Il potere del cinema: l’idealizzazione dell’io

Il potere del cinema: l'idealizzazione dell'"io"

Il cinema è capace di creare nell’osservatore una forma di perversione sessuale che riguarda la sua stessa persona. L’aspetto esterno del film viene a mancare: in realtà tutto rientra in una visione antropomorfa, nella quale la figura umana ha il primo posto.

L’inizio

Il meccanismo cinematografico apre i battenti a metà del XIX secolo, quando nascono i primissimi cortometraggi che, in bianco e nero e senza alcun tipo di suono, vengono messi in scena in sale chiuse e senza accesso alla luce. L’intento? Quello di creare un ambiente estraniante, nel quale lo spettatore potesse alienarsi e immergersi nella nuova esperienza.

Il momento più memorabile sarà sempre quello dato dai Fratelli Lumière con il loro Arrivo di un treno alla stazione La Ciotat: nessuno si sarebbe aspettato di osservare tramite uno schermo un’immagine talmente reale da sembrare vera e da far spaventare il pubblico dell’epoca, non abituato a certe avanguardie. Da questo episodio, da piccole sale private alla nascita di grandi cinema, è stato tutto un crescendo e come sappiamo, il resto è solo storia.

Alienazione

Con il successo avvenuto, l’importanza passa dal creatore (regista) alla sua creatura: il film e i suoi attori. Specialmente questi ultimi vengono messi in risalto, dando il via allo star system: attorno alla loro immagine è riportata un’aura di successo, e ogni spettatore ha così degli idoli da ammirare e imitare.

Ma il tanto temuto “confronto con l’altro”, da dove ha inizio?

Gli studi attenti dello psicanalista Jacques Lacan danno un approccio fondamentale a questo discorso: il momento nel quale l’uomo ha l’iniziale incontro con sé stesso, e si fronteggia con il suo “io”, è alla prima visione del suo riflesso nello specchio, che avviene prima dell’acquisizione del linguaggio. Questo ha, però, diversi possibili sviluppi: un sano approccio con la diversità altrui, insieme a critiche costruttive e crescita personale, oppure delle conseguenze negative, come la svalutazione della propria persona, la negativizzazione delle singole capacità e l’idolatrare il prossimo come “migliore” di sé stessi.

Nel nostro periodo, purtroppo, spesso vediamo che è il secondo caso ad avere successo. I mezzi di comunicazione di massa, come il cinema, in questo caso, o i social media, tendono a mettere in mostra solo la perfezione, la felicità e tutto ciò che è apparentemente bello. L’osservatore tenderà automaticamente a credere che tutto sia reale, a sminuire il proprio percorso personale e a credere che il vissuto degli altri sia sempre migliore del proprio.
La fascia d’età maggiormente colpita è quella dell’adolescenza: bei fisici, outfit impeccabili e smartphone sempre dell’ultimo modello è quello che più colpisce. Tutto ciò viene ovviamente ricalcato negli schermi, che ottengono quindi molti meriti: oltre a far nascere pellicole mozzafiato e contenuti del genere più vario, quello di “produrre ideali di io” resta il loro must have.

Il cinema crea un idolo, un modello da seguire in ogni circostanza, dall’aspetto esteriore (quello più osservato) a quello caratteriale. Tutto viene idealizzato e lo spettatore, simultaneamente, riesce sia a disperdersi, smarrendo il proprio io cercando di avvicinarsi a quello altrui, sia a ricordare del momento in cui la sua immagine è stata osservata dai suoi stessi occhi per la prima volta, ritrovando in tal modo la propria importanza.

Conclusione

Diventa quindi un circolo vizioso, che poche volte riesce ad essere spezzato. Il confronto con il prossimo è la più grande paura della maggior parte del genere umano, anche di chi sembra che nulla sia causa di dubbi e timori verso sé stessi.

Nell’ambiente cinematografico, tutto è oggetto di idealizzazione e purtroppo molto è conseguenza di finzione, che raramente viene messo in evidenza dagli schermi. Gli stessi attori, personaggi televisivi e star mondiali ne sono vittime: per anni conducono stili di vita degradanti per poi apparire sui red carpet come impeccabili e nei cinema come perfetti, nei panni dei loro personaggi. 

Che la soluzione possa essere l’accettazione di questa tanto proposta “diversità”?

Fonte immagine: Freepik

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