Quante volte, leggendo un libro, si ha avuto la sensazione di aver già letto una trama simile? Si tratta di un dialogo intertestuale, un confronto tra testi in cui uno stesso modello viene ripreso e adattato, influenzando le opere successive. In questo articolo parleremo dei giochi metaletterari, analizzando come diversi autori si susseguano nel concetto di testo infinito.
I classici come evergreen
Calvino diceva che sono i classici i libri che vengono maggiormente ripresi, vista la maggiore influenza che esercitano. La metafora del testo come un tessuto è presente in diverse epoche e culture. L’idea che le storie potessero essere raccontate ricamando e tessendo era già presente in Omero, nell’Iliade e nell’Odissea, dove Elena e Penelope tessono la tela narrando le imprese degli Achei e della guerra, elaborando giochi metaletterari. Allo stesso modo, nel sesto libro delle Metamorfosi di Ovidio si racconta il mito di Aracne, la fanciulla che sfida Atena per poi essere tramutata in un ragno: anch’essa tesse la sua tela attraverso il filo delle storie. Nella raccolta Le mille e una notte, Sherazad è la tessitrice delle notti, narratrice di storie che prolungano il filo della sua vita, riprendendo l’antico nesso tra la tessitura e la morte; come le Parche, che tessono concependo la vita degli uomini come un filo.
Julia Kristeva, alla quale risale il concetto di intertestualità, afferma che ogni opera è un mosaico di citazioni e che un’opera, a ogni lettura, si arricchisce di nuovi significati, poiché il testo è aperto e infinito. Un altro esempio è Orlando, l’eroe della Chanson de Roland sulla disfatta di Roncisvalle, che viene riscritto e reinterpretato nell’Orlando Innamorato di Boiardo e, successivamente, trasformato nel poema Orlando Furioso di Ariosto. Non si tratta di una semplice continuazione, ma di una vera e propria rielaborazione del personaggio.
Giochi metaletterari: le tecniche letterarie
Spesso, nella riscrittura dei giochi metaletterari, viene utilizzata la tecnica della parodia. Riprendendo il modello eroico di Orlando, questo è stato spesso demitizzato: il personaggio è riconoscibile, ma è come se fosse messo in burla; i cavalieri di Ariosto, infatti, non sono più uomini perfetti, ma umanissimi, pieni di debolezze e anche di qualche meschinità. Nel vortice dei giochi metaletterari, un’importante espediente è l’appropriazione. “Appropriazione” significa prendere un modello e farne qualcosa di nuovo, manipolarlo. Quando Ariosto scrive l’Orlando Furioso, egli si appropria di un modello della tradizione cavalleresca, ma lo fa ironicamente; così come Cervantes, nel costruire il suo Don Chisciotte, elabora un cavaliere che in realtà è un povero vecchio diventato matto. Nei giochi metaletterari, appropriazione è un altro modo per dire riscrittura, per lo più in chiave ironica, come in questo caso.
Un altro artificio nei giochi metaletterari è il manoscritto fittizio. Ad esempio, Ariosto, quando vuole prendere le distanze da ciò che scrive, dà la colpa a Turpino, l’autore a cui attribuisce la storia. Cervantes, invece, afferma che la storia di Don Chisciotte è stata elaborata e scritta da un certo Cide Hamete Benengeli, mentre Leopardi utilizza questo stratagemma nel Cantico del Gallo Silvestre. Anche Manzoni lo fa con l’anonimo seicentesco da cui avrebbe tratto la storia dei Promessi Sposi.
Ultimi esempi postmoderni dei giochi metaletterari sono le citazioni e i ruoli: Paul Auster, nella New York Trilogy, cita Don Chisciotte per giocare ironicamente con una sorta di inchiesta assurda nel racconto La Città di Vetro. In questa inchiesta poliziesca, l’investigatore Quinn riceve nel mezzo della notte una telefonata in cui viene ingaggiato per cercare Auster, che in questo caso, oltre a essere l’autore, diventa un personaggio del racconto stesso. Quinn sarà accompagnato da una sorta di Don Chisciotte, un folle che prende alla lettera tutto. Arriverà a trovare Auster, il quale sta scrivendo un saggio proprio su Don Chisciotte e svelerà che il manoscritto di Cide Hamete Benengeli è in realtà un falso, e che i veri autori dell’opera sarebbero Don Chisciotte stesso e Sancho Panza, insieme a Cervantes, così come Auster è autore di se stesso. In questi giochi metaletterari e labirintici, i ruoli finiscono per confondersi al punto da non riuscire a distinguere il vero dal falso. Il postmoderno è infatti un’epoca in cui i giochi metaletterari sanciscono l’intertestualità come una malattia endemica: sarà dunque impossibile scrivere un testo senza che questo sia collegato ad altri.
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