Casa Mango è un fumetto ideato da Andrea Errico e Ruben Curto liberamente ispirato alle esperienze di convivenza dei due autori a Napoli. Un progetto autoprodotto e autofinanziato dall’etichetta Artsteady, fondata da Andrea Errico nel 2013. Gli autori hanno ideato congiuntamente il progetto, realizzandone la caratterizzazione e il mood generale. Le tavole sono state disegnate da Ruben Curto e rifinite a china da Andrea Errico.
Di genere politicamente scorretto, con situazioni surreali che vanno a intrecciarsi a situazioni verosimili, Casa Mango narra delle storie comiche e strampalate di due coinquilini e un piccione. L’intento è quello di creare una serie leggera e divertente che si racconta attraverso episodi auto conclusivi, snocciolando volta per volta le difficoltà intrinseche di una generazione di millennial in un ambiente sempre permeato da caos, disordine, degrado e disagio. Ricco di riferimenti all’attualità, ben mescolati con un umorismo a tratti demenziale, pungente e sarcastico, Casa Mango prosegue la linea editoriale precedentemente segnata dal collettivo Artsteady, con progetti quali 47 Deadman Talking e Storie e Merd.
Casa Mango, Andy, Josè e Piccione
Chi ha vissuto o vive un’esperienza di convivenza con estranei, lo sa. La prima volta in cui vengono ad aprirti la porta di quella che sarà la tua futura casa per un determinato tempo X, non sai mai chi e cosa aspettarti. Allora pensi al peggio e inizi a fantasticare su creature improbabili, animali con tre teste e zombie, ma poi aprono alla porta e capisci che la realtà supera la fantasia. Impugni stretta la moneta da un centesimo trovata a terra l’attimo prima, dai una sfregatina al braccialetto dell’amicizia preso abilmente alle bancarelle insieme al tuo compagno di merende durante la gita di seconda media e ti fai il segno della croce, per pura scaramanzia. Entri e niente è più come prima. Lo zombie sei tu, come tutta la popolazione che si trova al di là della soglia di casa, le loro noiose conversazioni e ogni tipo di formalità. La nuova casa si fa rifugio e, come nell’ “Alba dei morti viventi”, ti muti anche tu col tempo in un sopravvissuto all’epidemia esterna nella tua nuova fonte di sostentamento, con i tuoi nuovi amici.
Lo stesso vale per Andy, Josè e Piccione, i protagonisti del fumetto Casa Mango. Per loro la convivenza non è facile. Sarà perché sono costantemente squattrinati, sarà che campano alla giornata, sarà che le pentole sono sempre troppe da lavare e per una che pulisci ce ne saranno sempre dieci ad aspettarti. Sarà che le avventure non mancano mai, ma a fine giornata una costante resta: Casa Mango li accoglierà sempre.
Per il Comicon verranno presentati due episodi di dodici pagine ciascuno. Nel primo episodio (scritto da Ruben Curto) vedremo i due don Giovanni confrontarsi con tecniche di approccio, adoperando improbabili metodi basati su strampalati criteri scientifico/sociologici.
Nel secondo episodio (scritto da Andrea Errico) il tono sarà lievemente più drammatico e vedrà i due protagonisti alle prese con la disdetta di un contratto telefonico, impresa che a poco a poco risulterà sempre più ardua, al punto da coinvolgere inquietanti forze oscure.
L’intervista ad Andrea Errico e Ruben Curto
Casa Mango…Come nasce l’idea di una progetto sulla vita in condivisione sotto lo stesso tetto?
Andrea: Il nostro progetto nasce da più influenze. Primo tra tutti credo siano le serie animate statunitensi, come Simpson, Griffin, South Park ma anche i più recenti Rick & Morty o Big Mouth. Volevamo raggiungere quello stesso tipo di narrazione, quella stessa formula politically uncorrect, con situazioni al limite, ma per metterci qualcosa di personale. Il progetto è nato anche dalla nostra naturale propensione a sdrammatizzare e ridere dei guai. Personalmente, ogni volta che mi capita una sciagura, tendo a raccontarla in modo scherzoso generando spesso l’ilarità di chi mi ascolta. Scrivere una storia mantenendo questo tipo di registro linguistico è stato, per me, il passo successivo.
Ruben: In pratica Andrea ha detto tutto, mescoliamo situazioni comiche e surreali con lo stesso piglio delle sopracitate serie e in più aggiungiamo drammi e vicissitudini della vita reale. Il tutto è mescolato attentamente per far sì che il lettore non si accorga dove finiscono le une e cominciano le altre. Per dirne una: i protagonisti sono una sorta di alter ego nostri, ma non siamo proprio noi, un po’ come fecero Trey Parker e Matt Stone (creatori di South Park) con i loro protagonisti Stan e Kyle.
Pensate ci sia un’età giusta per smettere di condividere una casa con estranei?
Andrea: Non so se esista un’età giusta, se esiste spero di non venirne a conoscenza.
