«La legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro… come vi posso dire… ecco: è l’astuzia che si mangia l’ignoranza. Io difendo l’ignoranza» – così ne “Il sindaco del Rione Sanità” Antonio Barracano parla ad Arturo Santaniello, dimostrando di aver ben chiaro il senso della giustizia, della sua giustizia, che non è quella dei tribunali. “Il sindaco del Rione Sanità” di Mario Martone sarà eccezionalmente nelle sale per tre giorni, distribuito da Nexo Digital, il 30 settembre, 1 e 2 ottobre.
Il sindaco del Rione Sanità: la città si lega alla periferia
Eduardo De Filippo trasportato nella Napoli del 2019, un boss di camorra che nel 1960 era un settantenne con un suo codice etico dalla parte dei più deboli e oggi con Mario Martone diventa un giovane capoquartiere con una villa a San Giovanni a Teduccio, con la stessa convinzione, tuttavia, di fare il bene del popolo, quelli che non hanno “santi in Paradiso”.
L’idea di riproporre in una chiave contemporanea il testo di Eduardo del 1960 nasce nel 2017, quando Mario Martone ha scelto di curare la regia di un progetto del gruppo di giovani attori indipendenti del NEST di San Giovanni a Teduccio, che agisce sul territorio cercando di togliere i ragazzi dalla strada.
Mario Martone si è immerso nel progetto sociale di Nest, un’ex palestra abbandonata di San Giovanni a Teduccio alla periferia di Napoli oggi avamposto contro il degrado sociale grazie ad un teatro da 100 posti, laboratorio guidato da Francesco Di Leva, protagonista del film nei panni di Antonio Barracano. Insieme hanno portato in tournée Il sindaco del Rione Sanità e poi – con l’autorizzazione di Luca De Filippo – ne hanno fatto un film con Massimiliano Gallo e Roberto De Francesco e la musica di Viviana Cangiano, anche attrice nel film.
Mario Martone e il suo modello Eduardo
Mentre guardiamo Il sindaco del Rione Sanità ci chiediamo cosa sia successo alla storia del camorrista al crepuscolo che ha deciso di amministrare la giustizia per chi «non tiene santi», ovvero per chi non può comprarsi la giustizia con la corruzione e resta ai margini della legalità.
In questo nuovo Eduardo tutti sono diventati giovani e giovanissimi, sono stretti in giubbotti di pelle e accentano il dialetto con i suoni delle Scampie universali: in una messa in scena in cui il postmoderno delle Gomorre si getta alla caccia di Eduardo, e lo insegue, e lo azzanna, finché per scosse successive, in una sorta di cortocircuito, Eduardo ferito comincia a divorare le Gomorre, le digerisce e diventa sorprendente.
Fino alla scena finale, un’ultima cena in cui Barracano, per non perpetuare la faida sacrificale, sacrifica se stesso incrinando la sua immagine di potere, e muore come un Cristo in mezzo ai fedeli e ai traditori. La giustizia che Barracano ha perseguito come soluzione è l’opposto speculare della giustizia corrotta della società, e oppone un disastro a un altro disastro, ma il sacrificio di Barracano è una domanda che resta aperta. E questo «Sindaco del rione Sanità» si sospende qui, moltiplicando l’ambiguità eduardiana. Il teatro non può rispondere: tocca allo spettatore.
Questa scelta di riattualizzazione, nata al momento dell’allestimento teatrale, non permette più, come nell’originale, di simbolizzare in Barracano il tramonto di un’epoca e di certi codici sociali, ma mette in atto un tentativo forte e importante di parlare al presente, di riflettere su come ancora oggi la miseria continui a essere terreno di coltura per il crimine e per le sue seduzioni, di come la povertà possa rendere vulnerabili ai prepotenti e di quanto questi possano essere abili nell’ottenere consensi, nel farsi ben volere a suon di favori e quattrini.
Il film è dunque soprattutto un accorato omaggio al pensiero e alla scrittura di De Filippo, con tutto il suo spessore civile e letterario, con il ritmo del Barracano di Francesco Di Leva, veloce e scheggiato nel fraseggio di passaggi dalla violenza alla tenerezza contrapposto al ritmo più netto, sconfortato e lucido del Della Ragione di Roberto De Francesco , e al ritmo di stolte certezze, sotterraneamente maligno dell’Arturo Santaniello di Massimiliano Gallo, tutti e tre dentro una recitazione anti-naturalistica cosciente di star mettendo in scena un apologo e non una tranche de vie, tutti e tre sbucati dalla realtà della grande periferia malata di Napoli e perciò pronti a smontare i suoi stereotipi.
In un film che non è teatro filmato, ma reinventato, riincanalato, riportato a un pubblico odierno che non ha nulla di nostalgico, ma che vive di un dialogo tra passato e presente, Mario Martone supera anche il trabocchetto della contemporaneità cinematografica figlia di Gomorra, puntando sulla parola rispetto all’azione, una parola che però suona un po’ anacronistica in bocca ai malavitosi di oggi: naturalmente, si tratta di una precisa scelta stilistica che opera in controtendenza rispetto ai codici del film o del prodotto tv sulla camorra con sparatorie, efferatezze, musica soverchiante.
Il film, tuttavia, risente molto della sua origine teatrale con una messa in scena e una regia al servizio del testo e rende, dunque, la stessa parola immagine facendola scorrere nel corpo dei suoi attori lasciando da parte sparatorie e movimenti gigioni di macchina da presa.
Don Antonio Barracano continua ad essere qualcosa di assai diverso di quel capocamorra che all’inizio sembrerebbe essere: egli è un visionario che cerca di ristabilire nel mondo un ordine andato fuori sesto, un uomo che ha vissuto sulla propria pelle l’ingiustizia e che, per amore della giustizia e sfiducia negli uomini, se la fa da sé con i mezzi a propria disposizione.
La commedia continua ad esprimere la crisi della giustizia della società italiana di quegli anni e di questi anni. E Il vero, unico personaggio positivo della commedia continua ad essere il dottore, il quale esprimeva la giusta soluzione per ogni atto derivato da un malinteso senso di giustizia: «Noi possiamo rivalutare le nostre azioni ma solo dicendo la verità».
Non si può costruire la giustizia se non con il rispetto della legge. Il dottore, diceva Eduardo, è il vero erede di don Antonio Barracano, di cui vuole continuare l’impresa, ma seguendo una via del tutto diversa: in nome della verità e della legalità, che sola assicura nel tempo i giusti risultati, sperando che si realizzi alla fine un mondo che sia «meno rotondo e un poco più quadrato».