Nosferatu, la recensione del film di Robert Eggers con Aaron Taylor-Johnson, Nicholas Hoult, Bill Skarsgård, Lily-Rose Depp, Willem Dafoe ed Emma Corrin
Quanto patema d’animo si può provare (ri)vedendo il remake di uno dei capolavori del cinema horror tedesco che ha fatto la storia del cinema, a sua volta tratto liberamente dal romanzo Dracula (1897) di Bram Stoker? Tanto. Poco. Troppo. Troppo poco. A parlare attraverso le immagini è Nosferatu, non quello di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922 e nemmeno quello di Werner Herzog del 1979. È il Nosferatu di Robert Eggers, il regista di The Lighthouse (2019) e The Northman (2022). Autore con un amore smisurato per l’ambientazione cupa, il bianco e nero orrorifico, l’epica intricata raccontata per mezzo del tenebroso personaggio di Amleto e adesso un exploit sul vampiro più famoso di tutti i tempi che ha terrorizzato con le sue unghie lunghe e lo sguardo misterioso. Tuttavia, tra il Nosferatu di Eggers e la pellicola del cinema muto espressionista di Murnau c’è una differenza formale: il Conte Orlok non ricalca per immagine e somiglianza il personaggio vampiresco tratteggiato da Murnau. Anzi. Di remake fedele all’originale non si può di certo parlare.
Nosferatu: il mito raccontato da un punto di vista inedito
Che cos’hanno in comune Nosferatu il vampiro di Murnau e Nosferatu di Eggers?
La storia, la stessa da più di un secolo: nel 1838 in Germania Thomas Hutter e la moglie Ellen sono da poco sposati e vivono a Wisborg. Thomas Hutter lavora per l’agente immobiliare Knock che lo manda sulle montagne della Transilvania per firmare il contratto di vendita di una tenuta ormai ridotta in ruderi con il Conte Orlok. Il viaggio per la Transilvania riserva qualche brutta sorpresa ma Hutter riesce ad arrivare al castello del Conte e viene ospitato per qualche giorno in attesa di ufficializzare la cessione. È lì che Hutter si accorge che le storie, i miti, le leggende che aveva letto e sentito prendono vita e capisce che il Conte Orlok è in realtà il vampiro temibile di cui tutti parlavano.
Murnau negli anni ‘20 metteva in scena il racconto così com’era, tra indizi lasciati lungo la trama e la moglie ignorata che sentiva qualcosa di incombente. Qui Robert Eggers insiste: il suo Nosferatu si concretizza nella mente oscura di Ellen Hutter (Lily-Rose Depp), fatta di incubi, possessioni carnali e visioni auto-distruttive tali da interpellare un professore esperto nell’arte della magia nera ‒ Willem Dafoe non delude mai. La sua immaginazione, il suo tormento onirico più terribile plasmano il Conte Orlok (Bill Skarsgård), che per tutta la vita ha preso con la forza psicologica la giovane Ellen senza che nessuno le credesse.
Se tutto si origina dentro la mente di una donna, allora come deve essere visto il Nosferatu di Robert Eggers? La risposta è dietro l’angolo: in chiave moderna femminista. Già, perché Nosferatu di Eggers non è altro che il racconto gotico e sofferente di Ellen Hutter che tenta di esprimere il suo tormento ossessivo verso il terribile vampiro invaghito di lei senza chiedere aiuto. È solo attraverso la solitudine straziata della moglie Hutter che il film di Eggers acquista un significato, una psicoanalisi che gira su sé stessa con tanto di belle performance attoriali – una vera prova di afflizione quella di Lily-Rose Depp e una sorpresa Bill Skarsgård con un lavoro di make-up e voce ben curati ‒ e qualche dettaglio che si aggiunge e a volte si toglie rispetto alla prima versione.
Il film non ha rilevanza se lo si guarda dal punto di vista del Conte Orlok. Di sicuro si rimane delusi: avrete visto solo la storia e un sub plot posizionato lì per aggiungere un tono più drammatico, scene horror che tengono con il fiato sospeso il tempo che serve per passare alla scena successiva e niente di più.
La tortura psicotica per essere vissuta appieno nel film esige il punto di vista femminile. Se si entra in punta di piedi nella soggettiva di Ellen Hutter, allora il nuovo Nosferatu merita tanto.
VOTO: 8/10
Martina Corvaia
Immagine: Universal Pictures International Italy