Peplum, le origini e la fine di un genere cinematografico italiano

Peplum, le origini e la fine di un genere cinematografico italiano

Peplum, la nascita e la fine del genere che appassionò gli spettatori italiani tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta

Il termine peplum è usato per indicare un genere del cinema italiano del Novecento che mescola elementi storici, mitologici e biblici e  rappresenta  l’alternativa nostrana dei kolossal spada e sandalo di Hollywood; inoltre, prende il nome dalla traduzione latina del greco πέπλος (péplos), ovvero l’abito femminile della Grecia antica.

Il cinema peplum, la risposta europea alle pellicole hollywoodiane 

Gli studiosi  Maria Pia Comand e Roy Menarini, nel loro volume Il cinema europeo, affermarono che l’industria cinematografica del Vecchio Continente (principalmente quella italiana, francese, tedesca e britannica, nonché portoghese, spagnola e jugoslava) affrontò il crescente e concorrenziale interesse degli spettatori verso i film hollywoodiani. I produttori e i registi  decisero di affrontare i rivali seguendo due strategie diverse: proporre prodotti nuovi per il pubblico (gli horror della Hammer, tra cui i film del Dracula interpretato da Christopher Lee, o le commedie della Ealing Studios in Inghilterra) oppure riprendere i generi statunitensi  rileggendoli in chiave europea (i film western prodotti in Italia o in Spagna).

Nel caso dei generi di imitazione, essi «tendono a modificare il genere di riferimento americano attraverso nuove configurazioni narrative e originali spostamenti interni. In molti casi, questi film fingono di essere prodotti in America allo scopo di convivere il pubblico a frequentare le sale».

Il primo kolossal della storia del cinema è stato realizzato in Italia? 

Le origini del cinema peplum del Belpaese, come riferito dai due studiosi di cinema, risalgono alla realizzazione delle pellicole Gli ultimi giorni di Pompei (1913) di Eleuterio Rodolfi e Quo Vadis? (1913) di Enrico Guazzoni. Nel 1914 arrivò nelle sale cinematografiche Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato dal poeta e romanziere Gabriele D’Annunzio; con Lidia Quaranta nei panni di Cabiria e Bartolomeo Pagano in quelli del forzuto Maciste. Il film è ambientato durante la Seconda Guerra punica, il conflitto che contrappose Roma contro la Cartagine di Annibale. Cabiria fu un vero e proprio successo di pubblico e di critica, il primo kolossal della storia del cinema e il personaggio di Maciste divenne protagonista di diverse altre pellicole.
Il genere peplum come lo intendiamo oggigiorno nacque dopo la realizzazione del kolossal della Metro-Goldwyn Mayer Quo Vadis (1951) di Mervyn LeRoy. Il film, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore polacco decadentista-simbolista Henryk Sienkiewicz, venne girato negli studios di Cinecittà, ciò richiese il contributo di diversi specialisti nel settore tecnico, fonico e scenografico. Il successo al box-office di Quo Vadis spinse i produttori statunitensi a tornare a girare altri film nel Belpaese, come nel caso del cult Ben-Hur di William Wyler (1956).

Lo studioso Stefano Della Casa, in una nota del Dizionario di cinema della Treccani, ritiene che la rinascita di Cinecittà abbia contribuito a rafforzare la fantasia di registi, sceneggiatori e produttori italiani, i quali, però, preferirono prendere le distanze dai modelli hollywoodiani:

«Le componenti furono una forte dose di ironia, una buona capacità di giocare con trucchi ed effetti speciali per centuplicare i mezzi a disposizione, la presenza di uno o più culturisti provenienti dalle palestre e dotati di muscolature espanse all’inverosimile, storie fantastiche piene di ritmo e di colpi di scena. Si creò in questo modo una vera e propria nuova estetica del cinema mitologico; un’estetica costruita sul concetto di iperbole in senso letterale (le avventure erano mirabolanti ed eccessive fin dalla scelta dei titoli), ma anche in termini produttivi (i muscoli dei protagonisti erano gonfiati, le pettinature delle attrici cotonate, le scenografie utilizzavano per la prima volta il polistirolo espanso, la fotografia impiegava ogni trucco per far sembrare più fastose le scenografie e più numerose le comparse).»

