a hundred times
You go back to her
And I go back to us
I go back to black
Un ritornello semplicissimo, eppure intriso di straziante sofferenza per l’abbandono di Blake. Amy canta tutta la sua disperazione, convinta che saranno sempre in qualche modo legati, e che quell’addio costituisce solo parole, parole che uccidono Amy cento e cento volte ancora. E mentre lui va via, voltandole le spalle, Amy torna sempre a loro, così sarà sempre. Blake le dice addio. Amy torna all’oscurità.
Ecco, senza tutta questa strabordante e assoluta sofferenza come avrebbe potuto veder la luce un brano come Back to Black! Un brano che ha fatto storia nella musica, non accennando mai ad eclissare la sua luce, nata dalle tenebre emotive, dal cuore fatto a brandelli di Amy. Solo chi non ha mai sofferto a quei livelli, sarà sempre incapace di percepirne la sconfinata bellezza, assorbendone tutta la potenza emotiva!
Come tale, il biopic Back to Black può considerarsi un atto d’amore e rispetto di regista e sceneggiatore nei confronti di un’artista ineguagliabile ed immensa come Amy Winehouse.
Come detto, non sussistono salti temporali nella narrazione, né una linea retta che dall’infanzia segna l’artista fino alla sua dipartita. Il fulcro è Back to Black, il suo massimo successo, la sua emotività, la sua personalità, le scelte e il talento di Amy Winehouse, i suoi testi, veri e spudorati, a costituire una sorta di intimo diario, sviscerando i suoi sentimenti e trasportando noi nel suo complesso universo emotivo ed artistico.
Un ulteriore aspetto in favore del biopic sta nella scelta di non erigere, com’è già stato abbondantemente fatto, Amy Winehouse a martire e vittima in balia dell’amore tossico e delle sue dipendenze. Certo, questi sono stati senza dubbio aspetti determinanti per la sua eclissi. Ma Amy era dotata innanzitutto di straordinaria potenza, sicurezza e determinazione. Solo lei, alla fine, è stata artefice del proprio destino, seppur risoltosi a fosche tinte. Per cui, niente cattivi nel film, almeno più o meno, ma solo Amy con la sua potenza vocale e scenica, con il coraggio di rifugiarsi nelle parole e nella musica nei momenti di sconforto totale ed agonia. Chi ha guardato Back to Black, tornando a casa, non ha certamente desiderato di spulciare questa o quella notizia scandalistica, bensì di ubriacarsi dell’artista, di Amy, immergendosi nel suo sound e nuotando nel suo album, per toccare ancor più da vicino con l’anima ciò che poco prima gli occhi e le orecchie hanno concesso al cuore.
Amy era così giovane, ma ha imparato la Vita così in fretta. Ascoltiamo le sue canzoni capendo esattamente cosa volesse dire e trasmettere. Questo pezzo di magia è reso possibile anche dalla mirabile regia, che ci ha preso per mano, accompagnandoci con discrezione e amore nell’universo immaginifico e realistico di Amy. Come i suoi tatuaggi, i suoi testi scorrono uno dopo l’altro a costruire e decodificare gli eventi della sua vita.
Back to Black. L’impeccabile interpretazione di Marisa Abela
Un plauso alla regia e sceneggiatura. Ma standing ovation per l’accattivante e più che convincente interpretazione di Marisa Abela nei panni della straordinaria Amy Winehouse. Inglese e ventisettenne come la sua protagonista, Marisa Abela corona in Back to Black il suo primo vero debutto cinematografico. Una sorprendente e autentica rivelazione! La sua performance e le sue prove canore ci lasciano senza fiato. Perché, ebbene sì, è lei a dar voce alla sua Amy. Marisa dà prova delle sue doti canore, oltre che recitative, nel corso dell’intero biopic. La voce di Amy Winehouse è ovviamente unica ed inimitabile. Eppure Marisa, studiando tanto, due ore e mezza al giorno per quattro mesi, è riuscita con la sua voce portentosa a raccontarci la storia di Amy, attraverso una palpabile emotività, specie nelle scene drammatiche, e una straordinaria credibilità. La voce di Marisa è così sofisticata e potente da lasciarci credere addirittura che si tratti della voce reale di Amy Winehouse, sbalordendo la stessa Sam, che decide pertanto di puntare sull’attrice, piuttosto che optare per la riproduzione canora dell’unica Amy.
Per quanto riguarda i provini, Sam racconta che durante la selezione delle candidate, è bastato uno sguardo nella telecamera da parte di Marisa, da cui ha subito intuito che Amy avrebbe potuto reincarnarsi solo attraverso lei. Non è tanto e non solo la gestualità, il modo di camminare, gli atteggiamenti spavaldi, che pure l’accomunano tanto alla Amy originale. Ciò che Marisa ha di speciale e talentuoso è la capacità di saper indagare a fondo sulle emozioni del personaggio, riuscendo alla fine ad incarnare una Amy più che credibile, suscitando nel pubblico emozione allo stato puro. Marisa Abela non si è limitata a riprodurre un’imitazione di Amy Winehouse. Ha letteralmente evocato Amy, emanando intorno il suo nostalgico ricordo, attraverso il suo talento recitativo. Una prova sinceramente commovente, che è davvero difficile, impossibile denigrare.
Ebbene, è indubbio che Amy Winehouse sia stata un mostro sacro della musica, a livello internazionale, concreto, personale, culturale ed emotivo. Ed è indubbio che il biopic di Sam Taylor-Johnson sia stato più che all’altezza nel cimentarsi in un’impresa così titanica, di un tal calibro, riuscendo a toccare, senza sporcare, un’artista completa e irraggiungibile, concedendo al pubblico scettico un dono senza fronzoli, basandosi su quanta più verità possibile, audace e dissacrante. Amy era divina, una forza della natura. Le circostanze, gli eventi e l’indole personale hanno finito per inghiottirla, senza però mai riuscire a spegnere la luce del suo talento, che sempre vive nei suoi testi, nella sua voce.
“Voglio che la gente senta la mia voce… Voglio essere ricordata per essere stata me”
(Dal film Back to Black)