L’arte di legare le persone di Paolo Milone | Recensione

L’arte di legare le persone di Paolo Milone | Recensione

Paolo Milone è uno psichiatra nato a Genova nel 1954. Dopo aver svolto la sua professione prima in un Centro Salute Mentale e poi in un reparto ospedaliero di psichiatria d’urgenza per quarant’anni, nel 2021 ha scritto per Einaudi L’arte di legare le persone, seguito da Astenersi principianti (2023).

L’arte di legare le persone è un libro autobiografico in cui sono narrate vicende taglienti ed edificanti, da un profondo significato veicolato attraverso numerose espressioni metaforiche. Come lo stesso Milone ha affermato all’interno delle conclusioni dell’opera, il racconto dettagliato dei fatti e le minuziose descrizioni dei pazienti sono fedeli riproduzioni della realtà, anche se chiaramente sono stati cambiati i nomi e talvolta è stato adoperato un gioco di specchi per cui la descrizione di un paziente corrisponde in realtà ad un lato caratteriale dell’autore stesso.

L’arte di legare le persone: la necessità e il dolore di empatizzare con la sofferenza altrui

«Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa più paura a tutti», così esordisce Paolo Milone nell’incipit del suo primo libro. L’arte di legare le persone catapulta il lettore all’interno del chiassoso Reparto 77, dove la follia umana non pervade solo i pazienti ma anche i medici. Da sfondo, una rassicurante Genova e le sue strade accoglienti, la quotidianità di un protagonista di finzione ispirato a Paolo Milone, che, a fine turno, toglie il camice e va a comprare il latte prima di rientrare a casa dalla moglie.

Tra le urla incomprensibili e apparentemente immotivate dei malati, il protagonista si addentra nei meandri della mente umana, sviscerandone ogni lato nascosto, ogni fragilità e paura, attraverso una profonda capacità di comprendere i silenzi più espressivi della malattia mentale. Destreggiandosi tra caratteriali, narcisisti, depressi e bipolari, l’alter ego di Paolo Milone descrive l’importanza di affiancare alle parole di conforto anche la presenza e l’impegno nella realizzazione di fatti concreti, aiuti sentiti e costanti.

In L’arte di legare le persone, l’introspezione di Chiara, i dubbi di Enrica, la fragilità di Lucrezia e le contraddizione di Carmelo vengono narrate secondo una forma poetica, libera, similmente alle pagine di un diario personale. I pazienti del reparto sono anime che si sono immerse nella profondità del mare, toccandone il fondo, spaventati dalla piccolezza del singolo e dalla complessità di pensieri ed emozioni che vi abitano. Gli psichiatri vengono descritti come dei vigliacchi che, non avendo il coraggio di immergersi nelle profondità, restano in superficie e osservano al di là di questa, il tutto attraverso gli occhi dei pazienti.

In L’arte di legare le persone, i cosiddetti «legati» non sono individui a cui manca qualcosa; semmai, sono persone estremamente sensibili, in grado di farsi attraversare e scombinare anche dalla brezza più quieta. A tal proposito, la figura dello psichiatra ha il compito di aiutare le persone a ritrovare la strada per risalire in superficie, laddove è necessario diffondere la bellezza di cui si è fatta esperienza metri e metri più sotto, lasciando cadere il peso dell’oscurità accumulata. L’arte di legare le persone è ferita e sutura, gioia e sofferenza: è la vita descritta in ogni sua sfaccettatura, positiva o negativa che sia.

Fonte immagine in evidenza: copertina del libro

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