Sicuramente esiste un’età giusta in cui andarsene dalla casa dei propri genitori per un ponte sbagliato sotto cui dormire. A qualsiasi età.
Ruben: Condividere una casa con estranei è pur sempre un’esperienza formativa da fare nella vita, sia che abiti con reietti e balordi (come il mio collega Andrea) sia che abiti con gente ultra precisa e ordinata.
Per il resto, sono d’accordo con Andrea, prima te ne vai di casa (col rischio di finire a fare il barbone) meglio è.
Descrivetemi la convivenza tra fuori sede in un aneddoto esemplificativo che vi ha visti protagonisti.
Andrea: Beh, non siamo fuori sede in realtà, siamo solo due “sfasulati” senza soldi a sufficienza per comprare una casa propria. Della nostra esperienza di convivenza ricordo soprattutto i riti. È un po’ come avere una famiglia. Ad un tratto decidete di pranzare assieme, poi c’è il rito del caffè, e quello della sigaretta post caffè. E una partita a Fifa? Le giornate iniziano a prendere una routine, anche se nessuno ci obbliga a farlo. Dopo un paio di mesi qualcuno proferisce la famosa frase:«Questa casa non è un albergo!» e ti accorgi che ormai siete una famiglia come tante.
Ruben: Il breve periodo che ho convissuto col mio amico Andrea è stato stracolmo di aneddoti quotidiani. La cosa bella è che essendo entrambi “artisti” di professione uno penserebbe che vada da sé che ci si confronti, si collabori e nascano spontaneamente progetti in comune. COSA CHE NON È MINIMAMENTE AVVENUTA! Siamo sempre finiti a “cazzeggiare” come due nullafacenti, organizzando tornei di FIFA, facendo feste, festini, ubriacandoci e vivendo come due tredicenni a trentadue anni. Siamo stati totalmente controproducenti l’uno per l’altro, anche se devo dire che non ci siamo annoiati manco un istante. Il progetto Casa Mango è nato dopo, quando ormai vivevo in un’altra casa e c’è stato più modo per entrambi di trovare momenti di isolamento per raccogliere e mettere giù idee creative. La lunga fase di “cazzeggio”, in pratica, è stata la base da cui abbiamo attinto spunti e idee per il nostro fumetto.
È comunque servita a qualcosa.
Andrea, il tuo coinquilino dei sogni.
Andrea: Non Ruben!!! No, scherzo. Non so, credo che non esistano coinquilini da sogno, l’esperienza di convivenza è basata sul costante rispetto dei propri spazi. È un equilibrio precario, qualcuno riesce a reggerlo e qualcuno no. I primi sono coinquilini normali, i secondi sono i famosi coinquilini di m… (Ride, ndr)
Ruben, il tuo.
Ruben: Il mio coinquilino dei sogni è uno studente di provincia, viziato, “mammone” e coi soldi, che passa la maggior parte del tempo al suo paese piuttosto che in casa, lasciandomela libera quasi sempre.
Andrea, la vostra generazione in tre parole.
Andrea: Senza. Punti. Fermi.
Ruben?
Ruben: Nostalgici. Del. C***o.
Il piccione di “Casa Mango” è un personaggio originale e irriverente. Quale funzione gli avete attribuito?
Andrea: Il Piccione (per me) rappresenta l’ordine generato dal caos. È un paradosso. È l’unico animale in casa, ma è più saggio, ordinato e responsabile degli altri due personaggi. Il Piccione rappresenta anche la cosiddetta “Generazione X”, quella che ai tempi “si va a fare il militare”, cresciuto in un mondo diverso da quello che oggi conosciamo, con qualche esperienza in più alle spalle, compreso divorzio e figli a carico.
Ruben: Il piccione in quanto animale notoriamente “sporco” crea il giusto contrasto con i protagonisti della serie, che in realtà sono molto più sporchi dell’animale stesso, nonostante siano degli umani.
In pratica, per me, è il metro di misura per rimarcare la condizione di sub-umani di Josè e Andy.
Il simpaticissimo e spagnoleggiante Josè si presenta con una camicia casual a maniche corte e non sono visibili gli occhi. Descrivetemi la personalità che gli avete cucito addosso.
Andrea: Lascio che sia Ruben a scendere nel dettaglio, anche perché José è basato parzialmente sulla sua personalità. È un personaggio burbero e indolente il cui unico leitmotiv è la ricerca del sesso, cosa che può anche scuoterlo dalla sua naturale condizione di inamovibilità.
Ruben: Josè è molto cinico, odia un po’ tutti e non si fa problemi a mostrarlo. Decisamente troppo schietto e scomodo, per lui ogni motivo è buono per insultare o creare nomignoli fastidiosi verso le persone che gli ronzano attorno. Per la maggior parte del tempo è un completo idiota, tranne quando ci sono cose che catturano particolarmente il suo interesse (come, ad esempio, il “sesso” sopracitato da Andrea). In questo caso sfodera un acume del tutto inaspettato e cambia perfino il modo di esprimersi.
