C’è chi lo osanna come una sorta di eroe popolare, un Robin Hood senza paura di sfidare chi a quei tempi deteneva il potere. Per altri, invece, non era altro che uno psicopatico sanguinario. Stefano Pelloni, detto il Passatore, era più semplicemente un brigante romagnolo, vissuto nella Romagna dell’Ottocento, un periodo in cui la maggior parte della popolazione era costretta a vivere in condizioni di estrema povertà. Le continue rivoluzioni e le invasioni straniere costringono le campagne romagnole ad essere allo stesso tempo selvagge e militarizzate.
L’infanzia di Stefano Pelloni, detto il Passatore
In questo contesto nasce Stefano Pelloni, il 24 agosto del 1824, a Boncellino di Bagnacavallo, in provincia di Forlì. È l’ultimo di dieci figli, dati alla luce per collaborare in casa, come solito a quei tempi. Stefano dimostra subito del potenziale che lo contraddistingue da tutti gli altri fratelli, così lo mandano a scuola per diventare prete, ma non arriva neanche alla terza elementare che, dopo varie punizioni a causa della sua indisciplina e diverse bocciature, viene espulso. Stefano intraprende allora una sfilza di lavori umili, pesanti e mal retribuiti, come bracciante, muratore, carrettiere e, infine, va a lavorare con il padre, un traghettatore (o “passatore”, come veniva definito all’epoca) sul fiume Lamone. Soprattutto durante la notte, Stefano Pelloni incontra rapinatori, contrabbandieri e briganti, la feccia della popolazione. Ma questo lavoro e il contatto con le persone, soprattutto quelle poco raccomandabili, gli insegna tante cose, soprattutto che il popolo muore di fame, sfruttato dai ricchi. È necessario un intervento di ridistribuzione della ricchezza.
Il Passatore e i suoi primi colpi
Stefano Pelloni inizia, così, a compiere i suoi primi furti in compagnia del fratello, Matteo. Ben presto si associa con altri briganti e, all’età di 19 anni, viene arrestato per rapina a mano armata a danni del custode dell’argine del fiume Lamone. Riesce ad evadere dal carcere di Bagnacavallo insieme ad altri detenuti. Ad arrestarlo è il sussidiario della Gendarmeria pontificia, Apollinare Fantini.
Pelloni inizia ad attirare l’attenzione e il suo identikit viene diramato: capelli neri, occhi castani, fronte spaziosa, viso pallido e oblungo, sguardo truce e, come segni particolari, una bruciatura da polvere da sparo sotto l’occhio sinistro. Nel 1845, Pelloni evade di nuovo di prigione e continua a compiere una serie di furti, sempre in compagnia del fratello, finché i gendarmi non provano nuovamente ad arrestarlo in un’osteria. Stavolta il Passatore apre il fuoco e uccide due gendarmi. Adesso è ricercato non solo dalla gendarmeria, ma anche dalla cavalleria pontificia e dall’esercito austriaco.
Consapevole di non poter sopravvivere da solo, nel 1847, riunisce diverse bande di briganti, per lo più criminali; altri, invece, sono braccianti, artigiani e perfino preti. Stefano Pelloni e gli altri briganti non potrebbero sopravvivere senza l’appoggio dei loro fiancheggiatori, ovvero contadini e osti che forniscono informazioni sugli spostamenti dei gendarmi, dritte sulle future prede, offrono nascondigli, armi e munizioni, vitto e alloggio in cambio di denaro. È da questa usanza che, probabilmente, nasce la leggenda del Passatore, una sorta di Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri, anche se, in questo caso, i poveri sono comprati dai briganti per continuare ad agire indisturbati. Ai briganti, infatti, era vietato incutere timore a queste persone pur di ottenere qualcosa dalle medesime.
Nel 1849, la banda compie un colpo a Bagnara che definirà il loro modus operandi: prendere d’assalto la caserma dei gendarmi, per poi girare di casa in casa, derubando i più ricchi dei loro scudi e delle loro gioie. Il cardinale di Ravenna mette una taglia sul Passatore. Un giorno, però, Stefano Pelloni, indispettito e anche un po’ divertito dalla cosa, fa irruzione nello studio del cardinale per riscuotere la sua stessa taglia. Gli punta una pistola al petto e lo costringe a consegnargli il denaro.
