Il 2023 sta per finire e per tirare le somme, sarebbe giusto ricordare quali sono stati i film migliori dell’anno, considerando la vasta quantità di uscite degli ultimi anni successivi alla pandemia, anche grazie all’enorme sviluppo delle piattaforme di streaming, e prendendo consapevolezza del chiaro declino del cinema tradizionale, connesso alla distribuzione e alla visione nelle sale di proiezione. Come prima impressione generale, c’è la sempre minore visibilità associata a film non prodotti da grandi case di produzione o limitati per motivi specifici (come il limite di età), che però risultano più originali (Beau ha paura di Aster), o addirittura sono diretti da registi noti e premiati, (Il sol dell’avvenire di Moretti). Al contrario di pellicole con vendite record al botteghino perché remake, sequel o semplicemente per target molto ampi (Fast X di Leterrier).
Ciò non toglie che le eccezioni in questo 2023 ci sono state con film-blockbuster inaspettati per durata e target (Oppenheimer di Nolan) o anche fallimenti inaspettati per monotonia di proposta (The Marvels di DaCosta). Nonostante ciò, quest’anno sono usciti lungometraggi validi e anche più che validi, tra cui 3 opere che spiccano per diversi motivi: è interessante che le prime due, da recuperare se non sono state ancora guardate, rispecchiano perfettamente la polarizzazione di cui si è accennato.
1. Beau ha paura: il genere come strumento dell’autore
Il primo film, uscito ad aprile 2023, è proprio Beau ha paura di Ari Aster (regista di Midsommar – Il villaggio dei dannati), basato sul cortometraggio Beau, scritto e diretto sempre dall’autore: mentre quest’ultima pellicola in pochi minuti, e con la solita esasperante interpretazione di Billy Mayo (già presente in altri suoi cortometraggi come il disturbante The Strange Thing About the Johnsons), narra una vicenda surreale ma verosimile, portandola all’estremo nella messa in scena grottesca. Il lungometraggio derivato, in quasi 3 ore, assume le sembianze di un thriller psicologico che sfiora l’horror e addirittura il fantasy in alcune scene. Dall’inizio, tutto ciò si presenta in maniera grottesca come un’avventura: l’apparentemente semplice storia di Beau (il grande Joaquin Phoenix), un uomo molto ansioso a cui uno psicoterapeuta prescrive regolarmente antidepressivi. Nella fretta di partire per andare a trovare la madre, si lascia rubare le chiavi di casa dalla porta lasciata per pochi minuti aperta, abitando in un quartiere e in un palazzo malfamato, cosa che viene seguita da tutta una serie di avvenimenti fuori dal comune che, per caso o per merito suo, gli sconvolgeranno la vita.
Probabilmente il grande merito del cineasta è quello di aver saputo mettere in scena i diversi generi, di cui si è parlato nel modo giusto al momento giusto del racconto e, ancora di più, quello di amalgamarli in maniera tale da narrare un’unica storia surreale, ma non verosimile, portatrice di numerosi messaggi e temi. L’opera è confezionata sapientemente da: una scenografia variopinta e altamente espressiva in ogni contesto, come per i costumi, i trucchi e gli effetti visivi (di cui la sequenza “fiabesca” la fa da padrona); una fotografia realistica e al contempo “allucinogena” in alcune sequenze estreme (come quella iniziale e quella finale); una regia versatile ma sempre focalizzata sulla tensione continua, grazie alla profondità di campo e alla macchina a mano; una interpretazione grottesca di tutti gli attori, sempre tra il comico e il tragico; un montaggio non troppo frenetico, equilibrato, però fondato sul contrasto, tra le immagini della vita esteriore e quelle della vita interiore del protagonista, a parte alcuni climax dettati dal genere e accompagnati dalla colonna sonora. Il risultato non risulta profondamente ragionato, al contrario sembra il prodotto dell’istinto di Aster e, soprattutto, di un personaggio scritto in un modo originale, per descrivere l’ansia, la paura e in generale l’inconscio umano.
2. Oppenheimer, un film biografico tra soggettività e oggettività
Il secondo film è Oppenheimer di Cristopher Nolan, uscito nelle sale italiane ad agosto 2023; la cui storia, ormai conosciuta da tutti, è la biografia dello scienziato che, come Prometeo, rubò il potere “divino” del sole e delle stelle riproducendolo nella bomba atomica, per poi rendersi conto di aver stravolto per sempre la storia dell’umanità. L’autore colpisce con uno dei suoi film più realistici e cupi, nonché spettacolari, grazie a diversi aspetti: la totale assenza di CGI (anche nella scena dell’esplosione); la fotografia piena di ombre e colori freddi, talvolta ricordando l’atmosfera noir, per sottolineare la dualità dei personaggi e di conseguenza di tutta la storia, non a caso legata alla guerra e alla bomba atomica; l’interpretazione naturalistica dei suoi grandi attori (Cillian Murphy, Robert Downey Jr., Emily Blunt, ecc.), di cui il primo nei panni di protagonista merita la prima posizione; le scenografie e i costumi minimali, tesi alla contestualizzazione storica ed emotiva di Oppenheimer, piuttosto che al virtuosismo tecnico del regista e dei suoi collaboratori, con qualche riserva per i trucchi un po’ artificiali nell’invecchiamento dei personaggi.
