Sceneggiatura. I quaderni Fandango, l’autore Nicola Ravera parla del ruolo di sceneggiatore in occasione del Galà del Cinema
“Sceneggiatura. I quaderni Fandango” è il volume realizzato dallo scrittore e sceneggiatore Nicola Ravera assieme a Marcello Olivieri, presentato al pubblico durante l’incontro per il Galà del Cinema e della Fiction che si era svolto lunedì 23 novembre nella sede dell’Ordine dei Giornalisti della Campania a Napoli.
L’autore aveva spiegato alla stampa locale la sua idea di voler scrivere “un manuale di sceneggiatura ma anche un volume consultabile anche da semplici appassionati della settima arte”.
Quali elementi accomunano un romanzo ad una serie tv? La risposta di Ravera
Il primo argomento trattato riguardava il rapporto tra le serie tv e i romanzi, poiché ambedue i media condividono una stessa struttura narrativa:
“Sicuramente la serialità negli anni ha dato una giusta dimensione nuova, soprattutto sulla capacità di scrivere in modo sofisticato, di gestire strutture complesse. Il punto di partenza è che spesso si è paragonato il film al romanzo. In realtà, oggi abbiamo preso dimestichezza con le strutture seriali, noi ci accorgiamo sempre di più che un film è simile ad un racconto, in qualche modo ha la stessa natura. [..] un racconto inizia con un cambiamento di stato del protagonista che fa un giro di valzer e si chiude quando il protagonista è cambiato in meglio o in peggio. Questa somiglia molto alla struttura di un film. La struttura di un romanzo, […], la troviamo nella serialità dove possiamo permetterci di allargare, stratificare e seguire percorsi anche di personaggi secondari. Quindi esserci abituati come da creatori che da spettatori di tutto questo, basta pensare a capolavori come Mad Men o Breaking Bad, che hanno una profondità non solo strutturale ma anche una profondità di visione del personaggio, una capacità di non chiudere il discorso sul personaggio o sul cambio di stato ma tenerlo a che fare a contatto con il suo tarlo per decine di ore, quando si parla di serie che hanno sei o sette stagioni.”
Essere uno sceneggiatore seriale in Italia e negli USA
In seguito, Ravera aveva confrontato il mondo degli sceneggiatori statunitensi con i colleghi del Bel Paese in merito a conciliare l’arte con le esigenze di mercato:
” […] questo è un percorso interessante, […] è un percorso che è anche un percorso industriale […] gli sceneggiatori sono degli autori ma sono degli autori che lavorano al servizio di un processo industriale, è questo in America è chiarissimo tanto che gli sceneggiatori seriali sono anche showrunner delle serie che scrivono; quindi devono avere a che fare con il budget, scelgono gli attori, mettono bocca sulle location. E noi sceneggiatori italiani abbiamo sempre il rimpianto “Ah, vorrei essere uno showrunner anche io!” Secondo me perché siamo molto attratti dal fatto che si diventa produttori esecutivi, quindi sembra che si guadagni tanti soldi. […] il problema è che essere showrunner significa essere al centro di una logica industriale che deve far convivere con quella autoriale, deve diventare una specie di mostro bicefalo che da una parte si occupa di arte e poesia e dall’altra si confronta con il mercato senza fare lo schizzinoso, come certe volte un po’ i nostri autori tendono a fare per tradizione ma io penso che in questo stia cambiando molto anche la logica del mercato in Italia.”
Il tema dell’adattamento cinematografico, come un romanzo può diventare un film con una propria anima
Successivamente l’interesse del dibattito tra Ravera e gli altri membri del Galà del Cinema si sposta sulla tematica dell’adattamento cinematografico e seriale, confrontando l’opera originale (romanzo, libro, novella e racconto) con il film derivato.
Ravera aveva raccontato alla stampa presente il caso di Lolita di Stanley Kubrick, tratto dal romanzo di Vladmir Nabokov (il quale collaborò alla sceneggiatura), dove il “regista uccise uno degli inizi più belli della letteratura del Novecento sostituendolo con una partita a scacchi”, quindi il poetico inizio di Nabokov lasciò il posto all’evento che permise alla pellicola di iniziare:
“[…] ci sono, ad esempio, libri che pur rimanendo in costume in un adattamento moderno riescono a parlare di noi oggi anche senza fare l’operazione alla “Romeo+Juliet” di Baz Luhrmann, anche senza spostarli in jeans […] sono ricorrenti dei momenti storici, diciamo un sentire storico, però certo non è facile anche scegliere oggi anche rispetto alla letteratura classica cosa raccontare. [….]”
Nicola Ravera aveva commentato le futili polemiche sulla seria animata di Zerocalcare su Netflix
Infine, l’autore del volume Sceneggiatura aveva espresso la propria opinione rispetto alle polemiche inutili sulla serie animata Strappare lungo i bordi del fumettista Zerocalcare a causa dell’uso del Dialetto romanesco:
“[…] fa ridere, commuove, è divertente; poiché non sappiamo stare senza polemiche, qualcuno si è inventato il problema che parla in dialetto romano come se fosse una novità. Secondo me, si c’è un po’ di “romano-centrismo” però per altri versi, io da romano al trentesimo film ambientato a Napoli che vedo consecutivamente penso “Ma parlano sempre Napoletano !”, va beh, stanno a Napoli, che devono fare?”
Foto di Salvatore Iaconis.