Dopo Bagnara, la banda ritenta il colpo a Cotignola, Castelguelfo e Brisighella, dove il Passatore e la sua banda di briganti seguono sempre lo stesso schema, talvolta ridistribuendo parte del bottino tra i più poveri, ma lasciando, sempre più di frequente, una scia di sangue dietro di sé.
Dopo Brisighella, è la volta di Forlì, dove il Passatore viene a sapere che Giacomo Sgargi di Villafranca, un brigadiere a cui Stefano Pelloni desidera tendere un’imboscata, si trova proprio lì per riscuotere la sua paga. Una notte, però, convinto di aver catturato il brigadiere, Stefano Pelloni uccide un altro uomo in pattuglia con i suoi uomini, ma di Giacomo Sgargi non c’è nessuna traccia.
Una settimana dopo, il Passatore pianifica con i suoi uomini più fidati l’impresa successiva: l’invasione di Longiano. Facendosi strada con altri colpi e altri morti, il Passatore giunge in Toscana, dove porta a segno un altro colpo. Il granducato rinforza le pattuglie al confine, con il supporto degli austriaci. La collaborazione tra gendarmi e militari pontifici e toscani porta a dei risultati: diversi briganti vengono catturati e fucilati.
Stefano Pelloni sembra non accusare il colpo e, nel 1851, invade Consandolo, in provincia di Ferrara, con l’aiuto di sette complici, ottenendo ancora una volta un ingente bottino e lasciando dietro di sé diversi morti. Anche in questo caso, però, gli austriaci e i gendarmi pontifici riescono a catturare e uccidere alcuni membri della banda.
25 gennaio 1851: l’invasione di Forlimpopoli
Adesso il Passatore ha ancora più sete di sangue, oltre che di denaro e, il 25 gennaio del 1851, compie quello che passa alla storia come il colpo più macabro di tutti, avvenuto a Forlimpopoli e immortalato nei versi di Arnaldo Fusinato, ripresi dai cantastorie romagnoli per diffondere la leggenda del Passatore. Stefano Pelloni e i suoi uomini irrompono in un teatro e ottengono tutte le informazioni per depredare le case dei più ricchi. Tra le varie vittime della banda del Passatore, vi è la famiglia del noto scrittore Pellegrino Artusi, le cui tre sorelle attirano l’attenzione dei criminali. Due di loro riescono a nascondersi, ma Gertrude viene catturata e stuprata. Non riuscirà mai a dimenticare l’accaduto, che la segnerà in maniera così traumatica da morire pochi anni dopo in manicomio. Purtroppo, non è l’unica donna ad essere violentata durante il colpo a Forlimpopoli e, dopo aver ricavato un sufficiente bottino, la banda si rifugia e festeggia a San Pancrazio.
Il caso viene affidato al capitano della gendarmeria Michele Zambelli, il quale impone la fucilazione immediata non solo dei briganti, ma anche dei manutengoli. Offre, inoltre, delle taglie per la cattura dei banditi. La banda viene così accerchiata e costretta a disperdersi. Il Passatore si ritrova solo con un complice e, ormai stanchi, si rifugiano in un capanno nei pressi nel comune di Russi. Qualcuno li riconosce e, pur di ottenere il denaro, corre ad avvisare i gendarmi. Stefano Pelloni è circondato ed esce allo scoperto insieme al suo complice. Non appena riconosce il sussidiario della Gendarmeria pontificia, Apollinare Fantini, inizia a sparare. Fantini spara a sua volta un colpo che va subito a segno, uccidendo il leggendario Passatore, Stefano Pelloni.
Zambelli ordina che, per festeggiare la morte del Passatore e la sconfitta dei briganti, il corpo di Stefano Pelloni venga fatto sfilare su un carretto dinanzi all’intera popolazione romagnola.
Stefano Pelloni, detto il Passatore, è attualmente sepolto nel cimitero di Bologna, in un recinto conosciuto come Campo dei traditori. Il Passatore diventerà il volto di molti vini romagnoli, anche se nell’aspetto e nel modo di vestire non somiglia affatto all’originale. Oltre ad essere ricordato in diverse poesie, come quelle di Pascoli e di Arnaldo Fusinato, gli sarà intitolata anche una gara podistica, la cento chilometri da Firenze a Faenza. A Ravenna, ma anche a Faenza, gli è stata addirittura dedicata una statua, immediatamente rimossa a causa del forte disappunto di un movimento femminista.
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