Ulisse di Camerini e Le fatiche di Ercole di  Francisci, il successo del genere peplum

Della Casa cita come esempio Ulisse (1954) di Mario Camerini con Kirk Duglas, famoso per il suo ruolo di Spartaco nel film Spartacus (1960) di Stanley Kubrick e di Ned Land in Ventimila Leghe sotto i Mari (20,000 Leagues Under the Sea, 1954) di Richard Fleischer, nei panni dell’eroe omerico e Anthony Quinn nei panni del capo dei Proci.

In realtà, il peplum più famoso in Italia e all’estero fu Le fatiche di Ercole, diretto da Pietro Francisci e sceneggiato da Ennio De Concini. Della Casa spiega che il suo successo era dovuto alla presenza di Mario Bava e Flavio Mogherini come addetti alle scenografie e agli effetti speciali, nonché per la presenza di Steve Reeves nei panni dell’eroe mitologico; infatti, l’attore praticava il culturismo e tale disciplina era «il simbolo di una società che cambiava, di una maggiore ricchezza che consentiva diete basate su zuccheri e bistecche». Una vicenda avventurosa ispirata alle Argonautiche di Apollonio Rodio, un divo capace di colpire le masse e degli effetti speciali spettacolari contribuirono al successo di questo film peplum, il quale arrivò in edizione doppiata negli USA. Successivamente, i produttori decisero di finanziare un seguito, Ercole e la regina di Lidia (1959), con il ritorno del duo Francisci-Reeves. Il genere peplum conobbe un notevole successo all’inizio degli anni Sessanta, grazie all’arrivo di attori statunitensi come Mark Forest, Gordon Scott, Gordon Mitchell, Dan Vadis, oppure alla presenza degli italiani Adriano Bellini e Sergio Ciani.

Al semidio figlio di Zeus e Alcmena si aggiunsero anche Maciste (personaggio immaginario nato dalla fantasia dannunziana), Sansone (il forzuto della Bibbia innamoratosi di Dalia) e Ursus (lo schiavo muscoloso proveniente dal libro Quo Vadis?). Inoltre, abbiamo il caso di altre pellicole: Il colosso di Rodi (1961) di Sergio Leone, Il gladiatore di Roma (1962) di Mario Costa, Io, Semiramide (1963) di Primo Zeglio e il kolossal italo-statunitense La Bibbia (1966) di John Hudson prodotto da Dino De Laurentiis. Tutto ciò contribuì alla nascita di pellicole con un budget sempre più ridotto, scene riciclate e tempi di produzione veloci. Zorro contro Maciste (1963) di Umberto Lenzi narra lo scontro tra lo spadaccino creato da Johnston McCulley contro il noto forzuto, il tutto nel Regno di Spagna di metà XVII secolo.

Lo schema narrativo rigido decretò la fine del genere peplum

Lo schema rigido  e i topoi prestabiliti contribuirono alla nascita di diverse parodie: Maciste contro Ercole nella valle dei guai (1961) di Mario Mattoli, che narra dello scontro tra Eracle e Maciste, al quale prende parte il duo comico palermitano Franco & Ciccio,  e Totò contro Maciste (1962) di Fernando Cerchio, dove il comico partenopeo affronta il noto forzuto.

Questi ultimi anni indicarono la fine del peplum e l’interesse del pubblico verso gli spaghetti-western come Per un pugno di dollari (1964) di  Leone. Un tentativo di rivitalizzare il genere peplum fu Hercules (1983) di Luigi Cozzi, dove il body-builder Lou Ferrigno (l’interprete di Hulk nella famosa serie televisiva) veste i panni dell’eroe greco. Nonostante le pessime recensioni, il film ottenne un discreto successo e la realizzazione di un seguito, uscito solo due anni dopo, ottenne il semaforo verde.

Fonte immagine: Wikipedia Commons 

A proposito di Salvatore Iaconis

Laureato in Filologia moderna presso l'Università Federico II di Napoli il 23 febbraio 2024 e iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 25 gennaio 2021. Sono cresciuto con i programmi educativi di Piero e Alberto Angela, i quali mi hanno trasmesso l'amore per il sapere, e tra le mie passioni ci sono la letteratura, la storia, il cinema, la filosofia e il teatro assieme alle altre espressioni artistiche.

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