What Happened, Miss Simone? | Recensione

What Happened, Miss Simone? | Recensione

What Happened, Miss Simone? è un documentario Netflix del 2015 che racconta la vita della nota cantante afroamericana Nina Simone diventata, soprattutto durante gli anni ’60, una grande attivista nella lotta per i diritti civili. Nel 2016 il film è stato candidato come miglior documentario ai Premi Oscar.

I pregiudizi razziali

Definita la Sacerdotessa del Soul, la Nina Simone che vediamo nel corso di questo documentario, tramite la chiave di lettura schietta e realistica del regista Liz Garbus, è una donna sicuramente segnata dai pregiudizi della società e dalla malattia che ha finito per condizionarle la vita. Tuttavia l’attivismo politico è al centro sia della sua biografia che di questo documentario, dal momento in cui esso ha svolto un ruolo principale tanto nella sua vita quanto nella sua formidabile carriera artistica. What Happened, Miss Simone? si concentra sin dall’inizio sui pregiudizi razziali verso i quali Nina Simone è dovuta andare incontro crescendo. Tra i ricordi più significativi della sua gioventù, infatti, c’è un episodio che ogni pomeriggio si ripeteva quando Nina percorreva 5 km a piedi per raggiungere la sua insegnante di pianoforte che viveva dall’altra parte della città: doveva attraversare i binari che separavano letteralmente la comunità nera dai bianchi. Altro episodio che la segna profondamente avviene quando nel 1943, durante una sua esibizione in teatro, venne chiesto ai suoi genitori di sedersi in fondo alla sala: Nina decise di rifiutarsi di suonare a meno che non avrebbero fatto sedere i suoi genitori in prima fila.

L’orgoglio afroamericano

Ad ogni modo la carriera della talentuosa Nina Simone decolla, a prescindere dal colore della sua pelle, come cantante e musicista soul. La potenza della sua voce incredibile le permette di trasmettere una serie di messaggi di protesta decisamente non indifferenti. Un chiaro esempio è la sua celebre canzone Mississippi Goddam, frutto della rabbia e dell’indignazione provata dalla Simone nel sapere che in una chiesa battista di Birmingham, in Alabama, si era verificato un attentato terroristico a stampo razzista uccidendo quattro bambine nere durante la lezione domenicale di catechismo. Questo episodio probabilmente è da considerare come il vero punto di svolta del suo intenso percorso di attivismo. A partire dal 1966, dopo anni di rifiuto della propria immagine e dunque della propria identità, Nina Simone si presenta orgogliosamente al pubblico con i capelli afro. Durante gli anni della lotta per i diritti civili la cantante inizia anche ad utilizzare il suo aspetto esteriore, oltre che la sua inconfondibile voce, per rappresentare l’identità e l’orgoglio afroamericano della sua comunità.  Raggiungerà, poi, il vero apice del suo femminismo afro nel 1969 scrivendo il brano To be Young, gifted and black, scritto in memoria dell’amica e attivista Lorain Hansberry.

Trasformare la rabbia in musica

Tuttavia questo appassionato attivismo politico e il conseguente schieramento da una parte anziché dall’altra hanno determinato notevoli conseguenze per la sua carriera artistica e questo emerge in modo molto evidente in What Happened, Miss Simone? L’obiettivo del documentario, infatti, è anche mostrare una Nina Simone inedita nelle sue difficoltà e fragilità di donna. Più diventa deciso e sfacciato il suo attivismo e più le radio decidono di fare qualche passo indietro nei suoi confronti, non passando le sue canzoni di protesta ad esempio. La donna si ritrova stremata e la perdita di alcuni amici e mentori come Marthin Luther King l’ha inevitabilmente scossa. Ma ciò che deve averla segnata più di tutto è stata vedersi sola nel portare avanti le sue battaglie, sentendosi vittima di una sorta di sopraffazione da parte dell’ex marito. Andrew Stroud, che all’epoca era anche il suo manager, che era fermamente convinto del fatto che per Nina Simone tutto questo attivismo politico fosse un grande ostacolo per la sua carriera. Ma Nina, anche se molto indebolita, impara con il tempo a non lasciarsi sopraffare neanche da chi le sta intorno, decidendo di lasciare il marito e iniziando a viaggiare tra l’Africa e l’Europa. In seguito le verrà diagnosticato un disturbo bipolare e ciò le farà capire meglio la sofferenza di quella che è sempre stata la sua immensa fragilità. Il documentario riesce sapientemente a restituire allo spettatore una Nina Simone che ha vissuto tutta la sua vita con un’indole irrequieta e profondamente appassionata, ma ci regala soprattutto una donna che, grazie al suo indimenticabile talento, è riuscita a trasformare la propria rabbia in musica in modo impeccabile.

Fonte immagine:  Netflix

A proposito di Carmen Landi

Vedi tutti gli articoli di Carmen Landi

Commenta