Elena Rui, recensione del romanzo La famiglia degli altri

Elena Rui

Candidato al Premio POP (Premio Opera Prima) nella decina semifinalista, La famiglia degli altri (Garzanti), libro d’esordio di Elena Rui, è un romanzo sull’autodeterminazione attraverso l’accettazione di sé.

Nella Parigi di J.P. Sartre e Simone de Beauvoir, ma qualche decennio dopo, Marta – la protagonista- e Antoine, il marito, sono alle prese con la loro piccola e “disarmante” figlia Giulia di appena tre anni e mezzo mentre fanno i conti con il fallito tentativo di essere una “coppia aperta”: l’altra, per un’imitazione mal riuscita, “couple magnifique” alla maniera dei due intellettuali.

Antoine e Marta sono grandi confidenti e la loro intesa mentale è molto serrata: lui scrive programmi culturali per la Tv, lei è una scrittrice, autrice di un solo “romanzetto” – come lei stessa lo definisce- in procinto di scrivere quello che sembra essere il suo vero esordio letterario. La frattura che divide i due giovani genitori, però, è tale da mettere in crisi Marta che non vuole tornare con Antoine, il quale non riesce ad immaginare una quotidianità che non la includa, ma con cui condivide il compito di genitore in una collaborazione confortante e riuscita. Ciò che sembra mettere in crisi Marta è anche il suo atteggiamento nei confronti di Giulia, e riprenderà spesso le parole di Simone de Beauvoir tratte da Il Secondo sesso quando diceva che «una donna che lavora senza essere economicamente autonoma, solo per avere un piccolo reddito supplementare, resta in una posizione subalterna, di rinuncia, e finisce col riversare la sua frustrazione sugli altri». Marta è ossessionata dall’idea di essere una cattiva madre. Ma, citando Elena Rui, al dialogo materno occorre ogni tanto “una sfrondatura, un po’ di spazio nel groviglio fitto degli scambi quotidiani”. Il funerale di sua nonna Ada sarà l’occasione ideale per Marta di allontanarsi da Parigi, creare quel piccolo vuoto, quella lontananza necessaria a rinnovare il nitore di alcune consapevolezze.

Come a ricreare una situazione tipica del romanzo di famiglia, il funerale diventa il momento di riunione dell’intera famiglia Fasolo: la ricerca si snoda allora intorno ai concetti precostituiti di coppia o famiglia, fedeltà e perbenismo. Con gli occhi di una scrittrice, acuta osservatrice, ecco che Marta scruta “la famiglia degli altri”: quella dei propri genitori, di zii e zie, nessuna priva di segreti e compromessi. Scoprire verità celate riguardo il passato della famiglia di suo padre, costringerà Marta ad abbandonare l’idea infantile e romantica del matrimonio dei suoi nonni, Ada e Augusto, arrivando alla consapevolezza che, mettendo a confronto la propria vita e quella di Ada, la sua libertà aveva prodotto più insoddisfazione delle apparenti costrizioni a cui era stata soggetta la nonna.

In una sorta di conflitto tra Es e Super-io, istinto e coscienza morale, le riflessioni di Marta partono da qui a dipanarsi intorno a problematiche di genere e di ruoli sociali: quello di donna che non implica necessariamente quello di madre e di moglie, ruoli che la protagonista deforma e forgia nella misura più adatta alla sua persona. I suoi fitti monologhi non danno respiro ad alcun sentimentalismo, costituiscono bensì un’analisi razionale di se stessa, spesso in collisione con quell’atteggiamento di auto-afflizione morale che la circonda, una “morale laica” tipicamente borghese. «Gli altri avrebbero voluto che s’identificasse totalmente in una parte di sé, l’essere madre, l’essere moglie, o l’essere donna. Lo facevano tutti, in modo più o meno consapevole. Le si chiedeva di essere in malafede, come il garçon de cafè di Sartre, di recitare una parte rassicurante».

La famiglia degli altri non è che lo stancante tentativo di Marta, alter-ego letterario della scrittrice Elena Rui, di autodeterminarsi come persona, provando con coraggio ad accettare la propria ambiguità. In fondo, proprio Sarte affermava che l’uomo è inizialmente un nulla, non descrivibile a priori: l’uomo è un essere per sé, un essere che ha la particolarità di non possedere una natura definita, definibile e definitiva come quella delle cose. L’uomo è infatti in costante superamento di se stesso ed è proprio dell’uomo essere incompiuto in ogni istante. L’esistenzialismo di fondo, spunto e filo rosso del romanzo tutto, evidentemente caro alla scrittrice Elena Rui, guida la ricerca di Marta: l’analisi dei due antieroi più emblematici di Sartre, Roquentin (La Nausea) e Delarue (L’età della ragione), serve a Elena Rui a evidenziare come- anche qui, ne La famiglia degli altri – l’ipertrofia del pensiero, la natura di individui esitanti e l’incertezza su come impiegare la libertà a cui anelavano, appartengono anche alla protagonista del suo romanzo.

Insomma, quel romanzo ancora non scritto, tanto caro a Marta, la quale avrebbe voluto che raccontasse di una giovane madre, per riflettere in modo profondo sulla libertà e sulla necessità di autodeterminarsi, quel romanzo che come lei stessa diceva: «poi… no, non vorrei fosse un romanzo a tesi… cioè vorrei che questo tema, quello della libertà e dell’autodeterminazione, restasse sullo sfondo, che fosse una linea sottile, a tratti invisibile, sottesa alla narrazione»,

Questo romanzo lo ha scritto Elena Rui, La famiglia degli altri è il libro di Marta nel quale fa anche da protagonista. 

Fonte immagine di copertina: Garzanti

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