Procida, terra d’amore: il nuovo romanzo di Martin Rua, “Alma che visse in fondo al mare”
Una storia d’amore che sfida il tempo e lo spazio, con l’incantevole sfondo – o, per meglio dire, co-protagonista del racconto – della ridente isola di Procida: questa è l’essenza di Alma che visse in fondo al mare, il nuovo romanzo di Martin Rua, incantevole e recentissima proposta Polidoro, casa editrice napoletana che si contraddistingue per l’altissima qualità delle sue pubblicazioni.
Procida, anni ’60. Napoleone Lubrano di Scampamorte ha un nome importante e singolare, che ne segna fin da piccolo il destino. Il piccolo doveva chiamarsi Onofrio, come il nonno paterno, nome indigesto alla madre e fonte di numerose discussioni in famiglia, ma alla fine eredita il nome non dal più illustre Bonaparte, ma da un pesce che condivide con il bambino appena nato una strana protuberanza sulla fronte, somiglianza notata da Kareem, un egiziano amico di suo padre, pescatore della Corricella.
Proprio come il pesce, il giovane Napoleone cresce come una creatura marina, che trova nell’acqua il suo elemento. Come il Bonaparte, è un gran conquistatore: di cuori, però.
Bruno, scaltro ed attraente, il pescatore nasconde un talento nascosto, incoraggiato dal taciturno e riservato zio Vastiano: è un artista, la cui fama, legata al soprannome di Napò, si diffonde presto in tutta l’isola grazie ai suoi pregiatissimi ex-voto, vere e proprie opere d’arte nelle quali il giovane s’ispira al Caravaggio, di cui si convince di essere un lontano discendente, divenendo già giovanissimo “il Caravaggio procidano” e superando in fama e bravura lo zio.
Arte e pesca sono il pane quotidiano di Napò: in senso letterale, perché è ciò che gli consente di vivere, sebbene il giovane dipinga più che altro per diletto e sia restìo ad attribuire un valore economico alle proprie opere, sia in senso figurato, perché costituiscono il centro delle sue giornate. O almeno, è così fino all’estate che cambia il suo destino, con il ritorno del comandante Scotto di Santillo in vacanza all’isola natìa, che porta con sé la bella figlia italo-giamaicana Alma. Alma, più giovane di Napò di qualche anno, porta nel sangue il ritmo vivace e il fascino esotico di sua madre Precious, immortale ed eterna nei ricordi dei procidani, e l’animo procidano del padre, uomo di mondo e uomo di mare: è amore fin dal primo sguardo. Un amore estivo ed adolescenziale che sboccia con la potenza e la forza di un amore adulto, maturo, solido. Un amore vissuto e sentito come necessario, che si consuma nell’arco di una sola stagione, e che vede per sfondo l’incantevole Procida, con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi segreti, le sue tradizioni millenarie ed i suoi proverbi popolari, le sue credenze, i responsi oracolari di Zia Maria, incontestabili verità assolute, tali da determinare il destino degli uomini.
Procida è la vera protagonista del romanzo di Martin Rua: è Procida che, da sfondo, si fa simbolo di un amore che trapassa il tempo e lo spazio, che accompagna i due amanti lontani per il resto della loro vita, con la speranza di un ricongiungimento lì nell’isola magica dove tutto è iniziato. L’isola che cattura, che ammalia, che rapisce ed allontana: Alma non può restare, la sua vita è nella dinamica e moderna America, al centro del mondo, lontanissima da Procida, dai suoi ritmi lenti, dal suo calore mediterraneo, dalla sua insularità; di contro Napoleone non può allontanarsene, convinto che, senza di lui, unico in grado di ricrearla com’è, attraverso il suo sguardo a cui nulla sfugge, l’isola stessa smetterebbe di esistere, e con lei l’amore di cui l’isola è l’effigie vivente, mantenuto in vita dalle opere di Napò, che meglio di ogni altra cosa restituiscono il mistero dell’isola e di Alma, il faro che in una stagione è riuscito ad illuminarla e che da lontano continua a far brillare la sua luce.
Alma che visse in fondo al mare è una vera perla editoriale, un libro denso di poesia, che racconta con la freschezza e l’immediatezza di una favola la storia di un amore commovente ed eterno.