Uno dei simboli della città di Napoli è senza dubbio la maschera di Totò. Assieme a Giovanbattista Basile, Salvatore di Giacomo, Matilde Serao, Edoardo de Filippo, Pino Daniele e Massimo Troisi, Antonio de Curtis si inserisce tra tutte quelle personalità che ha dato lustro e splendore alla nostra città con il tramite dell’arte. Dapprima attore teatrale e poeta, Totò divenne in seguito noto al grande pubblico lavorando per il cinema e il pubblico lo conosce soprattutto per il suo contributo alla settima arte. I film di Totò ancora oggi vengono passati sui canali regionali e si possono trovare anche su piattaforme come You Tube, in modo che anche le giovani generazioni possano entrare in contatto con un attore abile sia come caratterista che come emblema dei vizi e delle virtù umane.
In questo articolo vi presentiamo alcuni dei suoi film più famosi estratti dalla sua immensa filmografia la quale, per ovvie ragioni, non è possibile trascrivere tutta quanta. Lasciamo a voi il piacere (e la voglia) di cercarla e di scoprirla.
Film di Totò, quattro da vedere
Miseria e Nobiltà
Tratto dall’omonima commedia scritta da Edoardo Scarpetta nel 1888, Miseria e Nobiltà viene trasposto su pellicola nel 1954.
Felice Sciosciammocca è uno scrivano che vive assieme alla sua famiglia e a quella dell’amico fotografo Pasquale in un’umile e povera casa. La loro vita è scandita dal trovare ogni giorno un modo sempre nuovo per ricavare soldi e cibo e tutto sembra volgere per il meglio quando il marchesino Eugenio Favetti dichiara di volersi sposare con Gemma, una giovanissima Sophia Loren, figlia del ricco Gaetano Semmolone il quale spera che la famiglia di Eugenio sia di nobile discendenza in modo da potersi imparentare. Il giovane allora, offrendosi di riempire i loro stomaci, chiede ai suoi parenti un piccolo favore: andare con lui a casa di Semmolone, in modo da consentire le nozze con Gemma. Come però è facile immaginare, le cose non andranno come previsto ..
Miseria e nobiltà è tra i film di Totò forse quello più memorabile ed iconico, che rielabora il canovaccio tipico della commedia del travestimento. Una pellicola ricca di trovate divertenti e geniali, come il fatto che anche nella sfarzosa villa di Semmolone gli pseudo-nobili non riescano a stare del tutto al gioco facendo emergere, spesso e volentieri, la propria natura popolaresca. Ma la scena più emblematica di tutte è senza dubbio quella in cui la povera tavola dei Sciosciamocca, come un miracolo, viene imbandita con tante prelibatezze tra cui spiccano i mitici spaghetti che Totò, Enzo Turco e tutti gli altri afferrano con le mani e divorano con voracità.
Lo sapevate che nel 1993 fu anche scritta da Lello Arena e Francesco Arbitani e disegnata da Giorgio Cavazzano una parodia Disney della commedia, con protagonisti Topolino e Pippo?
La banda degli onesti
Diretto da Marcello Mastrocinque nel 1956, La banda degli onesti segna l’inizio della collaborazione tra Totò e Peppino de Filippo.
Antonio Bonocore, portiere di una palazzina a Roma, vive un momento di difficoltà finanziare. Così, assieme al tipografo Lo Turco e al pittore Cardone entra in possesso di uno stampo della Banca d’Italia lasciato dall’inquilino Andrea e il trio inizia a stampare banconote false per risolvere i loro problemi economici. Ma la situazione diventa imbarazzante quando Michele, il figlio finanziere di Antonio, torna a Roma e dichiara che sta indagando su una banda che falsifica le banconote.
Da molti critici considerato uno dei film migliori del sodalizio Totò – de Filippo, La banda degli onesti è un film che rielabora felicemente lo schema della “commedia degli equivoci”. Tra le tante gag memorabili si possono citare le tante storpiature che Antonio fa del cognome Lo Turco (“Lo Turzo”, “Lo Turco”, “Lo Struzzo” ..) e la scena in cui viene presentato il “pittore” Cardone, in realtà un umile bianchino interpretato da Giacomo Furia e di cui il portiere, calandosi nei panni di un sedicente critico d’arte, ne riconosce le “doti artistiche”.
Toto, Peppino e la malafemmina
Restiamo ancora nel 1956 con un’altra commedia diretta da Marcello Mastrocinque e considerata tra i film di Totò la più celebre: Totò Peppino e la malafemmina
Nel paesino di Colizzi vivono i fratelli Capone, Totò e Peppino. Gianni, figlio della loro sorella Lucia e studente in medicina, si innamora di Marisa, la “malafemmina” del titolo e quando lei si trasferisce a Milano il giovane la segue riempiendosi di debiti. Totò, Peppino e Lucia lo seguono nel tentativo di far rompere il loro rapporto.
Film famosissimo, conosciuto tanto dalle vecchie generazioni quanto dalle nuove, è uno dei più amati di Totò. Una storia d’amore che finisce bene e che è celebre per due scene in particolare: quella in cui Totò chiede le informazioni stradali ad un vigile di Milano e quella celeberrima della “lettera” che il principe, in un italiano volutamente sgrammaticato, fa scrivere al Peppino e da indirizzare a Marisa interpretata da Dorian Gray. Ma celebre è anche la canzone cantata da Gianni, interpretato da Teddy Reno, rivolta alla propria amata.
Uccellacci e Uccellini
Molti critici dell’epoca notarono come i film di Totò sono spesso stati accomunati (nel pieno del torto) al cinema basso, adatto al volgo e quindi privo di finalità intellettuale. Forse Pier Paolo Pasolini pensava una cosa simile quando diresse Uccellacci e Uccellini nel 1966.
Qui Totò interpreta Marcello, un anziano usuraio che cammina assieme al figlio Ninetto ( Ninetto Diavoli, attore che aveva già lavorato assieme al regista friulano) lungo le campagne romane. I due si imbattono in una galleria di personaggi delle più svariate estradizioni social: da una famiglia povera a cui Totò ordina di abbandonare la casa per non aver pagato alcuni debiti ad una prostituta. Nel corso del loro viaggio padre e figlio vengono accompagnati da un corvo, emblema dell’intellettuale di sinistra, il quale gli narra anche la celebre storia dei frati francescani Ciccillo e Ninetto e del loro tentativo di evangelizzare i falchi e i passeri, specie nemiche per natura.
Tra tutti i film di Totò questo è sicuramente quello meno “totoniano”. Antonio de Curtis raccontò come, rispetto a quanto faceva di solito, dovette basarsi esclusivamente su un copione scritto e non abbandonarsi all’improvvisazione. Del resto lo stesso Pasolini aveva intenzione di dare legittimità all’attore partenopeo togliendogli quell’aura di “ridicolaggine” che Steno, Marcello Mastrocinque e tanti altri gli avevano conferito, immergendolo in un racconto dal sapore amaro ed allegorico.
Fonte immagine: https://www.lastampa.it/2017/10/09/spettacoli/miseria-e-nobilt-rivive-al-san-carlo-nYurHZlhj0bZkrJ6WlKpxO/pagina.html