Antonella Cilento, Solo di uomini il bosco può morire | Recensione

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Solo di uomini il bosco può morire è il nuovo libro di Antonella Cilento, edito per Aboca Edizioni. La casa editrice è nata nel 2012 ad opera di Massimo Mercati, amministratore delegato di Aboca, healthcare company italiana che si occupa di dispositivi medici e integratori alimentari 100% naturali. Il testo è pubblicato nella collana Il bosco degli scrittori, che coinvolge autori e autrici nel raccontare storie a partire da un albero a cui sono legati o legate.

Solo di uomini il bosco può morire: la bellezza che giace al di sotto

Il racconto di Antonella Cilento non parte da un albero, bensì da una foresta, quella di Cuma. Un luogo scoperto da adulta, nel momento in cui gli uomini tutti, privati della socialità, tornavano a rivolgersi alle piante, ai luoghi naturali, unico ristoro dal contagio, unico approdo incontaminato durante gli anni della pandemia. Così l’autrice ripercorre la sua infanzia di bambina cagionevole, molto poco a contatto con la natura, che si racconta storie in attesa che le passino le coliche, con l’ennesima pillola a portata di mano. 

«Esistere era per me, da bambina, come affacciarsi al balcone del mondo da cui tutto sfuggiva, come un panorama troppo vasto, inarrivabile: la vita spettava agli altri, ai forti, non a me, vivere era impossibile, non avrei mai avuto la forza, il mio corpo non avrebbe risposto.»

Da bambina assuefatta da zuccheri e medicinali, sente di avere finalmente da adulta “lucide visioni”. La Foresta di Cuma non è però l’Eden dei poeti e degli scrittori, la selva dannunziana dove la pioggia tiene la sua orchestra. Qui alcune piante crescono già morte; eppure questo è lo stesso luogo decantato da poeti e scrittori, la prima colonia greca sulla terraferma. Così l’autrice si addentra nella Foresta la cui storia sembra manifestarsi per fantasmi: i cavalli al galoppo però non sono un’allucinazione.

Tutto nella foresta pare assopito, un luogo delle favole, dove il tempo si è fermato. Al binario morto della Ferrovia Cumana che attraversa il bosco i cartelli segnano l’anno 2006. Il bosco però è vivo: insieme ai lecci, ai pini, alle querce sopravvive anche il raro Giglio di Cuma, e poi il cisto, il mirto, l’alloro, l’edera la fa da padrona. Le numerose specie di piante presenti passano quasi inosservate agli occhi dell’uomo contemporaneo che a stento le riconosce. Evidenti e riconoscibilissime invece le sue impronte, ogni tipo di rifiuto giace nella foresta, sopra tutti la plastica. Le impronte dell’uomo dicono «morte», mentre il bosco continua a urlare «vita».  

Il luogo simbolo della contraddizione umana non smette di rievocare il mito e la leggenda di cui il suo terreno è impregnato, e insieme continua ad essere luogo di scoperta e di rifugio per i suoi legittimi abitanti; volpi, uccelli, cani, cavalli. 

«La spiaggia è un gigantesco quaderno su cui scrivono gli uccelli: fittissime impronte, unico linguaggio che erediterà il mondo che stiamo distruggendo.»

Gli animali planano sulla spiaggia e sulla foresta con leggerezza, le tracce dell’uomo invece sono impronte indelebili e dannose. Evidente è nel racconto questo sdoppiamento, il terrore e l’incanto che il bosco possiede, questa doppia anima: il passaggio dell’uomo ispira morte e paura, terrore e sgomento, quello della natura invoca al mito, alla leggenda, alla bellezza.

Antonella Cilento continua il suo racconto tra riferimenti cinematografici e letterari, e continuamente il dialogo con sé e con la natura mette in discussione ogni certezza, ogni verità assoluta a cui l’uomo contemporaneo crede fermamente e ottusamente, spesso a discapito di ciò che lo circonda. Le terre che fanno da sfondo alla foresta, Procida, Monte di Procida, Torregaveta, hanno da sempre ispirato la narrazione; sono teatro di infinite storie narrate in ogni tempo e rievocate dall’autrice. Oggi invece, la Foresta fa da sfondo unicamente a esercitazioni militari e soprusi.

La bellezza sepolta non può non strabordare, però, pur sotto cumuli di rifiuti, e qui gli uomini sembrano essere passati direttamente «dalla dimensione agricola e superstiziosa a quella globalizzata e inquinata senza la più lontana percezione della miniera d’oro archeologica e turistica su cui abitano». Nella foresta morte e antichità s’intrecciano, e gli enormi funghi che spuntano in autunno sono, agli occhi dell’autrice, insieme mani di bambini morti che si aprono al cielo e statue greche di divinità sepolte, che non possono fare a meno di riemergere, pur inascoltate e ignorate.

Il Parco della Quarantena  di Antonella Cilento in questo contesto sembra un’ultima visione fantastica; destinato in prima istanza agli animali esotici diretti agli zoo, è invece abitato da animali in libertà che sembrano viverci felicemente. 

Un’analisi pungente della società attuale, quella degli “esorcismi degli esorcismi” e della “paura della paura”, che si conclude con un interrogativo: chi vogliamo essere noi dunque? Gli ultimi uomini che guardano indifferenti al degrado, o i primi di una nascente e cosciente rivoluzione?

L’autrice Antonella Cilento

Antonella Cilento è nata a Napoli nel 1970. Ha scritto numerosi libri legati alla sua terra d’origine e alla sua storia, tra cui Neronapoletano (Guanda, 2004) e Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006). Il romanzo Non leggerai (Giunti) hai inaugurato la collana Young Adult “Arya”. Con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori 2014) è stata finalista del Premio Strega 2014, e Premio Boccaccio 2014, ed è stato tradotto in diversi paesi. Scrive per diversi giornali e riviste, tra cui La Repubblica – Napoli e Grazia. Ha scritto testi teatrali e per il cinema. Ha ideato e conduce dal 1993 il Laboratorio di Scrittura Creativa Lalineascritta. Coordina e insegna nel primo Master di scrittura e editoria del Sud Italia, SEMA.

A proposito di Carmen Alfano

Studio Filologia Moderna all'università degli studi di Napoli "Federico II". Scrivo per immergermi totalmente nella realtà, e leggo per vederci chiaro.

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