Takahata Isao, l’altro volto dello Studio Ghibli

Takahata Isao

Lo Studio Ghibli è stato capace, nel corso di un’attività quasi quarantennale, di conquistare prima il pubblico giapponese e poi, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, anche quello occidentale, grazie al successo di film come “La principessa Mononoke”, “La città incantata” e “Il castello errante di Howl”, tutti portanti la firma dell’ormai leggendario Miyazaki Hayao, vincitore di due Academy Award nel 2003 e nel 2015 (quest’ultimo alla carriera) e riconosciuto come maestro assoluto dell’animazione. Miyazaki è senza dubbio il regista giapponese più amato, sia in patria che all’estero, grazie alla sua capacità di creare mondi fantastici e storie avvincenti, capaci di combinare elementi della tradizione giapponese a topoi e temi più familiari al pubblico occidentale. Quando si parla di Studio Ghibli, però, è fondamentale tenere a mente un altro nome, tra i più importanti della storia del cinema: quello di Takahata Isao.

Takahata Isao ha lavorato nel campo dell’animazione per quasi sessant’anni, ha diretto otto lungometraggi (di cui cinque per lo Studio Ghibli), tre serie televisive e un documentario, contribuendo massicciamente al successo dell’animazione giapponese dagli anni Sessanta in poi. Inizialmente Takahata non ha interessi cinematografici; all’università studia letteratura francese ed è un grande ammiratore di Jacques Prévert, poeta francese che nel 1953 collabora con il regista Paul Grimault al lungometraggio “La Bergére et le Ramonuer”, che esce in Giappone due anni dopo ed è per Takahata un’epifania. Nel 1959 vince un concorso come allievo regista alla Toei Doga (odierna Toei Animation), dove partecipa anche alla produzione della serie animata “Ookami shounen Ken”, il primo grande progetto della Toei, in risposta ad “Astro Boy” della Mushi Production di Tezuka Osamu, il dio dei mangaka.

Il 1968 è un anno fondamentale per Takahata: dirige il suo primo lungometraggio “Taiyo no oji – Horusu no daiboken” (“La grande avventura del piccolo principe Valiant” nell’edizione italiana), a cui partecipa anche Miyazaki in qualità di animatore, segnando l’inizio di un sodalizio artistico che durerà per i successivi cinquant’anni. Il film è considerato unanimemente tra i migliori lungometraggi d’animazione di tutti i tempi, poiché propone un tipo d’animazione più matura rispetto alla produzione di quel periodo, molto influenzata dai classici Disney, mentre i riferimenti di Takahata sono il già citato Prévert e l’animazione russa; proprio per questo discostamento dai canoni tipici dell’animazione giapponese coeva, il film è un insuccesso commercialmente, e Takahata abbandona, insieme a Miyazaki, la Toei Doga poco dopo, entrando a far parte della A Production. Qui dirige la sua prima serie televisiva nell’ambito di un progetto chiamato “World Masterpiece Theater”, che si occupa di adattare per il piccolo schermo classici della letteratura europea per ragazzi. Nascono così serie entrate a far parte dell’immaginario collettivo come “Heidi”, “Anna dai capelli rossi” e “Marco” (tratto da un episodio di “Cuore” di De Amicis), tutte dirette da Takahata e animate da Miyazaki. In quegli anni Takahata firma la regia di altri due lungometraggi, “Jarinko Chie” e “Goshu il violoncellista”, quest’ultimo tratto da un racconto di Miyazawa Kenji, dove il rapporto tra il giovane protagonista e la natura che lo circonda è fondamentale per la sua crescita personale, tema che verrà riproposto spesso nei film successivi del regista.

Il sodalizio con Miyazaki si intensifica nel 1984, quando Takahata produce “Nausicaa della valle del vento”, film di Miyazaki che convince i due a fondare, l’anno successivo, lo Studio Ghibli. È in questi anni che Takahata Isao dirige alcuni dei suoi capolavori, a partire dal primo lungometraggio per lo studio, ovvero “Hotaru no haka” (“Una tomba per le lucciole), un film quasi neorealista ambientato durante le battute finali della Seconda Guerra Mondiale, che segue gli ultimi giorni di vita di due fratelli, Seita e Setsuko; i film di Takahata si distinguono dagli altri dello studio per una maggiore adesione al reale e una maggiore attenzione ai dettagli della vita quotidiana: film come “Omohide poro poro” (“Pioggia di ricordi”) e “Hohokekyo tonari no Yamada-kun” (“I miei vicini Yamada”) indagano la quotidianità dell’esistenza con tutte le sue contraddizioni, dando cittadinanza artistica alla semplicità della vita. Altri film, come “Heisei tanuki gassen Ponpoko” (“Pom Poko”) e “Kaguya-hime no monogatari” (“La storia della principessa splendente”), pur aderendo maggiormente al genere del fantastico rispetto ai succitati, risultano meno appetibili per il pubblico per la loro complessità narrativa e stilistica, che si traducono in “Pom Poko” in una critica sofisticata all’urbanizzazione scatenata del Giappone iniziata alla fine degli anni Sessanta, mentre ne “La principessa splendente”, disegnato come se fosse uno ukiyo-e e tratto dal “Taketori monogatari”, il monogatari più antico pervenutoci, Takahata usa una storia tradizionale e familiare ai giapponesi per trattare i temi a lui più cari, come il rapporto con la natura e la complessità delle relazioni e dei sentimenti umani.

Takahata Isao ha saputo proporre, negli anni, un cinema d’animazione diverso dalla concezione di “film per famiglie” che in molti hanno, affrontando tematiche complesse sin dagli esordi e non scendendo mai a compromessi, mostrando sempre un profondo rispetto per la sua arte, dedicando anni ed energie ad ogni progetto (“La storia della principessa splendente” richiese quasi dieci anni di lavoro). I suoi film potranno essere meno attraenti rispetto a quelli di molti suoi colleghi, ma hanno la capacità di parlare a tutti noi e di rappresentare in maniera precisa la realtà, trasfigurandola tramite il filtro dell’animazione. Sarebbe però sbagliato considerare Takahata semplicemente un regista “realista”; è stato un visionario capace di regalarci scene meravigliose come la parata degli spiriti in “Pom Poko”, la scena della fuga di Kaguya ne “La storia della principessa splendente” e soprattutto il volo delle lucciole in “Una tomba per le lucciole”. Infine, ha saputo toccare il cuore degli spettatori con scene commoventi e struggenti, senza mai però cercare la “lacrima facile” o usare retorica spicciola.

È stato un regista di statura e spessore enorme, autore di grandi capolavori e fonte di ispirazione per più di una generazione di registi. La sua eredità artistica è immensa e i suoi film non smetteranno mai di essere amati.

Immagine in evidenza: Flickr

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