La Città Incantata (in giapponese 千と千尋の神隠し Sen to Chihiro no kamikakushi, ovvero La sparizione causata dai kami di Sen e Chihiro) è un film del maestro visionario dell’animazione giapponese Miyazaki Hayao, prodotto dal blasonato studio d’animazione di cui è il co-fondatore, assieme al compianto Takahata Isao: lo Studio Ghilbi.
Il lungometraggio animato del 2001 è stato il primo prodotto giapponese a vincere il premio Oscar come Miglior film d’animazione nel 2003, venendo dichiarato film dell’anno in patria e portando a casa numerosi altri premi, tra cui un Orso d’oro al festival internazionale del cinema di Berlino.
La rivisitazione in chiave personale di Miyazaki del romanzo 霧のむこうのふしぎな町 (Kiri no mukō no fushigi na machi – Il Meraviglioso Paese oltre la Nebbia) pubblicato per la prima volta nel 1987 e scritto dalla giapponese Kashiwaba Sachiko, condivide numerose similitudini con il viaggio della piccola Alice nel celebre romanzo britannico Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Caroll.
Ma perché Miyazaki ha scelto una bambina come protagonista e eroina della sua storia?
La Città Incantata non è l’unico film in cui è stata fatta questa particolare scelta di percorso; i bambini rappresentano la più grande forma di purezza esistente e, grazie alla loro fantasia e alla spensieratezza, sono tra i pochi che riescono a vedere qualcosa di positivo anche in un mondo tutto grigio, riuscendo a trovare la volontà per cambiare le cose.
Nei primi minuti del film, facciamo la conoscenza di Chihiro, che sta vivendo uno dei momenti più complicati per una bambina della sua età (ha 10 anni): un trasloco.
Traslocare significa lasciare indietro le proprie certezze, i propri affetti e le proprie abitudini, infatti la piccola protagonista appare scocciata e demotivata.
In seguito a un’imprevista deviazione del percorso, lei e i genitori si ritrovano catapultati in un misterioso food district, apparentemente deserto. L’architettura tradizionale, le strade strette che si sviluppano in altezza, le mille lanterne colorate che impreziosiscono il piccolo quartiere, ricordano tantissimo la città taiwanese di Jiufen.
I genitori di Chihiro non riescono a resistere ad un sontuoso banchetto che gli si materializza davanti, si abbuffano all’inverosimile e diventano dei maiali. In senso letterale. Veri e propri suini giganti. Probabilmente è una punizione per il gesto innaturale di aver abbandonato la propria figlia per ingozzarsi fino a scoppiare.
In seguito, Chihiro verrà trascinata fino all’Onsen (struttura termale tipica giapponese) della strega Yubaba, dove sarà costretta a perdere la sua identità (Yubaba si impossesserà di alcuni dei caratteri che compongono il suo nome, lasciandole solo il carattere Sen, che sarà il suo nuovo nome) e a lavorare per la struttura, nella speranza di poter riabbracciare i suoi genitori.
Grazie alle fondamentali connessioni che instaurerà con personaggi secondari chiave come Rin, Kamaji, Haku, il Senzavolto e la strega Zeniba, la piccola Chihiro intraprenderà un viaggio fantastico alla scoperta di sé stessa e dell’importanza dei legami umani (e non solo!).
Il suo percorso, più che di crescita, può essere definito di cambiamento; passa dalla bambina annoiata e scoraggiata che vediamo nei primi minuti del film a una piccola eroina forte e indipendente.
La caratterizzazione dei personaggi principali, secondari e di contorno, le ambientazioni, gli sfondi e la colonna sonora che il maestro Joe Hisaishi ha sapientemente composto per questo capolavoro del cinema d’animazione, sono davvero difficili da descrivere; siamo sicuramente di parte, in quanto fan sfegatati dello Stuido Ghibli, ma La Città Incantata è un film da vedere obbligatoriamente almeno una volta nella vita!
Fonte immagine in evidenza: La città incantata