Veleni mortali e non, sostanze letali che dall’antichità uccidono silenziosamente. Conosciamole meglio.
Protagonista delle più folli procedure politiche, degli intrighi del potere e delle tragedie di Shakespeare, il veleno è una delle armi letali più utilizzate nel corso dei millenni. Il suo successo è dovuto alla morte invisibile e spesso impunita che esso determina. Soluzione ottimale per un omicidio perfetto, il veleno ha una lunga storia. Basti pensare che le prime tracce del suo utilizzo da parte dell’uomo risalgono a diecimila anni fa. Ma le tecniche e le procedure del veneficio sono tanto atroci quanto affascinanti.
Veleno: dagli albori all’antichità classica
Fin dall’ultimo periodo del Paleolitico l’uomo ha usato il veleno per cacciare. A scoprirlo è stato il paleontologo Alfred Fontan che, nella seconda metà dell’Ottocento, ritrovò in alcune grotte frecce ricavate dalle ossa di animali caratterizzate da particolari scanalature. In Asia, Africa, Amazzonia questa pratica era molto diffusa. In effetti il termine tossico potrebbe proprio derivare dal termine greco toxon (freccia).
Veleno viene direttamente dal latino venènum, collegato dagli etimologisti con Venus, Venere, dea della bellezza e dell’amore. A sua volta Venus è collegato a uenenum, ossia la pozione magica e, per successiva estensione, al “filtro d’amore“. Dunque in origine ciò che indicava venènum era “ogni materia specialmente liquida, capace per la sua forza penetrante di mutare la proprietà naturale di una cosa“.
Nell’antica Grecia il termine pharmakon aveva un duplice significato: rimedio e veleno. È questo il periodo in cui si prende coscienza del fatto che un veleno non può essere definito solo come sostanza capace di mutare le proprietà delle cose. Infatti in latino il venenum è distinto dal malum venenum, per indicare la nocività di quest’ultimo e per distinguerlo dai medicinali – anche se molti veleni sono usati in campo medico.
Ciò che rende il veleno una sostanza letale, quindi, la quantità somministrata e l’effetto che ha sul soggetto, effetto che varia da uomo a uomo. Come diceva Lucrezio “ciò che per uno è cibo, per altri è amaro veleno”.
Le sostanze venefiche più diffuse per la cacciagione erano di origine vegetale: i Galli usavano l’elleboro bianco, i Celti il Ficus Toxicaria. Il veleno più utilizzato era, però, il siero di vipera.
Gli esseri umani infatti, a differenza di alcuni animali, non sono dotati dell’arma del veleno. Molti animali possiedono ghiandole che secernono sostanze letali di tipo venefiche di cui si servono per paralizzare o uccidere le prede prima di cibarsene oppure per difendersi. Esempio ne sono gli scorpioni, le api, le vespe, ma anche molti animali marini.
Ben presto il veleno animale e vegetale diventò un’arma usata dall’uomo per uccidere l’uomo. Tipico era l’uso di veleni vegetali come cicuta, aconito, belladonna e assenzio e animali come cantaridina, sangue fermentato di toro, polveri ricavati da crostacei e salamandre.
Notizie di avvelenamenti sono molto frequenti nella storia dell”Impero Romano. L’imperatore Augusto fu avvelenato dalla moglie Livia, Claudio da sua moglie Agrippina e Britannico per mano di Nerone.
Fondamentale per l’arte dei veleni mortali fatti in casa fu l’arsenico. Somministrato in piccole dosi progressive, questo provoca una destabilizzazione che conduce pian piano alla morte. Il quadro clinico di un paziente avvelenato in questo modo non è chiaro e il motivo della morte resta ignoto. Questo fino al 1836, anno in cui il chimico britannico James Marsh ideò un test per scoprire le tracce di arsenico. Un ulteriore motivo per non utilizzarlo era il fatto che, importato dall’India, era venduto a carissimo prezzo.
I veleni, sostanze letali divenute arte nel Medioevo e nel Rinascimento
Con gli sviluppi dell’alchimia e la successiva nascita della chimica, ci fu uno slancio alla pratica del veneficio e, grazie alla scoperta o alla creazione di nuovi e più pericolosi veleni, si sviluppò una vera e propria arte del veneficio. Per questo motivo nelle corti si diffuse l’uso dell’assaggiatore. Ma anche questa difesa veniva elusa in qualche modo. Emblematica è la storia del re di Napoli Ladislao I che, noto per le sue numerose amanti, fu ucciso dal veleno applicato sull’organo genitale di una di esse.
