La storia del colore rosa e la sua percezione nel tempo
Negli ultimi mesi, dopo il rilascio di Barbie nelle sale cinematografiche, la popolazione mondiale è stata investita da uno tsunami di colore rosa: dai vestiti alle automobili, dagli accessori alle pareti, tutto si è dipinto di pink. Questa famosissima tonalità, nonostante oggigiorno venga utilizzata indipendentemente dal sesso, è ancora soggetta a una forte associazione di genere; tutti ricorderanno la vicenda dei poliziotti che, in piena pandemia, hanno rifiutato di indossare delle mascherine di colore rosa perché indecorose per la divisa, una presa di posizione che ha fatto indignare l’Italia intera ma che ha anche portato alla luce un problema sociale: gli stereotipi di genere sono ancora vivi e vegeti e più che mai difficili da sradicare. Eppure, il rosa non è nato per rappresentare il mondo del gentil sesso, anzi, è stato considerato per moltissimi anni un vero e proprio sinonimo di mascolinità.
Ma com’è avvenuto questo radicale e repentino cambio di percezione? Andiamo a scoprire insieme la storia del colore rosa!
Età dei lumi e del Romanticismo: il colore rosa diventa famoso
Il colore rosa diventò di moda per la prima volta nella seconda metà del ‘700. La sua popolarità si deve a Madame de Pompadour, conclamata amante del re Luigi XV, che iniziò a utilizzarlo sempre più spesso durante gli eventi pubblici. Nonostante fosse stata una donna a rendere famosa questa tonalità, il colore rosa non era considerato un’esclusiva del gentil sesso anzi, veniva indossato indistintamente sia da maschi che da femmine. Solo nei primi anni dell ‘800 la couleur rose inizia ad acquisire una forte connotazione maschile; esso era infatti considerato un rosso meno vivido (ritenuto per secoli il colore maschile per eccellenza) e per questo più conoscono ai maschietti mentre il blu, che è oggettivamente una tonalità più delicata, era associato alle bambine. Nel 1918, Earnshaw’s Infants’ Department, una rivista dedicata all’abbigliamento per l’infanzia, in un articolo scrisse:
«La regola comunemente accettata è che il rosa sia per bambini, il blu per le bambine. Questo perché il rosa è un colore più forte e deciso, più adatto a un maschio, mentre il blu, che è più delicato e grazioso, è adatto alle femmine».
Con queste parole si ribalta totalmente lo stereotipo tutto moderno del rosa femminile e del blu maschile.
Anni ’30 e ’40: la percezione del colore rosa si capovolge
Negli anni ’30 del ‘900 la storia del color rosa viene segnata per sempre: grazie ai processi chimici di colorazione nasce quello che Elsa Schiaparelli rinominerà Rosa Shocking, un colore frizzante e brillante, molto distante dalla tonalità pesca dei secoli precedenti. Inoltre, in questo periodo i toni rosacei iniziano a essere accostati alla nudità perché ricordano il colore della pelle delle donne occidentali, considerate al tempo un modello di bellezza. Il rosa inizia quindi a essere associato sempre di più alla sfera femminile, allontanandosi progressivamente dalla percezione ottocentesca. A consacrare lo stereotipo del blu maschile e del rosa femminile, fu un’azienda di vestiti statunitense che negli anni ’40, senza alcun motivo apparente, iniziò a produrre vestiti pink solo ed esclusivamente per le donne e le bambine; ai maschietti e agli uomini fu invece attribuito l’azzurro, quello stesso colore che appena cinquanta anni prima era sinonimo di delicatezza e femminilità.
Dagli anni ’50 agli anni ’70: la nascita di Barbie e il ripudio femminista
Gli anni ’50 sono considerati gli anni d’oro del colore rosa: Marilyn Monroe con un abito meraviglioso nel film Gli uomini preferiscono le bionde lo porta sul grande schermo e lo consacra definitivamente come il colore della femminilità e della sensualità. Ad aiutare questa visione fu anche l’invenzione del bambola più famosa al mondo: nel 1959 nasce infatti Barbie, paladina del fucsia e modello di ispirazione per milioni di bambine. Negli anni ’60 il rosa più famoso è quello del tailleur di Jacqueline Kennedy, sporcato dal sangue del marito John Fitzgerald Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963. Ma è all’inizio degli anni ’70 che il pink inizia a perdere progressivamente la sua popolarità: è il periodo delle lotte femministe, della rivoluzione sessuale, delle battaglie per i diritti e le donne iniziano letteralmente a ripudiare il colore rosa e la sua storia, simbolo di una femminilità tradizionale ormai anacronistica. Bisognerà aspettare gli anni ’90 per ritrovare nel Rosa Shocking la base della rappresentazione della lotta ai diritti delle donne, una tonalità che è ormai diventata il bigliettino da visita delle neo-femministe.
Dal 2010 al 2020: il tentativo di sradicare gli stereotipi
Oggigiorno non è più raro vedere un uomo che indossa un capo di abbigliamento color rosa; sono ormai tantissime le celebrity che, indipendentemente dal sesso, sfoggiano outfit completamente pink. Un esempio è Ryan Gosling che, alla premiere di Barbie, il celebre film con protagonista Margot Robbie, ha sfoggiato una giacca rosa shocking per dimostrare l’asessualità dei colori. È un po’ diverso quando si guarda alla sfera infantile, nella quale la distinzione tra rosa e azzurro è ancora molto netta e radicata. Nonostante qualche tentativo di alleggerire questo stereotipo di genere, con l’ascesa dei famosi baby shower, si è tornati un po’ al punto di partenza: per i bambini il rosa continua ad essere da femmine e il blu da maschio, con conseguente rifiuto di entrambe le parti di indossare il colore attribuito al sesso opposto.
La storia del colore rosa ci dimostra, come sosteneva il famoso antropologo britannico Edward Tylor, che gli individui acquisiscono la propria cultura (con le conseguenti convinzioni, stereotipi, idee, tradizioni) in quanto immersi in un contesto sociale: quello che oggi è una certezza, con l’evolversi della società, potrebbe non esserlo domani.
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