Pensando ad Anna ripercorre la storia delle rivolte carcerarie degli anni settanta attraverso l’esperienza di Pasquale Abatangelo, uno dei tredici detenuti politici di cui le Brigate Rosse chiesero la scarcerazione in cambio del rilascio di Aldo Moro.
C’è un docufilm che da mesi sta girando l’Italia, portando sul grande schermo gli anni della lotta armata da un punto di vista poco battuto, quello dell’etnografia performativa. Pensando ad Anna ha come protagonista Pasquale Abatangelo, immerso in un’esperienza meta-teatrale che ricrea il suo vissuto nel modo più fedele possibile, esaltando la componente sociale e umana. Non a caso il filo rosso del docufilm, ispirato al libro di Abatangelo Correvo pensando ad Anna. Una storia degli anni settanta (PGreco, 2018), è la storia d’amore con quella che è stata la sua compagna di vita, scomparsa nel 2018.
La pellicola diretta da Tomaso Aramini è sbarcata a Napoli per una seconda data: dopo il successo al Cineclub Materdei, Pensando ad Anna è stato proiettato giovedì scorso al Cinema Posillipo.
La sinossi del docufilm
Pasquale Abatangelo, un ex “delinquente politicizzato”, nella primavera del 1974 contribuì alla fondazione dei Nuclei Armati Proletari (NAP), organizzazione marxista-leninista che decise di unirsi alla lotta armata contro lo Stato. I NAP si distinguevano dalle altre forze di estrema sinistra per la loro attenzione ai diritti dei detenuti. Pensando ad Anna ripercorre tale lotta, condotta all’interno e all’esterno delle carceri.
La narrazione si svolge su tre piani: la performance drammatica (dove Abatangelo viene interpretato da Luca Iervolino), il materiale d’archivio e l’intervista a diversi nappisti, tra cui lo stesso Abatangelo, realizzata da Tomaso Aramini e dal giornalista Fulvio Bufi, durante la quale ci si interroga se sia necessaria o meno la violenza politica per il cambiamento della società.
Pensando ad Anna (e all’intensità di quegli anni)
In effetti, nel ricostruire i delicati anni settanta, il docufilm si concentra sui cambiamenti avvenuti all’interno delle carceri a tutela dei detenuti. Alle rivendicazioni, anche violente, di un’ampia massa fatta di studenti, lavoratori, “delinquenti politicizzati”, ha fatto seguito lo scardinamento dei vecchi codici fascisti che governavano gli istituti penitenziari. La cornice dell’ex ospedale giudiziario di Napoli si presta perfettamente alle riprese del docufilm, restituendo allo spettatore, almeno in parte, la durezza delle condizioni detentive di quegli anni – levigate poi da riforme successive.
Pensando ad Anna va oltre e concentra l’attenzione del pubblico sul prezzo di quelle lotte, dalle vite spezzate alle esistenze stravolte: correre dietro un ideale è un processo non scevro di dolore. Lo sa bene lo stesso Abatangelo, che non si è mai pentito né dissociato, mantenendo fede alla linea della “durezza verso i nemici e dell’affetto per i propri cari”. Il ricordo di Anna, personaggio interpretato da Tiziana De Giacomo, è il suo massimo momento di fragilità.
Un vortice sullo schermo
Il ricorso all’etnografia performativa e i brevi piani-sequenza a ottica grandangolare hanno immerso lo spettatore nell’esperimento artistico – riconducibile a un vortice denso e dinamico non sempre semplice da seguire. Come spiegato dal regista, “queste scelte hanno portato a un documentario in cui il reale è il processo stesso del suo costruirsi, ovverosia l’auto-posizionarsi della coscienza di Pasquale, tra durezze e commozione, e di riflesso il posizionarsi della coscienza dello spettatore, in questo stadio di vigilanza continua nei confronti dello “spettacolo” stesso, per maturare, spero, una riflessione radicale sul ruolo dei delinquenti politicizzati all’interno delle lotte sociali negli anni settanta, e in modo più circoscritto sul sistema giudiziario italiano, sul tema della punizione e sulla qualità della nostra democrazia”.
Particolarmente interessante nell’esperimento cinematografico è il contraltare continuo dato dai confronti tra Pasquale Abatangelo, Tomaso Aramini e Fulvio Bufi, che si trovano a discutere su una parentesi della storia recente italiana spesso rimossa.
Fonte immagine: Ufficio stampa Alessandro Savoia