Il robot selvaggio è un meraviglioso contrasto, ricco di emozioni che diverte i bambini e lascia riflettere gli adulti… ma, volendo, anche il contrario. Un’esperienza che viaggia su due binari distanti e contrastanti, ma che riescono comunque ad incontrarsi e a stringersi senza danneggiarsi. L’elemento tecnologico che abbraccia la forza della natura è un’antitesi quasi necessaria da rappresentare per i giorni nostri, ma va tuttavia presa in considerazione l’importanza nel fare in modo di non lasciare che il fattore immaginifico possa influenzare o addirittura pesare sulla realtà sociale.
Ciò che colpisce è la rappresentazione dell’amore, un amore che va oltre ogni ostacolo e abbatte i limiti del legame umano attraverso il filtro fiabesco. Il senso della provenienza e lo smarrimento che ne deriva sono uniti ad un desiderio di legame affettivo, di una ricerca di sé stessi e del proprio posto nel mondo attraverso una crescita emotiva dei personaggi, che sono degni emissari di un concetto doloroso ed impegnativo da affrontare, ovvero l’interazione sociale.
Una caratteristica sedentaria che ha sempre funzionato nell’industria dell’animazione è l’elemento comico. Il robot selvaggio riesce a divertire gli spettatori e rendere scorrevole e spensierata la narrazione senza tuttavia minimizzare l’interiorità del suo messaggio; al contrario il film è in grado di smuovere i sentimenti del pubblico e, tra una gag e l’altra, i personaggi immobilizzano l’attenzione degli spettatori, che sono sempre più connessi con l’emotività del racconto.
I due protagonisti, madre e figlio, vivono un processo interiore molto doloroso e difficile da affrontare: il piccolo Beccolustro si sente diverso ed emarginato per il suo tenore di vita e le sue origini differenti da quelle dei suoi simili e pertanto non riesce a trovare il suo posto all’interno di un mondo che sembra non volerlo accogliere; mentre Roz viene vista un po’ come un mostro, incapace di provare emozioni a causa della sua natura meccanica, ma è tramite il contatto con la natura che il robot riesce ad immedesimarsi nell’animo selvatico e ad umanizzare dei sentimenti che neanche lei stessa credeva di possedere.
Trama de Il robot selvaggio
Tratto dal libro di Peter Brown, Il robot selvaggio racconta la storia di un robot, chiamata Roz, che in seguito ad un naufragio si ritrova su un’isola. Qui dovrà adattarsi all’ambiente circostante e interagire, con molte difficoltà, con gli animali del luogo, tra cui la volpe Fink, che diverrà suo stretto amico. Involontariamente adotterà un cucciolo di anatra, Beccolustro, facendogli da madre e aiutandolo nel suo percorso di crescita e di integrazione selvatica.
La figura della madre
Una delle caratteristiche del film è proprio il ruolo del genitore che la protagonista si ritrova, improvvisamente, a rivestire. E persino un’unità robotica come Roz capace di soddisfare ogni singola esigenza richiesta va incontro a svariate difficoltà nel suo lavoro di mamma. Il suo personaggio rapisce il cuore della gente perché Roz fa di tutto per il suo cucciolo e cerca in tutti i modi di essere una buona madre, accompagnando suo figlio nel suo lungo processo di inserimento all’interno del regno animale, nonostante la sua totale impreparazione al riguardo. Il film ci invia così un meraviglioso messaggio, ovvero che nessuno è preparato a fare il genitore, ma è l’amore che si riesce a trasmettere al proprio figlio che fa la differenza, è l’amore e non la perfezione a formare e consolidare un legame così profondo come quello tra il genitore e il figlio
Natura e tecnologia: limiti e confini
Un film del genere che fa il suo debutto al cinema in un periodo come questo fa molto riflettere, perché, come sappiamo, i nostri giorni sono sempre più dominati dal progresso dell’IA, che fa passi da gigante giorno dopo giorno.
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