Il remake disneyano de “La Bella e la Bestia” (qui recensito) ha senz’altro stimolato le ricerche riguardanti uno dei più amati classici dell’animazione. Il modello dell’affascinante e famosa fiaba europea, che ha incantato e fatto sognare intere generazioni in molteplici varianti, s’incentra sul fascino dell’apparente diversità, sulla trasformazione e la redenzione conclusiva, che trae le sue origini da alcuni testi della letteratura greco-latina del II secolo d.C., tra i quali spicca la favola di “Amore e Psiche”, narrata nella celebre opera “Le Metamorfosi” (o “L’asino d’oro”) di Apuleio, autore di formazione platonica nato nella provincia romana della Numidia. A partire da questa materia, nel 1550 lo scrittore italiano Giovanni Francesco “Straparola” avrebbe riplasmato il racconto originale, realizzando in tal modo la prima versione scritta de “La Bella e la Bestia” nel suo libro di racconti “Le piacevoli notti”. Ebbene, oltre i numerosi adattamenti e trasposizioni che questa fiaba ha conosciuto in tutta Europa, fino alla prima versione edita nel 1740 ad opera della scrittrice francese Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, alcune chiare similitudini hanno indotto popolarmente ad associare il racconto a una storia vera, conclusasi sulle sponde del Lago di Bolsena, in provincia di Viterbo. La fiaba scritta dallo Straparola, infatti, pur rispolverando un materiale precedente, parrebbe ispirarsi all’incredibile vicenda del nobile Petrus Gonsalvus, nome latinizzato di Pedro Gonzales, appartenente alla corte di Enrico II di Francia, uno dei personaggi più noti nell’ambiente aristocratico del XVI secolo.
Petrus Gonsalvus: da Tenerife alla corte di Francia
Nato a Tenerife, discendente dei “mencey”, i re dei Guanci, aborigeni delle Canarie, sconfitti e resi schiavi dalla conquista spagnola alla fine del ‘400, Pedro aveva una caratteristica che lo rendeva singolare: era affetto da ipertricosi congenita, un’alterazione genetica che si manifesta con l’eccessiva crescita di una folta e lunga peluria su tutto il corpo, compreso il volto. All’età di dieci anni, pare fosse inviato come “regalo” dalle Canarie al Re Carlo V d’Asburgo, nei Paesi Bassi, ma durante la traversata in mare un’incursione di corsari francesi portò alla cattura del piccolo Pedro, che fu recato, invece, come dono di matrimonio ad Enrico II di Valois, re di Francia, il quale latinizzò il suo nome e lo accolse nella sua corte. Qui la patologia che lo affliggeva destò grande curiosità nella regina Caterina de’ Medici, donna di forte personalità, amante entusiasta dell’esotico, che rivelò fin da subito un estremo interesse e orgoglio nell’ospitare tra i suoi cortigiani una testimonianza così straordinaria; si occupò, pertanto, di fornire alla sua “icona esotica” la più alta formazione culturale del tempo, fondata sullo studio della lingua latina e delle discipline umanistiche, sì che Petrus crebbe come un vero gentiluomo. Giunto in età da matrimonio, la regina fece in modo di trovargli una sposa tra le più proprie dame di corte, scegliendo la più bella, Catherine Raffelin: la quale, si narra, svenisse alla vista del giovane. Tuttavia, sia le doti intellettuali dell’acculturato e solitario Petrus, sia i lineamenti regolari al di là della peluria e la corporatura imponente caratteristica dei guanci – come riportano le cronache dell’epoca -, resero quel connubio forzato e apparentemente contrastante, incredibilmente felice: col tempo, infatti, la sensibilità, la dolcezza e la cultura di Petrus indussero la giovane ad apprezzare gli altri numerosi aspetti del marito, che finirono per conquistare veramente il suo cuore.
L’insegnamento della vicenda singolare di Petrus Gonsalvus
Dal loro amore nacquero ben sei figli, quattro dei quali affetti da ipertricosi; il loro aspetto fu studiato e reso noto da Ulisse Aldrovrandi, appassionato naturalista dell’epoca, e dalla ritrattista Lavinia Fontana, divulgatori dei primi casi europei noti di ipertricosi. Dopo la morte di Caterina de’ Medici nel 1589 e la rovina della dinastia Valois, Petrus Gonsalvus fu ceduto dalla corona francese alla corte parmigiana dei Farnese; in seguito, si stabilì definitivamente a Capodimonte, presso il lago di Bolsena, dove morì nel 1618, all’età di 81 anni, lontano dai clamori delle corti reali; i particolari della sua vita sono tuttora custoditi nell’Archivio Vaticano e negli Archivi di Stato di Roma e Napoli. Oltre il fiorire di riletture e versioni cinematografiche della storia, di grande successo per le sue implicazioni socio-educative senza tempo, l’insolito destino del gentiluomo di Tenerife, buono e sensibile, e la sua storia d’amore con la bella e devota Catherine, sono una testimonianza affascinante del valore relativo della bellezza e di come, attraverso i sentimenti autentici, le doti personali e la giusta determinazione, si possa sbriciolare il velo delle apparenze e valicare ostacoli a prima vista insormontabili.