K-Drama e salute mentale: “It’s Okay to Not Be Okay”

It's Okay to Not Be Okay: K-Drama e salute mentale | Recensione

Il mondo della salute mentale è un aspetto importante della nostra vita che poche volte viene messo in evidenza. A sopperire a queste mancanze, il paese sudcoreano ha pensato bene di racchiudere le diverse sfaccettature di questo problema in una serie televisiva dall’esito strabiliante: “It’s Okay to Not Be Okay”.  Va bene non stare bene è un K-Drama del 2020 proposto da Netflix e diretto dal regista Jo Yong, con la principale presenza del trio di attori formato da Kim Soo-hyun, Seo Yea-ji e Oh Jung-se. La loro performance ha causato stupore e tante lacrime agli spettatori, che sono rimasti con il fiato sospeso fino all’ultimo episodio.

 Trama del K-Drama “It’s Okay to Not Be Okay”

Il K-Drama It’s Okay to not Be Okay si basa sulle vite parallele di Moon Gang-tae (Kim Soo-hyun), infermiere nella casa di cura “OK”, che da sempre vive con il senso di dovere verso il fratello maggiore Moon Sang-tae (Oh Jung-se), affetto da autismo, e di Ko Moon-young (Seo Yea-ji), affascinante scrittrice di fiabe per bambini, della quale quest’ultimo è un grande fan. Presa sul superficiale potrebbe sembrare la tipica storia con lieto fine che spesso cerchiamo, ma se analizzata nei reali significati, propone seri aspetti che la società tende a nascondere e a farci vedere come negativi o inappropriati. La figura del protagonista maschile è inserita, a primo sguardo, come riservata e silenziosa, concentrata in tutto e per tutto nella cura di Sang-tae, sempre immerso nel suo mondo di fiabe e dinosauri. Solo negli episodi successivi si riesce a vedere come in realtà questa sia una vera e propria ossessione che l’ha colpito dopo la morte della madre. Ogni aspetto della sua personalità è annullato, così come la sua autostima: l’unica cosa che è visibile è il sentimento di obbligo che lo porta in giovane età a gridare di volere la morte del fratello, pur di potersi sentire libero. L’altra figura che emerge dalla serie televisiva è quella di Ko Moon-young, che viene rappresentata come cinica, a tratti masochista, arrogante e impulsiva. La sua passione per la stesura di storie per bambini ha un retrogusto che dà all’horror, con personaggi inquietanti dai bizzarri dialoghi. Nonostante questo, riscontra molto successo dal pubblico che non sa che quello che legge sia tratto da una mente con un disturbo antisociale della personalità. Ciò la porterà spesso a violare gli spazi e le regole altrui e quello che all’inizio può sembrare non molto piacevole, sarà in realtà la causa dell’inizio di una magnifica storia d’amore che porterà gli attori principali a superare le difficoltà e circoscrivere il loro tanto agognato “posto felice”.

Il lato nascosto sulla salute mentale

Com’è già stato evidenziato in precedenza, il reale scopo della serie It’s Okay to not Be Okay nasce dal voler rendere normale e dare voce ad uno degli aspetti che quasi sempre viene messo all’ombra: la cura non solo del proprio fisico e dell’aspetto estetico, ma anche della salute mentale. Molte sono le cause per le quali questa parte dell’essere umano viene minata e per le quali si ricorre a pratiche mediche per cercare una soluzione. Questo magnifico K-Drama ne illustra differenti sfaccettature, quasi tutte incentrate su traumi familiari, trascurati e trascinati poi per lungo tempo. Partendo dai protagonisti, in entrambi possiamo vedere questo aspetto: da un lato (Moon Gang-tae) abbiamo l’eliminazione della propria persona per via di importanti carenze di affetto da parte della madre, la quale, durante l’infanzia dei suoi figli, ha sempre caricato di responsabilità quello maggiore per far fronte a quello più bisognoso, senza curare l’aspetto emotivo di entrambi a pari misure. Dall’altro (Ko Moon-young) vediamo come la stessa figura genitoriale abbia innescato un profondo trauma della personalità, facendo credere che la giovane donna non mai sarà diversa dalla precedente né più brava e facendo cadere su essa stessa le colpe delle sue insicurezze e sconfitte. Poi abbiamo Sang-tae, che cresce insieme all’autismo e al trauma di essere stato spettatore dell’omicidio della madre, senza ricordare effettivamente il volto del colpevole. Della catastrofe ricorda solo un particolare: una farfalla che volò davanti i suoi occhi nello stesso momento dell’accaduto. Sarà quello l’oggetto delle sue crisi e del suo profondo panico, come anche il mezzo, nell’ultima parte della fiction, che lo porterà a scoprire che il colpevole del passato evento era molto più vicino di quanto credesse. Anche se non viene quasi mai menzionato, un altro personaggio attira molto l’attenzione durante gli episodi: è il caso del giovane Kwon Ki-do (Kwak Dong-yeon) che fa di tutto pur di ricevere le attenzioni di un padre interessato soltanto alle cariche politiche e alle elezioni. Il ragazzo presentato nella clinica come affetto da sindrome maniacale e l’unica che sembra capirlo è proprio Ko Moon-yeon: grazie a lei, Ki-do riesce finalmente a dire apertamente che la causa dei suoi disturbi è stato l’atteggiamento menefreghista del padre che, non vedendolo all’altezza dei suoi fratelli, tendeva a picchiarlo e abbandonarlo.

Conclusione

It’s Okay to Not Be Okay è un K-Drama dal profondo significato e oggetto di svariati premi. Per molto tempo è stato in vetta alle classifiche e sulla bocca di tutti gli spettatori rimasti impressionati ed emozionati dalle fantastiche capacità teatrali dei personaggi, dalla facilità con la quale si passa da scene comiche a serie o addirittura tragiche e di azione. Molte sono state le recensioni positive e difficile è stata l’interpretazione di figure così complesse e piene di lati nascosti, che fanno comprendere come l’apparenza non sia realmente veritiera e che è umano riconoscere delle debolezze in ogni persona. Tanti spettatori, specialmente di giovane età, hanno riconosciuto come parlare quotidianamente di salute mentale possa essere positivo sia tra coetanei, ma specialmente in ambito familiare. Si può quindi dire che va bene non stare bene?

Fonte immagine: Netflix

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