Perché dobbiamo vedere “Sulla mia pelle”, il film sul caso di Stefano Cucchi

Sulla mia pelle

Sulla mia pelle, il film dedicato agli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, ha fatto parlare di sè da quand’era ancora in produzione. Ora, che viene visto in proiezioni organizzate grazie a cineforum, centri sociali, centri polivalenti ed è presente sulla piattaforma Netflix, questo gran parlare non gli fa che bene.

Oltretutto, la pellicola è stata selezionata come apertura della sezione “Orizzonti” durante l’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia.

Devastante e allo stesso tempo sublime: questi sono i due commenti che più spesso, in rete, gli vengono associati.

Ma andiamo con ordine, ricordando innanzitutto “perché” il regista Alessio Cremonini ha deciso di dirigere film sulla vita di un ragazzo che ora non c’è più, e perché Alessandro Borghi – che interpreta il protagonista – è così calato nel personaggio?

Sulla mia pelle, una storia sbagliata?

Una storia sbagliata, direbbe qualcuno. Stefano Cucchi, giovane geometra romano, viene messo in custodia cautelare dopo essere stato sorpreso nello “scambio” e detenzione di una certa quantità di droga. Dopo una settimana nel carcere di Regina Coeli, si sa della morte di Stefano: sul suo corpo, chiari i segni delle percosse oltre che una malnutrizione in stato avanzato.

Per tutte le informazioni aggiuntive, rimandiamo all’ottima pagina di Wikipedia dedicata all’argomento.

Nella morte di Cucchi, coinvolti tutti: coinvolti gli agenti di polizia, coinvolti i medici, coinvolto lo Stato.
Coinvolti noi, soprattutto, e questo film ce lo ricorda. Ilaria Cucchi – la sorella di Stefano, da sempre impegnata affinché la verità venga a galla – ce lo ricorda da sempre.

Sulla mia pelle non è un film violento in senso stretto. È un film cupo, dove la violenza ha l’odore sia della vittima che del carnefice. I carnefici, che attuano su di lui i pestaggi, hanno l’odore della violenza legale; lo stesso Stefano, che in una forma di autolesionismo molto diffusa, tende prima a proteggere i suoi aguzzini, rifiuta di collaborare. È violenza anche il senso di colpa genitoriale. Ma, più di tutti, colpisce la violenza della burocrazia cieca.

Colpiscono i genitori di Stefano, che inermi ogni volta devono tornare indietro; colpisce la sorella di Stefano, il suo strazio. Colpisce Stefano – un Alessandro Borghi di una potenza espressiva eccezionale, che verrà ricordato a lungo.

C’è chi invoca la censura, l’oblio: non è forse anche questo un tentativo di violenza?

Probabilmente l’obiettivo del film è appunto ricordarci che la violenza esiste sotto molte forme. E che il crimine, spesso, è alla luce del sole.

A proposito di Nunzia Clemente

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