Un padre burbero e un figlio insicuro, attraverso un lutto importante, riusciranno a mettere a nudo le loro fragilità dopo anni di conflitti, questa è la trama del cortometraggio indipendente Nel cuore di chi resta.
Simone Larocca ci parla del suo cortometraggio Nel cuore di chi resta, approfondendo la tematica del lutto e le problematiche che emergono dopo di esso. Il regista racconta la sua formazione, la produzione del cortometraggio e il significato centrale della sua produzione cinematografica.
Nel cuore di chi resta sarà proiettato il 21 novembre a Napoli, in occasione della rassegna di film indipendenti ‘’Nic – Napoli in Cinema’’ del gruppo AVAMAT. La Fiera del cinema Nic è una serata dedicata al cinema indipendente, rappresenta un momento di condivisione tra cineasti e pubblico, con uno spazio riservato alle domande e alle dichiarazioni degli artisti dopo ogni proiezione. Avamat si differenzia dalle altre case cinematografiche per un approccio al cinema ‘’pop’’, realizzando storie originali con un approccio d’avanguardia.
Nel cuore di chi resta è un cortometraggio che analizza in modo molto delicato e semplice ciò che si verifica dopo la morte di una persona cara. Cosa ha ispirato la realizzazione di questo corto?
L’idea di questo progetto nasce da Tommaso Marrazzo, che da tempo desiderava raccontare questa storia. Insieme, abbiamo cercato il modo giusto per catturare quel delicato momento subito dopo la perdita di una persona cara, soprattutto quando quella persona era il punto di equilibrio della famiglia. Il nostro obiettivo era esplorare come i legami, anche quelli incrinati, possano essere rivisti alla luce di un lutto. Il contributo del direttore della fotografia, Antonio De Rosa, è stato fondamentale: grazie alla sua visione, siamo riusciti a creare un’atmosfera magica che accompagna perfettamente il tono delicato della storia. La sceneggiatrice Giuliana Boni ha poi tradotto tutto ciò in una narrazione visiva e poetica, rendendo ancora più profondo il messaggio del film.
Quella presentata all’interno del suo cortometraggio è una tematica cara a molte persone. Lei ha saputo presentare in maniera molto sapiente la reazione e la rabbia di chi subisce il lutto. A cosa è dovuta la decisione di porre l’accento su chi resta, invece di soffermarsi su chi è andato via?
Credo che il vero dramma, dopo una perdita, sia vissuto da chi resta. Chi rimane deve fare i conti con il vuoto lasciato, e spesso ciò riporta alla luce tensioni e non detti che possono perdurare per anni. Volevamo evidenziare come il dolore possa essere una forza capace di rimettere in discussione tutto, trasformando la rabbia in un’opportunità per la riconciliazione. Il corto suggerisce che a volte solo attraverso un evento traumatico si riesca a mettere da parte i rancori e a riscoprire l’amore.
Il finale del cortometraggio offre una visione consolatoria del lutto. Ci può parlare della scena finale e del ricongiungimento tra padre e figlio?
Il finale rappresenta una sorta di compimento del desiderio della madre. La spiaggia, un luogo di bei ricordi, diventa il contesto per la loro riappacificazione. È come se, anche dopo la sua morte, la madre fosse riuscita a far tornare il marito e il figlio insieme. Lo spargimento delle ceneri simboleggia il distacco dal dolore, e l’abbraccio finale suggella la pace ritrovata tra padre e figlio, un momento catartico che rappresenta il vero “ricongiungimento”.
Ci può parlare della sua formazione?
Il mio percorso nel mondo della regia è iniziato ufficialmente nel 2014, quando ho deciso di lasciare il mio lavoro da nutrizionista per seguire la mia vera passione: il videomaking e la regia. Già da piccolo, amavo realizzare video e montarli, una passione che non mi ha mai abbandonato. Durante la mia carriera, ho avuto la fortuna di collaborare con molti registi e attori, e questo mi ha permesso di assorbire diversi stili di lavoro, imparando da ogni esperienza. Frequentando numerosi set cinematografici, ho osservato da vicino il lavoro dei vari reparti, imparando tecniche e dinamiche che mi hanno arricchito a livello tecnico e creativo. Tutto ciò mi ha portato a vincere premi importanti, come il Premio Massimo Troisi, e a lavorare su progetti per Rai e Mediaset. Attualmente, sto lavorando a nuovi progetti, tra cui un cortometraggio e un lungometraggio, sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare.
Ci sono state particolari difficoltà durante la produzione del corto?
Fortunatamente, la produzione è stata un’esperienza molto fluida e positiva. Il clima sul set era magico, con un’ottima sinergia tra tutta la troupe. Tommaso Marrazzo e Adolfo Margiotta, i protagonisti, hanno contribuito enormemente con la loro professionalità. Adolfo, in particolare, con la sua lunga esperienza, ha saputo aggiungere profondità alle scene, trovando sempre quel dettaglio in più che ha reso ogni momento unico.
Ha intenzione di trasformare questo cortometraggio in una produzione più ampia, come quella di un lungometraggio?
No, credo che “Nel cuore di chi resta” funzioni perfettamente come cortometraggio. La sua forza risiede nella capacità di condensare emozioni intense in pochi minuti, mantenendo alta la tensione emotiva e portando lo spettatore a un finale inaspettato ma soddisfacente.
Vorrebbe dire qualcosa a chi, nella realtà, vive una situazione analoga a quella mostrata nel cortometraggio?
Il messaggio centrale del corto è che non bisogna aspettare di risolvere conflitti e incomprensioni. Spesso, portiamo avanti rancori per anni, e solo di fronte a un evento traumatico ci rendiamo conto di quanto tempo abbiamo sprecato. Nel film, i protagonisti si riconciliano solo dopo la morte della persona che li ha tenuti insieme. Se avessero fatto pace prima, avrebbero potuto vivere momenti più sereni insieme alla madre/moglie. Invito chi vive una situazione simile a non aspettare: la vita è troppo breve per lasciarsi guidare dal rancore.
Fonte immagine: Ufficio stampa