Di storie di uomini e donne sopravvissuti a eventi singolari ne è pieno il mondo ma nessuna di esse è paragonabile alla vicenda dell’alpinista statunitense Aaron Lee Ralston, rimasto bloccato in una gola del Bluejohn Canyon per 127 ore. La sua tenacia e voglia di vivere hanno incantato il mondo, tanto da farlo diventare una vera e propria star. Ripercorriamo assieme la sua storia.
Il tragico incidente
Aaron Lee Ralston è nato nell’ottobre del 1975 in Ohio, negli Stati Uniti. Dopo essersi laureato in ingegneria meccanica presso la Carnegie-Mellon University, si innamora follemente dell’alpinismo e dell’escursionismo, una passione che lo porterà a desiderare di scalare il Bluejohn Canyon. Infatti, il 26 aprile del 2003, senza dirlo a nessuno, decide di recarsi presso la contea orientale di Wayne, nello Utah per una breve escursione nella Riserva Hopi. Nonostante le accortezze, poco dopo l’inizio della sua avventura, accade l’impensabile: Aaron si appoggia a un masso per tentare di superare una faglia ma non appena lo tocca, l’enorme blocco di pietra si smuove, facendolo scivolare e poi precipitare nel Canyon. Il macigno, cadendogli addosso, blocca il suo braccio destro contro la parete di pietra alle sue spalle. Aaron con sé ha solo una bottiglietta d’acqua, un coltellino multiuso e una fotocamera digitale, non ha portato né un cellulare né cibo.
Il suo destino sembrava già scritto: sarebbe morto di fame e di sete. Dopo cinque giorni di agonia, durante i quali riesce miracolosamente a sopravvivere, Aaron Lee Ralston, resosi conto che la sua mano sta andando in necrosi, prende una dura decisione: l’unico modo per salvarsi è amputare l’avambraccio. Dopo aver recuperato con fatica il coltellino multiuso dal suo zaino, inizia a tagliare i tessuti molli, fino ad arrivare all’osso che, per divincolarsi dal masso, è obbligato a spezzare facendo leva tra il macigno e la parete di roccia. Nonostante le poche forze rimaste, riesce ad uscire dalla gola del Blue John Canyon e a camminare per quasi dodici chilometri; Aaron, tempo dopo, racconterà di avere avuto così tanta adrenalina in circolo da riuscire a malapena a percepire il dolore.
La vita di Aaron Lee Ralston dopo l’incidente
Aaron fu prima soccorso da due turisti olandesi e in seguito trasportato d’urgenza in elicottero presso l’ospedale più vicino dove dei medici esperti al posto del braccio mancante, impiantarono una protesi di ultima generazione. La sua storia fece in breve tempo il giro del mondo: Aaron diventò esempio di resistenza, tenacia e coraggio.
Nel 2004, appena un anno dopo il tragico evento, Aaron decise di scrivere un libro sulla sua disavventura, intitolato Between a Rock and a Hard Place (letteralmente tra una pietra e un posto duro) un modo di dire inglese che in italiano può essere tradotto come «Tra l’incudine e il martello». Nel suo romanzo autobiografico riuscì anche a inserire le foto che lui stesso scattò durante i cinque giorni di agonia. Between a Rock and a Hard Place scalò rapidamente le classifiche, diventando un vero e proprio best-seller, tanto che Inc. magazine lo definì come «uno dei migliori libri sull’imprenditoria che non hanno niente a che vedere con gli affari». Aaron Lee Ralston, nonostante tutto, è tornato a praticare alpinismo, grazie a una particolare protesi a forma di picchetto.
Il film dedicato al suo incidente
Nel 2010 i due registi Danny Boyle (diventato molto famoso e apprezzato per il film Yesterday) e Simon Beaufoy, decisero di realizzare un film intitolato 127 ore, sulla storia di Aaron, basandosi sul libro da lui pubblicato. Come attore protagonista venne scelto James Franco che svolse un lavoro eccellente, tanto da ricevere una nomination agli Oscar come migliore attore protagonista. Aaron ha definito la pellicola «così accurata da poter essere scambiata per un documentario» e poi scherzando «il miglior film mai prodotto».
Quella di Aaron Lee Ralston, anche a distanza di vent’anni, rimane una storia unica nel suo genere, una vicenda che ha fatto capire al mondo cosa la voglia di vivere è in grado di far fare.
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