Il film Jackie di Pablo Larraín offre uno sguardo avvincente e intimo sulla vita della First Lady Jacqueline Kennedy durante uno dei momenti più sconvolgenti della storia americana: l’assassinio del presidente John F. Kennedy.
Il film di Pablo Larraín è avvolgente e vertiginoso, triste e intimo. La sceneggiatura di Noah Oppenheim riflette sulla fede, la fama e la morte di un’illusione americana, come se fosse una lunga poesia luttuosa.
Il film risulta essere psicotico, strano e un po’ spaventoso, con improvvisi crescenti di archi lamentosi che si mescolano in modo discordante, ma efficace, con tutti i dettagli dell’epoca degli anni ’60. Jackie è uno studio psicologico strano e artificioso, in grado di catturare lo smarrimento, lo stupore, la desolazione che tutti gli Americani provarono nei giorni immediatamente successivi all‘assassinio del presidente John F. Kennedy.
Natalie Portman è la First Lady addolorata e sconvolta. La sua è una performance affascinante e profondamente impegnata; è espansiva, dettagliata e resa con intensità. Nel film di Larraín, Portman non imita esattamente gli sguardi espressivi e “sibilanti” di Jacqueline Bouvier Kennedy, il suo tono discendente alla fine delle frasi che risulta ancora visibile nelle scene che ricostruiscono il famoso speciale televisivo A Tour of the White House with Mrs. John F. Kennedy. Eppure, il film risulta al tempo stesso straordinariamente evocativo, a tratti poetico, mentre offre anche una performance modulata in modo convincente al di là di tutti i meccanismi di voce e portamento. Nell’estetica stralunata e psicotica di Jackie, l’intensità di Portman funziona piuttosto bene: è un film che avvolge gli spettatori mentre si ripete e persiste.
Se le persone si aspettano nel film un’epica biografica, potrebbero rimanere delusi da questo film d’autore senza grandi manifestazioni o discorsi esaltanti. Jackie Kennedy cerca di tenere insieme la sua famiglia, la sua casa e, forse, il suo Paese durante un momento sconvolgente della sua storia: lo fa con la sua famosa eleganza e compostezza. Qualcosa di perturbante anima quella grazia e centralità tipica della First Lady: il film è impregnato di un senso di oscurità.
L’opera è un character-study che proietta la tormentata interiorità del soggetto su tutto il minutaggio del film: è come se il regista ci portasse dentro la testa di Jackie.
Jackie è un film sull’eredità di Kennedy ma ne fa anche parte. È tanto bello ed evidentemente messo in scena quanto il documentario del tour della Casa Bianca con protagonista la First Lady. Larraín adotta un approccio molto minimalista con il risultato di un film che si sente profondamente intimo e personale.
Jackie non è solo un ritratto della sua protagonista in uno dei momenti più bui della sua vita, ma anche una riflessione sul retaggio di Kennedy e sull’incidenza che ha avuto sulla cultura americana. Il regista permette agli spettatori di esplorare i contrasti tra l’immagine pubblica di Jackie come icona di grazia e compostezza e la sua interiorità tormentata e oscura.
Jackie si distingue come un’opera d’arte cinematografica che sfida le convenzioni del genere biografico, offrendo una visione mai vista prima, attraverso gli occhi di una donna dal retaggio controverso e assai dibattuto, di un periodo cruciale della storia americana e del suo impatto sulla vita di una delle figure più iconiche del ventesimo secolo. La pellicola combina un regia distorta e ‘lunatica’, una sceneggiatura semplice ma raffinata e una performance straordinaria da parte di Portman, alla base di film che lascia un’impressione duratura e che invita gli spettatori a riflettere sul significato dell’eredità e sulla natura dell’umanità nel contesto della tragedia e della resilienza.
Fonte immagine: Wikipedia
Leggi anche: