In questo articolo approfondiremo alcuni aspetti legati all’accentazione linguistica, riguardanti in particolare il meno conosciuto accento circonflesso.
L’accento intensivo, detto anche dinamico o espiratorio, e l’accento melodico, detto anche musicale o cromatico, producono un succedersi periodico di fonemi articolati più energicamente o su un tono più alto dei fonemi contigui: le sillabe si collegano, infatti, nella parola e nella frase, in modo da formare unità ritmiche, cioè complessi fonici scalati secondo l’intensità o l’altezza musicale. Quando si indica l’accento intensivo come caratteristico, per esempio, dell’italiano, in realtà si afferma che in questa lingua il parlante sente l’intensità piuttosto che la melodia; e quando si attribuisce, per esempio, al greco antico un sistema di accentazione melodico, si viene a dire che in quella lingua il parlante sentiva la melodia a preferenza dell’intensità. Inoltre, spesso, all’intensità dell’accento è legata la quantità della vocale accentata: ad esempio in latino si hanno pālus “palo” e pălūs “palude”, sērō “tardi” e sĕro “io intreccio”. Si denomina accento acuto il grafema ˊ, accento grave il grafema ˋ e accento circonflesso, il grafema ^; il loro valore non è unico, variando secondo i sistemi grafici nazionali e, nell’ambito di molti di questi, secondo le abitudini individuali.
L’accento circonflesso nel greco antico, nel francese e in matematica
Premesso ciò, occupiamoci ora del valore e delle caratteristiche dell’accento circonflesso. Innanzitutto, nel periodo classico (V-IV secolo a.C.) gli accenti di parole non erano indicati per iscritto, ma dal II secolo a.C. in poi furono ideati alcuni segni diacritici; i tre segni adoperati per indicare l’accento nel greco antico, l’acuto (ά), il circonflesso (ᾶ), e il grave (ὰ) sono stati introdotti da Aristofane di Bisanzio, filologo e grammatico a capo della biblioteca di Alessandria in Egitto all’inizio del II secolo a.C., epoca in cui si registrano i primi papiri con segni di accentazione. Tra il II e il IV secolo d.C. la distinzione tra acuto, grave e circonflesso scomparve e tutti e tre gli accenti vennero pronunciati come accento identico, generalmente ascoltati sulla stessa sillaba. Nell’ortografia politonica del greco, il grafema ~ può comparire soltanto su un dittongo o una vocale lunga poiché è un accento composto – formato da una mora accentata e una atona (cioè da un innalzamento della voce sulla prima mora e un abbassamento sulla seconda), dunque indicante una combinazione tra accento acuto e grave, ossia un iniziale innalzamento di tono, che termina con un abbassamento, oppure prodotto dalla contrazione di due vocali – e soltanto sull’ultima o penultima sillaba di un vocabolo.
Una serie di norme regolamenta il suo uso:
– per la legge del trocheo finale, se in una parola greca l’ultima sillaba è breve e la penultima lunga (cioè termina con un trocheo, — ∪), e l’accento cade sulla penultima, questo sarà obbligatoriamente circonflesso;
– quando due vocali contraggono, se l’accento cade sul primo elemento della contrazione l’accento sarà circonflesso;
– il risultato della crasi – ovvero la contrazione di una vocale aspra finale con la vocale aspra iniziale della parola seguente – è sempre una vocale lunga o un dittongo; il suo segno è la coronide, ma se la parola che risulta dalla crasi termina con un trocheo (∪ —) e l’accento deve cadere sulla penultima sillaba, di solito prevale la legge del trocheo finale e l’accento è circonflesso.
In francese il circonflesso si trova in caso di perdita di una successiva 〈s〉 preconsonantica etimologica, che nel cadere ha provocato il lieve allungamento della vocale precedente; può comparire su tutte le vocali, tuttavia oggi esso è impercettibile e pressoché scomparso nella pronuncia: ess. fenêtre, château.
Infine, il circonflesso è impiegato in matematica per indicare i versori – un vettore di modulo unitario individuante una particolare direzione e verso, i cui più noti sono î e ĵ, versori rispettivamente degli assi delle ascisse e delle ordinate – e gli angoli.
Il circonflesso in italiano: usi e disusi
Anche l’italiano ha avuto i suoi circonflessi, posti su qualsiasi vocale (â, ê, î, ô, û) e contrassegnanti le forme contratte, tipiche del linguaggio poetico, dovute alla sincope (od apocope) di una sillaba per motivi metrici: finîro (finirono); tuttavia abbiamo perso tali grafemi, fidandoci che il contesto ci dica quello che l’ortografia ci tace. Nell’italiano di tutti i giorni, salvi i casi di distinzione di parole omografe, il circonflesso è utilizzato sempre più raramente, mentre viene ancora utilizzato in ambiti letterari o specialistici maggiormente conservativi. Oggigiorno il circonflesso può individuare esclusivamente la contrazione delle due -ii (purché nessuna delle due sia tonica -ìi) tipiche del plurale delle parole terminanti in -io (es. monopolî) o di alcune forme verbali in -iare alla 2ª persona dell’indicativo presente, benché quest’ultimo sia un uso del tutto eccezionale ed arcaizzante: es. tu odî.
Ad ogni modo, l’applicazione del circonflesso non è vincolata a regole ben precise, ma risente generalmente dell’etimologia latina e della tradizione letteraria.