Dopo l’acclamata serie Monster- La storia di Lyle ed Erick Menendez di Ryan Murphy, autore della serie Dahmer, è ora disponibile su Netflix il nuovo documentario sulla storia dei fratelli Menendez, che contiene interviste telefoniche inedite ed esclusive a Lyle ed Erick, così come testimonianze di avvocati, giornalisti e familiari coinvolti nel terribile crimine che sconvolse l’America degli anni ‘90.
La serie di Murphy ha ricevuto severe critiche da parte dei fratelli Menendez e dai familiari dei killer, in quanto la versione romanzata di Murphy include dettagli non verificati e che sono stati definiti poco realistici, come la relazione incestuosa tra i fratelli e la presunta omosessualità di Erick, tutti elementi che Erick e Lyle hanno voluto smentire.
Ma di che cosa tratta, dunque, il nuovo documentario I fratelli Menendez e in cosa è diverso dalla serie di Ryan Murphy? Scopriamolo insieme!
La trama
Non è la prima volta che Netflix propone prima una serie crime romanzata e poco dopo un documentario sulla stessa vicenda. Era già successo con la serie Dahmer sul cannibale Jeffrey Dahmer e poi ancora con il film The Good Doctor sull’infermiere killer Charlie Cullen. Allo stesso modo, quello sui fratelli Menendez è un docu-film con il quale Netflix ha voluto spingere lo spettatore a chiedersi quale sia la propria opinione sui fatti, basandosi stavolta sulle testimonianze dirette dei protagonisti dell’omicidio.
Il documentario I fratelli Menendez, di Alejandro Hartmann, mostra infatti, attraverso le parole dei due fratelli, come sono andate realmente le cose: il punto centrale è ribadire la verità sugli abusi sessuali subiti dal padre José che sarebbero stati il vero motivo del parricidio, avvenuto nel 1989.
“Non è stato detto abbastanza, e restare in silenzio non aiuta nessuno”, ha affermato Erik. Lyle ha invece aggiunto che gli omicidi sono avvenuti a causa di “segreti di famiglia e cose del passato” e che ora, dopo 34 anni di carcere, c’è finalmente la possibilità di un confronto nel quale le persone possono finalmente “capire” e “credere”.
Gran parte del documentario ripercorre le dinamiche dell’omicidio e del processo, basandosi su filmati d’archivio, in particolare del primo processo, che è stato trasmesso su Court TV.
Lo stigma della violenza sessuale maschile
Hartmann ci fa riflettere su quanto fosse difficile, negli anni ‘90, parlare della violenza sessuale, in particolare di quella subita dal genere maschile. La tematica si presentava come un terribile tabù, uno stigma che rese inaccettabile alla giuria, sopratutto agli uomini, riconoscere. La cultura dello stupro però colpisce tutti e, sebbene i fratelli non possano essere giustificati per il terribile crimine che hanno commesso, appare chiaro come se la vicenda fosse accaduta in anni più recenti probabilmente il processo sarebbe andato molto diversamente. I giovani infatti sembrano infatti più sensibili al tema della violenza sessuale, sembrano comprenderne meglio le conseguenze e soprattutto non c’è più paura di parlarne come un tempo.
Non è un caso che a fine film viene mostrata una carrellata di video su TikTok in cui molti giovani si schierano in difesa di Lyle ed Erik, chiedendo perfino il loro rilascio in quanto vittime di abusi. Il documentario Netflix ha riacceso il dibattito su questo caso, sollevando nuovi interrogativi e offrendo una prospettiva più complessa e sfumata. Rimane però il quesito più importante: vittime o mostri?
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