La linguistica nell’intrattenimento audiovisivo rappresenta un affascinante campo di studi il cui risultato sono delle autentiche conlangs (constructed languages), lingue artificiali che diventano a tutti gli effetti la componente fondamentale di un universo.
Quando si parla della creazione di una lingua, è fondamentale distinguere tra lingue umane e lingue artificiali. Le lingue umane servono al normale sviluppo della comunicazione tra gli esseri umani, mentre le lingue artificiali sono create intenzionalmente da individui per uno scopo specifico. Si suddividono dunque: lingue architettate, lingue ausiliarie e lingue artistiche.
Nel mondo del cinema e della televisione, la linguistica nell’intrattenimento audiovisivo ha sfruttato queste ultime per scopi immaginativi e creativi. Da queste lingue artificiali sono nati dei veri e proprio progetti linguistici che hanno spopolato in opere di finzione, come le lingue di Tolkien nel Signore degli Anelli, il valyriano in Game of Thrones e il na’vi di Avatar.
La lingua na’vi – Avatar
Quando, nel 2005, James Cameron lavorò al primo film di Avatar, avvertì la necessità di arricchire la pellicola con un linguaggio alieno che caratterizzasse il popolo di Pandora. Riuscì a mettersi in contatto con Paul Frommer, un linguista che accettò la proposta, dando vita a uno dei più grandi fenomeni che ha visto la linguistica protagonista nell’intrattenimento audiovisivo. Frommer elaborò una lingua basata sul polinesiano, la lingua na’vi. Una delle caratteristiche principali della lingua na’vi è la presenza delle cosiddette eiettive, come la k, la t e la p, con un rilascio d’aria più brusco. Inoltre, è una lingua basata sul sistema quaternario, non quinario, perché i na’vi hanno quattro dita, mentre gli avatar cinque. Tuttavia, Cameron voleva una lingua piacevole al suono e che potesse essere pronunciata plausibilmente dagli umani. La sintassi del na’vi è caratterizzata da: diversi casi grammaticali, simili al latino, non esistono solo il singolare e il plurale, ma anche forme duali e triali e infine, per esprimere i tempi verbali, l’uso degli infissi, particelle inserite all’interno del verbo stesso.
Il valyriano – Game of Thrones, House of the Dragons
Durante la scrittura di Le cronache del ghiaccio e del fuoco, George R.R. Martin riassunse il valyriano in circa 56 frasi complete. Successivamente, il linguista David J. Peterson ne prese atto e le trasformò in una vera e propria lingua. Oggi, in occasione della popolarità di House of the Dragon, la lingua è stata ulteriormente approfondita e conta più di 2000 parole. Nella saga, l‘alto valyriano è simile al latino dell’Europa medievale; infatti, soprattutto in House of the Dragon, si nota chiaramente come l’uso della lingua non sia più per interazioni comuni come nei tempi antichi, ma piuttosto solo per l’educazione dei nobili di Essos e Westeros, con una vasta cultura letteraria e musicale annessa, una splendida ricostruzione della linguistica nell’intrattenimento audiovisivo.
Per cui il valyriano è una lingua molto simile al latino anche a livello strutturale, in cui i sostantivi e i verbi vengono coniugati in base al caso, al genere e al numero. Esistono ben quattro generi, che non dipendono dal sesso biologico: la classe lunare, solare, terrestre e acquatica. Ecco spiegato perché in molti credono che Azor Ahai, il principe che fu promesso, possa essere in realtà Daenerys, visto che il libro non è ancora terminato, un esempio esplicativo di come funzioni la linguistica nell’intrattenimento audiovisivo. A livello grammaticale, ci sono quattro numeri: singolare, plurale, duale e collettivo. Ad esempio, “valar” significa “tutti gli uomini”, come nella famosa frase “valar morghulis” (tutti gli uomini devono morire) e “valar vohaeris” (tutti gli uomini devono servire). I sostantivi vengono declinati in otto casi: nominativo, accusativo, genitivo, dativo, locativo, vocativo, strumentale e associativo.
Il sindarin e il quenya – Il Signore degli Anelli
Tolkien è celebre per aver creato una serie di lingue artificiali per i suoi romanzi. Era un filologo specializzato in lingua norrena e pare che uno dei suoi primi lavori linguistici sia stata la creazione del nevbosh, una lingua non particolarmente complessa e priva di un vero senso logico, creata insieme a sua cugina, creatrice dell’animalese. Questo lavoro inteso nelle lingue “New Nonsense“, è stato seguito dalla creazione di altre lingue, tra cui l’elfico antico, una lingua parlata dagli elfi, mezzelfi e altre razze.
La linguistica nell’intrattenimento audiovisivo ha inteso l’elfico come una lingua molto musicale e molti lo hanno associato al gaelico irlandese. In realtà Tolkien si è ispirato alle lingue celtiche per creare il sindarin, una lingua elfica su cui ha lavorato e rielaborato più volte la struttura. Il sindarin, insieme al quenya, sono le lingue più famose di Tolkien. Il sindarin è particolarmente influenzato dal finlandese, dal greco e dalle lingue romanze, soprattutto dall’italiano, mentre il quenya è una lingua estremamente dettagliata dal punto di vista sintattico e grammaticale, con 10 casi e quattro numeri. Questo la rende particolarmente complessa, simile al greco e al latino. Il quenya è una lingua agglutinante e flessiva, una caratteristica tipica del finlandese, da cui Tolkien ha preso alcune forme lessicali. Dal punto di vista fonetico, Tolkien ha dichiarato di essersi ispirato alle lingue romanze, in particolare all’italiano, per via della musicalità della pronuncia.
Questi sono gli esempi meglio riusciti riguardo la linguistica nell’intrattenimento audiovisivo, le più conosciute e sviluppate nei libri di Tolkien. Tuttavia, egli non ha mai nascosto il puro divertimento nel creare lingue artificiali, facendo più volte cenni ad altre invenzioni rimaste in una fase embrionale, come piccoli abbozzi di frasi elaborate attraverso una grammatica illogica.20
Fonte immagine dell’articolo: locandina ufficiale del film Avatar: The Way of Water, mezha.media