Lo sguardo è di solito centrale, in qualsiasi situazione. Quando vediamo qualcosa che ci piace siamo quasi ipnotizzati nel guardarla, quando invece notiamo che qualcuno ci osserva e ci sentiamo in imbarazzo, o ancora, quando una persona ci mette in soggezione, abbiamo difficoltà a guardarla negli occhi. Questo perché appunto lo sguardo indica potere, e sicuramente l’ambito in cui esplica maggiormente questa forza è il cinema.
L’importanza dello sguardo al cinema
Il primo sguardo a cui si può far riferimento è quello dello spettatore che seduto comodamente nel buio della sala guarda attentamente ciò che succede sul grande schermo. I personaggi che si susseguono in scena sono l’oggetto della sua vista e lo spettatore non è semplicemente un osservatore passivo, come potrebbe sembrare, perché non solo può essere emotivamente coinvolto dalle immagini sino a commuoversi, ma ragiona sulle possibili conclusioni del film, su che scelte prenderà il o la protagonista, prova simpatia per un personaggio piuttosto che per un altro. Ma addentrandoci più a fondo nello studio dello sguardo al cinema, si potrebbe parlare delle teorie trattate dalla critica Laura Mulvey, che nel suo scritto Visual Pleasure and Narrative Cinema si focalizza su come l’importanza dello sguardo nel cinema derivi dal concetto di scopofilia di Freud, che indica il piacere che si prova nel guardare l’altro, e la nozione di identificazione di Lacan. Usato dalla Mulvey per spiegare l’identificazione dello spettatore con il protagonista.
Come funziona il male gaze
Ma la forza dello sguardo nel cinema è a più livelli, ed ecco che la Mulvey ci parla del suo concetto di male gaze, (sguardo maschile). Secondo la sua teoria, lo sguardo maschile è centrale sia fuori che dentro lo schermo: nel cinema classico di Hollywood i film prodotti sono rivolti principalmente ad un pubblico maschile, per questo i personaggi principali, coloro che portano avanti la narrazione e che sono attivi nell’azione, sono proprio gli uomini, per facilitare l’identificazione dello spettatore. Per le spettatrici invece il processo di identificazione diventa più complesso, poiché le attrici hanno un ruolo secondario, passivo, non proseguono l’azione ma anzi sono semplicemente gli oggetti di contemplazione del protagonista nello schermo, e dello spettatore, fuori dallo schermo. Laura Mulvey, poi, in un successivo scritto, illustra due alternative che la spettatrice può scegliere: identificarsi in un personaggio femminile appunto passivo e con poco spessore o immedesimarsi nel protagonista maschile, dovendo quindi fare un ulteriore sforzo rispetto all’uomo.
Negli ultimi anni, soprattutto grazie a piattaforme come Netflix e Amazon Prime Video, si è dato spazio a personaggi femminili innovativi, attivi ed emancipati, (ricordiamo La fantastica signora Maisel, GLOW). È proprio grazie a questo che oggi si è passati ad un nuovo livello di riflessione, ragionando su come le donne dietro la macchina da presa siano in una percentuale ancora troppo bassa, e di come sullo schermo le donne siano ancora soprattutto bianche, cisgender ed etero. Ma per fortuna, anche da questo punto di vista, sembra si stia iniziando ad avere maggiore sensibilità e attenzione.
Fonte dell’immagine: Picryl