Dieci cose che ho imparato è il simbolico passaggio di consegne di Piero Angela a quella porzione di umanità che intende avvalersi del suo metodico e importante esempio per proseguire l’impegno costante e attivo di esplorazione, di indagine, di miglioramento personale e collettivo. Il testo si pone, di fatto, come una sorta di decalogo che, alla maniera delle dieci leggi consegnate da Dio a Mosè sul monte Sinai, non è una lista di ordini perentori ma un lungo dialogo. Piero Angela non si erige allo stato sopraelevato di “mostro divino” della sapienza, non illumina ed elegge se stesso come «colui che sa e intende imporre il suo sapere e il suo modo di sapere ad altri», ma – con atteggiamento di padre – guida il lettore attraverso le dieci aree dei dieci capitoli che intende consegnare al popolo di Futura.
Le dieci aree del sapere di Piero Angela
Esiste sicuramente nella scrittura calma e limpida di Piero Angela in Dieci cose che ho imparato, la preoccupazione per l’urgenza che i presagi e le predizioni del futuro tracciano di giorno in giorno sempre più negativamente: «Com’è possibile – chiede – che un paese come l’Italia, che ha marcato profondamente per secoli il cammino della civiltà, oggi sia così in difficoltà e abbia perso le sue luci? Come è possibile non accorgersi che tutto sta cambiando, dall’economia all’ambiente, dall’energia alla scuola, dall’informazione alla demografia, all’idea stessa della politica intesa come motore dello sviluppo?»
La risposta risiede di certo nelle difficoltà strutturali, metodiche e ideologiche di formulare un concetto coeso e “multiformato“ di cultura, capace di includere tutte le scienze e dunque non solo quelle “scientificamente intese come tali”. Piero Angela rifiuta di fatto la gerarchizzazione dei saperi e nega la predisposizione a classificare le conoscenze umanistiche come quelle maggiormente fruibili e quelle tecno-scientifiche come aree elitarie. L’auspicio di creare un ecosistema sensibile alle interazioni e soprattutto suscettibile alla conoscenza pratica di tutti, anche dei meno esperti in linguaggio tecnico-scientifico, è il sogno premonitore che dà il la alla scrittura di questo libro. «La divulgazione culturale è necessaria non solo alle persone di scarsa preparazione, ma anche ai più colti quando si avvicinano a un argomento che non conoscono» scrive Piero Angela in Dieci cose che ho imparato. Al fine di raggiungere lo scopo è facilmente intuibile che mezzi come la televisione di palesano utili ma è necessario sviluppare i programmi di divulgazione in modo che interessino lo spettatore, lo coinvolgano con entusiasmo e suscitino in lui il desiderio di conoscere ancora.
Piero Angela indaga con profondità il disconoscimento dei ruoli e dei valori che la funzione tecno-scientifica riveste nei sistemi sociali democraticamente funzionanti. Nello specifico afferma che una società tecnologicamente evoluta è capace di sostenere un sistema politico democratico, al contrario una società che dal punto di vista della conoscenza e delle “macchine” non è avanzata, non è capace di sviluppare i presupposti per l’affermazione e lo sviluppo della democrazia.
Ma non solo da questi punti di vista la cultura, dunque la formazione totale di un individuo, è utile alla continuità della vita ma essa si configura come necessità al proseguimento della sopravvivenza dello stesso ecosistema naturale. Nello specifico di fatto le conoscenze tecnologiche e scientifiche consentirebbero una migliore ed efficace individuazione delle tecniche di riutilizzo e risparmio energetico. Ancora, la scoperta di nuove fonti di energia rinnovabile è in grado di influenzare lo sviluppo del futuro dell’intero pianeta e la sopravvivenza dei suoi ecosistemi.
Particolarità dello stile di Piero Angela in Dieci cose che ho imparato
Una particolare bellezza di questo testo risiede sicuramente nel fatto che la scrittura di Piero Angela ne imita il parlato e il fare discorsivo in un modo talmente perfetto da dare a noi lettori/spettatori il sentore vivissimo della presenza di lui nella stanza come se ci parlasse dalle scene di un eterno e invisibile televisore, come se continuasse a muoversi in quella sua maniera unica tra gli schermi di Superquark allargati ed estesi del mondo tra le pagine di un libro risposto sullo scaffale. La capacità che ha avuto Piero Angela di intrufolarsi in Dieci cose che ho imparato nello stesso elegante e “in-disturbante” modo con cui entrava nei salotti, nelle cucine e nelle camere da letto delle persone dagli studi di Superquark non è una capacità comune: è un piccolo, dolce e molto amato miracolo che si rinnova a ogni schiocco di pagina che sostituisce oggi il ticchettio sul telecomando.
Fonte dell’immagine in evidenza: Mondadori