Hollywood: la fabbrica dei sogni
In un lasso di tempo che va dal 1919 al 1929 circa, anno in cui subentra il sonoro, si estende la durata del cinema muto a Hollywood. Dall’invenzione del cinematografo dei fratelli Lumière, che sono stati i primi a creare i film intesi come forme di spettacolo a pagamento per un pubblico, il cinema ha guadagnato sempre più terreno, fino ad imporsi come una delle forme di arte universalmente riconosciute ed apprezzate fino ai giorni nostri. In questo lungo viaggio attraverso le generazioni che si sono susseguite, Hollywood ha giocato un ruolo decisivo, imponendosi nell’immaginario degli spettatori come un vero e proprio olimpo, rivestito di un’aurea mitica che abbaglia ed affascina gli spettatori. Ma quel mondo mitico, in realtà, è un’industria: grazie ad un sistema produttivo verticale, basato su una rigida gerarchia ed un forte controllo dei produttori, Hollywood ha creato una vera e propria fabbrica dei sogni, come è riconosciuta, dove i film sono innanzitutto prodotti da dirigere piuttosto che frutti artistici di menti creative.
Nella creazione di un universo apparentemente lontano dalla realtà, è risultato fondamentale lo star system: la messa a punto artificiosa di divi e dive, attori e attrici che prima ancora di essere personaggi sullo schermo lo sono nella vita pubblica. La costruzione a tavolino delle loro vite sfarzose, fatte di ricchezza e sessualità sregolate, è stata la chiave di svolta per attrarre nelle sale quanta più gente possibile, ammaliata dai loro idoli sul grande schermo. Il fenomeno del divismo risale anche ai tempi del cinema muto a Hollywood. Di seguito si prenderà in esame uno dei film che ha fatto la storia del cinema, unendolo al potere evocativo della letteratura.
Marguerite Gautier è la diva del cinema muto a Hollywood
Tutto il sistema produttivo tiene conto del gusto borghese dell’epoca, specie quello maschile: questo viene proiettato sugli attori e sulle attrici da plasmare in divi e dive. È interessante notare come tale processo abbia toccato particolarmente l’universo femminile, con un fare talvolta giudicante in senso negativo, associando spesso la donna all’idea di una prostituta, ovvero una donna di mondo, dedita al divertimento sfrenato ed allo sfarzo della ricchezza e del sesso. Ma se da un lato è simbolo del vizio, dall’altro lo è anche della virtù per il suo eroico imporsi come soggetto desiderante e non solo come oggetto del desiderio maschile. E allora non deve meravigliare che il personaggio letterario di Alexandre Dumas figlio, La Signora delle camelie, si sia imposto nell’immaginario collettivo ed anche in quello cinematografico: la prostituta Marguerite Gautier diventa una sorta di alter ego di quelle dive alle quali la sua figura è associata, una donna-diva che come tale ha in sé un elemento del reale, poiché dietro il suo personaggio c’è una persona reale, e del fittizio poiché le sono attribuite qualità eccedenti ciò che è realmente realizzabile, come un idolo.
A questo punto, si prenda in considerazione la figura dell’attrice Alla Nazimova, interprete della protagonista del film Camille, di R. C. Smallwood, un riadattamento del romanzo La Signora delle camelie. Il film sicuramente è da annoverare tra uno dei più riconosciuti nella storia del cinema muto a Hollywood e gli elementi tipici sono ben riconoscibili: la fisicità fin troppo a favore di macchina, le espressioni portate ad un grado esponenziale altissimo proprio perché non avallato dall’aiuto delle parole e l’unico suono è quello di una simil-colonna sonora che accompagna le scene e gli intermezzi scritti che contribuiscono alla comprensione del film. Ma ciò che più colpisce e che riguarda l’argomento che stiamo affrontando è proprio la figura della Nazimova: produttrice del film, con il suo impegno sia teatrale che cinematografico, si è sempre mostrata intenta a portare avanti un messaggio di emancipazione femminile, contro le regole borghesi dell’epoca. Proprio il personaggio di Camille funge da apoteosi di questo suo percorso, identificandosi con una donna che, come si diceva prima, ha una doppia natura nel suo essere pubblicamente un oggetto del gusto della società maschile e, allo stesso tempo, una donna che ha il coraggio di andare incontro al suo destino, scelto da lei stessa. Un’immagine questa che arriva ad imporsi anche sull’attrice in quanto persona, essa stessa conducente di una vita pubblica e privata, controllate entrambe dal sistema produttivo, perché è proprio così che si diventa un mito e, dunque, una merce che assicura le entrate.
Hollywood, la fabbrica dei sogni che dal cinema muto fino all’avvento del sonoro si è rivestito del mito di un olimpo in cui abitano eroi e idoli ma che, infine, ha sempre riservato in sé un mondo oscuro ed a suo modo ambiguo. E infatti: per quanto un’attrice come la Nazimova si possa essere imposta come un simbolo di emancipazione femminile, il suo divismo è pur sempre una costruzione letteraria e cinematografica, soprattutto, attraverso sguardi maschili. Non è, dunque, solo un altro nuovo modo di intendere il maschilismo?
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