Tra le tecniche made in Italy abbiamo la cosiddetta camicia all’italiana. Per attuarla bastava strofinare un indumento a stretto contatto con la pelle con sapone all’arsenico e il gioco era fatto.
Giambattista Della Porta – filosofo, commediografo e alchimista campano del ‘500 – per le sue sostanze letali usava calce viva, vetro filato, aconito, arsenico giallo, e mandorle amare con miele. La cantarella dei Borgia era, invece, una pozione ottenuta facendo evaporare urina in un contenitore di rame e mescolandola in seguito con l’arsenico. L’alcalinizzazione e la trasformazione in sale dell’arsenico, attraverso l’ammoniaca contenuta nell’urina, rendeva il veleno altamente tossico. Così morì papa Clemente XIV.
L’acquetta di Perugia si otteneva, invece, dalla polverizzazione di una carcassa secca di un maiale impregnata precedentemente in arsenico. Questa morte toccò, invece, a papa Benedetto XI.
Famosissimi i funghi (velenosi) di Lucrezia, figlia di papa Alessandro VI Borgia. Poiché la morte si verificava molto più tardi dell’avvelenamento, causa ed effetto non erano collegabili. La qualità di funghi da lei usata era la Cortinarius Orellanus, successivamente “funghi di Lucrezia”. Si dice che Lucrezia portasse un anello cavo con la polvere di questi funghi e che fosse solita avvelenare sudditi a cui aveva fatto dono delle proprie terre per poi, dopo la loro misteriosa morte, riappropriarsene.
Infine l‘acqua di Tofana – inventata da Giulia Tofana, cortigiana della corte di Filippo IV di Spagna – si ricavava facendo bollire in acqua in una pentola sigillata anidride arseniosa, limatura di piombo e antimonio. Il veleno incolore, che poteva essere disciolto in altre bevande, fu venduto in oltre seicento dosi. Questo dato fu confessato da Giulia Tofana in persona, durante la sua morte avvenuta presso il Campo dei Fiori a Roma e causata da una denuncia da parte di uno dei suoi mariti scampato alla morte.
Nella seconda meta del 1600 si giunge alle basi della tossicologia. Usare il veleno diventò molto più pericoloso ma questo non significa che la pratica della somministrazione di sostanze letali fu meno utilizzata.
Veleno: è ancora utilizzato ai nostri giorni?
Il veleno più utilizzato attualmente è il cianuro, che uccide legandosi al ferro dell’emoglobina e quindi causa l’anossia celebrale. Il cianuro, il veleno che odora di mandorle, veniva adoperato delle camere a gas naziste e di alcune prigioni statunitensi.
Nonostante i progressi della chimica non è impossibile usare il veleno senza essere scoperti. È il caso del sabotatore delle bottiglie di acqua minerale avvelenate nel 2003 che portarono ad una psicosi collettiva. Oppure quello del dissidente russo Alexander Litvinenko, morto nel 2006 dopo aver ingerito cibo infetto da un micidiale materiale radioattivo.
Veleno è anche il titolo di un film di Diego Olivares presentato alla penultima Mostra Internazionale dell’arte cinematografica di Venezia. Il titolo, questa volta, si riferisce però alla contaminazione chimica della terra dei fuochi. E così il veleno, oltre che colpire gli animali e gli uomini può colpire anche l’ambiente, causando conseguenza altrettanto drastiche.
L’impatto inesorabile del veleno sull’ambiente: una minaccia silenziosa data da sostanze letali
Il veleno, come arma di distruzione ambientale, ha un impatto devastante sulla flora e sulla fauna. L’inquinamento chimico derivante da sostanze tossiche rilasciate nell’ambiente ha effetti a lungo termine sul delicato equilibrio degli ecosistemi. Pesticidi, fertilizzanti, rifiuti industriali e altri agenti contaminanti sono responsabili di avvelenamenti, malformazioni genetiche e riduzione della biodiversità. Gli ecosistemi acquatici, ad esempio, sono particolarmente vulnerabili agli effetti tossici dei metalli pesanti e dei prodotti chimici, compromettendo la sopravvivenza delle specie ittiche e influenzando l’intera catena alimentare. Inoltre, l’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni industriali e veicolari contribuisce all’accumulo di sostanze nocive nell’aria che respiriamo, mettendo a rischio la nostra salute e quella degli organismi viventi. È fondamentale adottare politiche e pratiche sostenibili per ridurre l’uso di sostanze tossiche, promuovere la gestione responsabile dei rifiuti e preservare l’ambiente per le generazioni future. Solo così potremo contrastare il dilagare di questo veleno silenzioso che minaccia la salute del nostro pianeta.