Nei film di Marlon Brando la sua stessa presenza, affascinante ed enigmatica, rappresenta un motivo di visione valido . Gli occhi piccoli color nocciola, un atteggiamento da duro che spesso si risolveva in un espressione ruvida, seppur beffarda e sprezzante, ed un sorriso la cui portata di impressioni ha fatto cadere ai suoi piedi schiere di donne. Ma Marlon Brando non era solo questo, bensì un volto e mille facce. Secondo Vittorio Gassman quello dell’attore era il mestiere della “falsificazione programmatica“, una vocazione, o per meglio dire un’arte, il cui fine ultimo era quello di modificare con la propria azione la realtà e alterarne la percezione. In una celebre intervista al Dick Cavett’s Show nel 1973 Marlon Brando, alla domanda postagli dal celebre conduttore statunitense sulla natura della recitazione e su quale fosse il motore alla base del suo personale approccio Brando rispose, in un’ottica di critica a quello che all’epoca era il celebre metodo Stanislavskji che in realtà lui non aveva un suo stile, e non sapendo cosa fosse l’arte della recitazione, andava sul set e cercava di fare un buon lavoro.
Scopriamo insieme tre dei migliori film di Marlon Brando!
Un tram chiamato desiderio, 1951 regia di Elia Kazan
Andiamo indietro negli annali, in cui il bianco e il nero facevano da padroni nelle sale cinematografiche, la pellicola che consacrerà, tra i film di Marlon Brando a divo indiscusso del cinema l’attore dell’Ohio, porta la firma, complice l’eccellente sceneggiatura di Tennesse Williams, di uno dei più illustri registi del suo tempo, Elia Kazan. Affiancato ad un’altra leggenda, Vivian Leigh (la storica protagonista di Via col Vento), l’opera nella sua penuria e nella sua essenzialità materiale racconta, molto alla Faulkner, l’altra faccia della depressione del 29′ attraverso temi quali la passione, il senso di colpa e ovviamente il desiderio, un Brando asciutto, fermo ma di grande potenza e suggestività.
Ultimo Tango a Parigi, 1971 regia di Bernardo Bertolucci
Realizzata nel pieno degli anni ’70, questa pellicola, oltre ad essere una vera e propria pietra miliare del cinema contemporaneo, famosa anche per essere la bandiera su cui nel tempo è stata (a buona ragione) intestata la lotta contro ogni forma di censura da parte dei cineasti italiani e non, a causa della famosa scena in cui uno “stupro” o presunto tale viene perpetrato nei confronti dell’attrice Maria Schneider, (basti pensare alla vera e propria campagna di sensibilizzazione portata avanti nelle piazze in quegli anni da Pannella e dai radicali) Brando riesce, con la sapiente direzione di Bernardo Bertolucci, con addosso un cappotto color cammello che ha fatto storia, ancora una volta a dimostrare le sue non-fattezze da camaleonte, mostrando tutta la sofferenza e il distacco del protagonista in una serie di dialoghi estremamente appassionanti.
Il Padrino, 1972 regia di Francis Ford Coppola
Un nome, una garanzia. Innumerevoli sono le storie che potrebbero venir raccontate in merito alla genesi (assai travagliata) di questo capolavoro, dalla ben famosa e citata idea dello stesso Brando di rendere Don Vito Corleone un “bulldog francese” recitando con dei batuffoli di cotone arrotolati in bocca per dare quel sapore sostenuto e tirato indietro al personaggio e alle sue parole, oppure l’utilizzo di una vera (così come la reazione di John Marley) testa di cavallo morto utilizzata durante le riprese, sta di fatto che ad oggi il Padrino risulta ancora una delle opere cinematografiche più celebri e maggiormente riconoscibili nella storia del cinema moderno, un vero e proprio elemento distintivo della cultura pop a noi contemporanea, tant’è che valse a Brando l‘Oscar (mai ritirato personalmente) che nel film diede il meglio si sé, rivelandosi inoltre un eccezionale caratterista.
Fonte immagine in evidenza: Depositphotos (https://depositphotos.com/editorial/los-angeles-oct-2013-marlon-brando-waxwork-figure-madame-tussauds-385473172.html)