Il commensale di Gabriela Ybarra, nella traduzione di Maria Concetta Marzullo, è uno dei selvaggi dell’Alessandro Polidoro Editore
I Selvaggi, collana diretta dall’ispanista Marco Ottaiano, vanta da aprile la presenza della famiglia Ybarra, raccolta a tavola tra le righe de Il commensale. Il primo romanzo della giovane autrice di Bilbao, nelle intenzioni autoriali espresse in una personalissima nota introduttiva, prende le sembianze di una vera e propria autofiction. L’epoca ipermoderna vede il coagulo di biografia, fonti documentarie e reportage nella trama proteiforme del romanzo. Contro il trionfo mass mediatico del pieno Novecento, gli autori a cavallo tra il secolo passato e gli anni 2000 sono tornati alla pagina calda dell’evento.
Interpolato tra le fotografie del passato e le notizie raccolte in rete, ciò che Gabriela Ybarra immagina. Così l’autrice motiva: «spesso, immaginare è stata l’unica opzione che ho avuto per provare a capire». La difficoltà nella comprensione degli eventi che avevano segnato la storia della sua famiglia risiede nell’atrocità degli stessi e nella lontananza cronologica dal loro accadimento. Il risultato è un romanzo misto di storia e invenzione. Non un’esatta ricostruzione dell’accaduto, bensì l’effetto impresso dalla notizia sulla Gabriela bambina prima, su quella adulta poi.
Il percorso di crescita di Gabriela Ybarra è infatti coinciso con un’indagine storica. Un viaggio a doppio senso tra futuro e passato che si traduce in una scelta narrativa tutt’altro che progressiva e cronologicamente ordinata. Il tempo della vita e il tempo della memoria non possono coincidere se a esser chiamato in causa è lo spirito di una famiglia che, segnata da drammi di dimensione storica, rivela a stento il suo vissuto.
Scomparsa e memoria per Gabriela Ybarra
Filo conduttore de Il commensale è la scomparsa. Un’oscura presenza che «di tanto in tanto appare, proiettando la sua ombra sul tavolo e facendo svanire qualcuno dei presenti». In dissolvenza la figure di nonno Javier Ybarra, sindaco di Bilbao, nonché referente intellettuale del quartiere problematico di Neguri. Nonno Javier è inquadrato storicamente al tempo degli attentati dell’ETA, che Gabriela Ybarra ha imparato a conoscere dalle sue ricerche.
La scomparsa del nonno avviene infatti sei anni prima della nascita della scrittrice, ragion per cui la ricostruzione di questo tempo mitico deve fare i conti con il filtro dello schermo dei mass media, depauperato dal calore che solo la voce umana può garantire. Se Javier Ybarra rappresenta la grande Storia, il secondo cono d’ombra si proietta sulla vita dell’intimità, quella della madre di Gabriela. La seconda parte del romanzo è tutta dedicata a questa figura delicata, letta nell’estrema quotidianità della sua vita. Un colosso di fede e grande nome della rete contro una piccola donna nelle sue umane debolezze.
Gabriela Ybarra trova però capacità combinatorie tra i due piani di intimità e spettacolarizzazione. Collante tra Storia e vita è la memoria. «La mia vita privata è ancora una questione politica […] La lingua, i silenzi, le case, la convivenza, i sentimenti… Tutto è politica. Perfino la letteratura». La scelta ideologica della scrittrice spagnola dialoga, dalla sua posizione privilegiata del margine, con un’altra esponente della scrittura del ricordo: Annie Ernaux. Gli anni intrecciano le vicende della personale esperienza della scrittrice francese ai grandi eventi della Storia. La sua vita diventa la vita di ognuno.
Gabriela Ybarra riconosce su di sé le ferite della sua famiglia, che non sono altro che le ferite inflitte a tutti quelli che abbiano vissuto il suo tempo. Dalla riflessione storica si passa infine a un discorso sull’umano, sulla lunga ombra nera della morte che si staglia su un tavolo-mondo, e sul potere salvifico della scrittura. Prima che ogni immagine scompaia.
Il 29 maggio, ore 18.00, l’autrice Gabriela Ybarra parlerà de Il commensale all’Instituto Cervantes di Napoli.
Fonte immagine: Alessandro Polidoro Editore