È stato disegnato in modo tale che i capelli coprano sempre i suoi occhi e quindi non si ha mai ben chiaro quale sia la sua vera espressione. La cosa è stata studiata sia per dare più ilarità, sia per far sì che il lettore gli attribuisca egli stesso uno stato d’animo a seconda di quello che fa e che dice (un po’ come funzionano le maschere del teatro giapponese).
Andy, invece, indossa un abbigliamento street style. Che tipo è?
Andrea: Andy è basato parzialmente sulla mia personalità. Condivide con me la tendenza a essere pigro (soprattutto di mattina) e ad avere una natura binaria: da una parte placido e affabile (un orsacchiotto, in sintesi), dall’altra eccessivamente estroverso e privo di freni inibitori. Andy è, di fatto, due personaggi in uno e si alterna spesso nelle scene con Mr. Erik, un vero e proprio alter ego che prende possesso del suo corpo, quando necessario. Si potrebbe dire che Mr. Erik è il diavolo ed Andy l’angioletto, ma la verità è più complessa di quanto sembri.
Ruben: È una sorta di Dr. Jeckyll e Mr. Hyde, solo più “cazzaro” e nullafacente. Per il resto, credo che Andrea sia stato abbastanza esaustivo nella sua descrizione.
La Casa è il quarto personaggio della storia. La scelta dell’ambientazione riflette una sorta di non luogo che si stacca da qualsiasi relazione con il contorno sociale.
Parlatemi di questo posto che riflette un costante senso di precarietà.
Andrea: La casa parla dei protagonisti più di quanto essi lo facciano a parole. Guardando gli sfondi delle vignette, ad esempio, si possono trovare innumerevoli dettagli che raccontano le abitudini e le ossessioni dei personaggi. Una pizza lasciata a terra, i controller della Playstation, piatti sporchi in giro, bambole gonfiabili. La casa mette in luce ogni loro ossessione. È anche il segno tangibile della loro costante tendenza a procrastinare.
Ruben: La casa è un inferno dantesco dentro il quale le anime dannate si crogiolano nel loro stesso malessere, senza far nulla per porvi rimedio.
(Insomma, quello che ha detto Andrea ma più “fico”.)
Andrea, il momento della giornata in cui ti senti più ispirato per partorire idee e perché.
Andrea: La notte. Vi avevo detto che Andy è ispirato “parzialmente” a me, vero? Adoro scrivere nel silenzio della notte, quando nessuno può contattarmi o darmi da parlare.
Ci sono solo io, le mie idee e tutto il tempo per fare qualsiasi tipo di volo pindarico.
Ruben, hai una ritualità nel tuo lavoro?
Ruben: Vorrei sinceramente che sia così, ma facendo più tipi di lavori tra colorista, docente, illustratore, sceneggiatore e disegnatore, non ho una vera e propria ritualità. Ho tante mini ritualità che creo per lavori specifici, che una volta terminati, perdono il loro senso di esistere.
Di base, per lavorare al meglio, ci tengo che ogni cosa inerente a quel preciso lavoro sia al suo posto. Quando invece faccio lavori prettamente creativi (e quindi non retributivi nell’immediato) voglio che almeno la mia situazione economica tra affitto e bollette sia stabile. Almeno per un tempo sufficiente a chiudere “quel progetto”.
Andrea, in 47 Deadman Talking, Vrenzole VS Zombie Reloaded, hai parlato di “capate storte” come di momenti in cui creatività e mancanza di senno si fondono e generano una scintilla, che divampa e diventa fuoco. La più grande “capata storta” realizzata e quella che hai in serbo.
Andrea: Credo che Casa Mango possa definirsi la più grande “capata storta” realizzata, è pura energia creativa a briglia sciolta. Per il resto, in serbo ho ancora molte idee che spero di realizzare in futuro. In particolar modo mi auguro di riuscire a portare a termine una storia fantascientifica che sto sviluppando da un po’ di
tempo. Sarebbe la “capata storta” per eccellenza, essendo un canale in cui esprimere la mia creatività a tutto tondo, ma anche un modo per mettere nero su bianco lati di me più intimi e personali.
− Ogni giorno muoiono un sacco di persone, per fame, incidenti, di noia, ma c’è un paese chiamato Vico Equense in provincia di Napoli, dove i morti non sanno di esser morti. − Ruben, queste le parole inchiostrate sul tuo fumetto di “fantascienza urbana”, Storie e’merd, dove c’immergi in una realtà vuota e gretta, per mezzo della risata. Cosa rappresenta per te l’ironia?
Ruben: L’ironia per me è libertà. Grazie a essa si può raccontare qualsiasi cosa, si possono descrivere le situazioni più scomode, drammatiche, orribili e finanche imbarazzanti.
L’ironia, se utilizzata bene, rende interessante tutto.
La vostra collaborazione in una metafora.
Andrea: «No pago afito.»
Ruben: La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Facendo capa e muro!
Grazie a questi due “sfasulati” per la bella chiacchierata!
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