Arte e letteratura in Virginia Woolf: uno spaccato sulla produzione saggistica.
Virginia Woolf nasce a Londra nel 1882, viene educata privatamente e sin dalla tenera infanzia è immersa nel mondo dell’arte: sua madre Julia Jackson era una modella per i preraffaeliti; suo padre Leslie Stephen fu autore, storico e critico letterario; infine, la sorella Vanessa fu pittrice e arredatrice.
Agli inizi del 1900 Virginia Woolf inizia a scrivere professionalmente: in tutta la sua vita scrisse nove romanzi principali, vari diari, saggi, biografie, lettere e perfino un’opera teatrale, ma è soprattutto nei suoi saggi che emerge la particolare concezione che Virginia Woolf aveva dell’arte e della letteratura.
Virginia Woolf, in un brano intitolato Character in Fiction proveniente dalla raccolta di saggi Mr.Bennet and Mrs.Brown pubblicato nel 1924 per la rivista curata da T.S. Eliot, espone un suo pensiero che può farci capire molto della concezione che aveva riguardo all’arte e alla letteratura: l’obiettivo a cui l’artista doveva puntare non era quello di rappresentare realisticamente ciò che si voleva narrare, non bisognava puntare alla mimesi e la rappresentazione dettagliata e naturalistica doveva necessariamente essere evitata, pena il mancato raggiungimento di ciò che era realmente importante.
La funzione realistica, infatti, veniva da lei posta in secondo piano: l’obiettivo era quello di creare, non di rappresentare o di imitare. L’arte novecentesca mirava a realizzare una visione artistica originale e, dunque, la finalità dell’arte da intendere in senso lato non poteva certamente essere la rappresentazione realistica.
Woolf, nel testo sopracitato, immagina di riflettere riguardo alla caratterizzazione di un suo personaggio femminile, e al contempo immagina di dialogare con gli scrittori edoardiani a lei coevi come Arnold Bennett che era stato un raffinato utilizzatore del realismo: in questo dialogo immagina quindi di chiedere ai suddetti scrittori, definiti in tono sarcastico «elders and betters» cioè ‘più vecchi e più bravi’, come poter descrivere in modo efficace la personalità di questo suo personaggio.
Le viene detto di iniziare a descrivere il contesto, l’abbigliamento, le azioni, i volti, ossia tutto ciò che Virginia Woolf, nella sua concezione dell’arte e della letteratura, voleva evitare.
Il realismo viene allora aspramente definito dalla scrittrice come «a clumsy, incongrous tool», uno strumento goffo e incongruo che, metaforicamente, decide di gettare via dalla finestra: se avesse utilizzato il realismo, questo avrebbe fatto sparire la visione che lei aveva in mente ed era proprio quella percezione, quella visione fatta non di azioni, volti, abbigliamento ma di sentimenti e percezioni, che lei intendeva comunicare al lettore.
Ed è anche in un altro saggio risalente al 1940 intitolato Roger Fry che Virginia Woolf ritorna sulla questione dell’arte e della letteratura e afferma che in quel periodo modernista la letteratura stava soffrendo: soffriva a causa di una sovrabbondanza di forge, di vestiti e cioè di vecchie modalità rappresentative, probabilmente quelle del realismo.
Secondo Woolf, così come Cézanne e Picasso avevano mostrato la giusta via da percorrere ai pittori e, cioè, avevano abbandonato la rappresentazione tradizionalista, così doveva succedere anche nel campo della scrittura: anche gli scrittori avrebbero dovuto seguire l’esempio fornito da questi due grandi artisti.
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