La sceneggiatura intrecciata a livello temporale e il punto di vista soggettivo del protagonista (ma anche del suo rivale) si legano indissolubilmente con tutto il comparto tecnico, soprattutto per l’escamotage dell’utilizzare scene a colori e in bianco e nero. La storia e la coscienza del fisico vengono osservate dalla macchina da presa dal campo lungo al primissimo piano e mediante frequenti piani-sequenza tanto crudamente, come uno scienziato che studia la sua cavia, quanto introspettivamente, come uno psicologo che analizza il suo paziente, attraverso le immagini di repertorio e la colonna sonora, che grazie al montaggio eccelso ed originale fanno calare dal primo all’ultimo istante del film lo spettatore del 2023 nella storia, unendo in modo talvolta frenetico le esperienze, i ragionamenti e le emozioni del fisico.
3. Killers of the Flower Moon e la critica consapevole
Il terzo film è il magnifico, ma anche criticato, Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, uscito ad ottobre 2023; la cui durata di 206 minuti è sicuramente dura da sostenere, soprattutto per le emozioni e le visioni che lascia allo spettatore. Fa sì che ogni attimo serva a descrivere al meglio un dettaglio, perché solo così il lungometraggio ha saputo raccontare con freddezza e realismo l’avidità e il razzismo degli americani, come ha saputo urtare la sensibilità del pubblico con il dolore ingenuo di un popolo innocente. Al di là della sua estensione, la sceneggiatura è legata come al solito ai dialoghi iperrealistici, che sfociano spesso nell’ironia ambigua con cui vengono dissacrati i personaggi, mentre la successione dei fatti e dei colpi di scena ha un ritmo insolito, che tende a trasformare l’apparente thriller in un dramma e poi in un poliziesco. La ricostruzione del periodo con costumi, acconciature, tradizioni, la lingua madre degli Osage e interi ambienti esterni ed interni è incredibile, ma viene sfruttata brillantemente dai virtuosi movimenti di macchina che li attraversano per far viaggiare nel tempo il pubblico: da ciò si può analizzare la regia del leggendario Scorsese, attento ai dettagli, in ogni inquadratura lunga o stretta che sia e in ogni movimento di macchina, mai banale ma sempre critico, grazie alla profondità di campo e alla direzione magistrale degli interpreti.
I personaggi sono caratterizzati bene e proporzionati, anche quelli poco presenti, e lo devono pure a grandi interpretazioni: Di Caprio la fa da padrone, la Gladstone è sorprendente e De Niro il solito maestro, ma tutti spontanei e non portati all’esasperazione. Il montaggio della solita grande Thelma Schoonmaker riesce sempre a colpire più della trama stessa, contrastando e in tal modo esaltando la regia, con cambi repentini da scene profondamente emozionanti a scene di una crudeltà unica, marchio di stile scorsesiano ereditato dalla Nouvelle Vague. Per non parlare della tensione sempre presente, anche nelle sequenze iniziali, mediante inquadrature o movimenti prolungati che lasciano respirare la colonna sonora, tra musica, rumori e voci. Infine, la fotografia è perfetta, oggettiva verso quello che rappresenta senza prevaricamenti di colori o di stili, eppure nella seconda parte dell’opera sembra abbattersi una grande ombra sui personaggi, come un presagio che porta alle grandi sequenze al buio di notte, in controluce o nelle lucenti fiamme che divampano.
Per concludere… le menzioni d’onore
Per finire, oltre a questi 3 grandissimi film, bisogna citare altri lungometraggi del 2023 da recuperare, che per varie ragioni costituiscono menzioni d’onore: in primis ci sono state importanti pellicole italiane, come il già citato Il sol dell’avvenire o La chimera della Rohrwacher; da non dimenticare sono i grandi documentari, come Laggiù qualcuno mi ama di Martone e Lynch/Oz di Philippe; l’animazione pure ha offerto bei prodotti, come Spiderman: Across the Spiderverse di Dos Santos, Powers e Thompson. In conclusione, ci sono state tante altre opere validissime di registi più o meno affermati, come Anatomia di una caduta della Triet e Babylon di Chazelle.
Fonte immagine in evidenza: Wikipedia