I Want to Be a Plastic Chair di Ao Ieong Weng Fong: giovinezza, dark humor e desiderio di evasione

I Want to Be a Plastic Chair di Ao Ieong Weng Fong

In occasione della settima edizione dell’Italian Horror Fantasy Fest, in programma allo Stardust Village di Roma dal 13 al 16 giugno 2024, abbiamo assistito a uno dei film in concorso per il premio Miglior Lungometraggio, I Want to Be a Plastic Chair di Ao Ieong Weng Fong. Ecco la recensione!

I Want to Be a Plastic Chair (Voglio essere una sedia di plastica) del regista macaense Ao Ieong Weng Fong – precedentemente selezionato come uno dei quattro progetti cinematografici del Programma di Sostegno alla Produzione di Lungometraggi 2018 del Cultural Affairs Bureau (IC) – è un film che sorprende e affascina, incorporando elementi di suspense e di fantasia ed esplorando con audacia e originalità temi quali la ricerca di un’identità stabile e, allo stesso tempo, l’alienazione da una società crudele e senza speranze, asettica e apparentemente priva di ogni briciolo di empatia. Il costante e pervasivo desiderio di evadere dalla realtà e l’immutabile e fallimentare tentativo di dare un significato a ciò che ci circonda; di rispondere a uno dei quesiti più antichi e radicali che accomunano da secoli tutti gli esseri umani: che senso ha la vita, e perché stiamo al mondo?

I Want to Be a Plastic Chair: la trama

Il protagonista di I Want to Be a Plastic Chair (Voglio essere una sedia di plastica), un giovane ragazzo di nome Ming (Wong Hin Yan), conduce una vita monotona e insignificante. Lavora part-time in un supermercato e condivide una stanza microscopica con la sorella minore, ma la convivenza familiare non procede nel migliore dei modi tra i due; o, per meglio dire, tra i tre. Infatti, il suo già minuscolo spazio personale viene quotidianamente invaso e disturbato dai momenti di fragorosa passione che quest’ultima e il fidanzato consumano ogni notte e che fanno tremare le viti del letto a castello. Dormire per lui è diventato impossibile e anche le brevi e intense gioie quotidiane regalate dall’autoerotismo sono ormai un lontano ricordo. Come se non bastasse, sua madre è mentalmente instabile e nasconde un oscuro e macabro segreto. Dopo aver incontrato l’astuta e attraente agente immobiliare Jenny (Anna Ieong), Ming decide di andarsene dalla casa dei genitori e di trasferirsi in un nuovo appartamento, un tempo appartenuto a un uomo che si era tolto la vita e che nessuno è più disposto ad acquistare. Questa nuova sfida però comporta dei cambiamenti significativi nella sua vita, portandolo a sprofondare in uno sconforto esistenziale sempre più acuto, fino a considerare addirittura di volersi reincarnare in una sedia di plastica rossa.

Ao Ieong Weng Fong: il regista

Ao Ieong Weng Fong, regista e direttore della fotografia macaense, è laureato alla Yunlin University of Science and Technology (NYUST) di Taiwan. Ha lavorato come direttore della fotografia in film come Blue Amber (2018), per cui ha ottenuto il prestigioso Asian New Talent Award – Best Cinematography al Festival Internazionale del Cinema di Shanghai, Years of Macau (2019) e Madalena (2021). Esordisce come regista e sceneggiatore con I Want to Be a Plastic Chair (Voglio essere una sedia di plastica) nel 2023.

La regia di Ao Ieong Weng Fong alterna momenti di asciutto realismo a sequenze di grottesco e lirico surrealismo, senza tracciare mai un confine che risulti forzatamente straniante o dissonante. Il film è caratterizzato da una forte componente visiva, con inquadrature prevalentemente fisse e una palette cromatica che varia dal desaturato al vibrante, riflettendo lo stato d’animo e le sfumature emotive dei personaggi e il loro rapporto con la materia circostante. La casa è pallida, anonima e spoglia perché considerata distante, ostile, una proiezione della vita mediocre di Ming. La sedia di plastica invece è di un colore rosso acceso perché simboleggia l’oggetto del desiderio; è sinonimo di energia, amore e potere.

I Want to Be a Plastic Chair: l’amara consapevolezza della «gettatezza»

I Want to Be a Plastic Chair (Voglio essere una sedia di plastica) è un film che sfida le convenzioni e invita lo spettatore a esplorare nuovi e paradossali universi e possibilità, tanto che incasellarlo in un codice di genere definito risulta difficile. Ao Ieong Weng Fong ha creato un’opera che è tanto provocatoria quanto stimolante nei piani di lettura. Il suo spirito ironico, malinconico e pungente, da commedia nera, a tratti inquietante e ad altri ancora evanescente, non si discosta dai termini di un racconto di formazione generazionale. Ming ormai è adulto, è vero, ma tutto sommato ricorda quasi un adolescente tormentato, in balìa di pulsioni e dilemmi; si chiede cosa voglia diventare un domani ed è convinto che non ci sia posto per lui in questo mondo. Heidegger, uno dei più grandi pensatori del Novecento, nel suo saggio Essere e tempo (1927) affermava che si può conoscere il mondo solo attraverso «l’essere-nel-mondo», e cioè partendo dal qui e ora. E questo perché ogni essere umano è «gettato nel mondo» senza che abbia mai veramente scelto di finirci, senza averlo potuto conoscere prima. Ming sceglie la sedia di plastica perché – come sottolinea lui stesso – è «sempre utile, serve a uno scopo e non occupa spazio superfluo in una stanza». In parole povere è funzionale, pratica e discreta. E, soprattutto, non può arrovellarsi tutto il giorno con domande esistenziali. Al contrario di noi esseri umani, che forse saremo sempre tragicamente destinati a questa agrodolce (in)consapevolezza.

Fonte immagine articolo I Want to Be a Plastic Chair di Ao Ieong Weng Fong: giovinezza, dark humor e desiderio di evasione: Ufficio Stampa

 

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